Famiglia

Diario dell’adozione/1: Andrea e Mariachiara, la nostra storia

Figli naturali non ne arrivavano. Voglia di tentare con le provette, nessuna (di Andrea Giamarino e Mariachiara Rubino).

di Redazione

Chi sono, come li abbiamo conosciuti
I loro nomi, per opportunità, sono nomi d?arte. Ma la loro storia di genitori adottivi è tutta vera, dalla prima sillaba all?ultima. Si sono fatti vivi all?inizio della loro avventura, proponendo di tenere un diario per Vita. Ci hanno mandato un testo di prova: la scrittura, la passione, l?attenzione ai particolari e anche l?ironia ci hanno sorpresi. Così abbiamo dato il via libera. Per mesi è stato silenzio. Poi un giorno la telefonata, e una notizia a sorpresa… Quale? La leggerete al termine del loro diario, che inizia con questo numero e accompagnerà i lettori per altre sei settimane. Un diario pieno di consigli pratici, di suggerimenti. Ma un diario che è anche un incitamento a tanti genitori a mettersi su questa strada.
Buona lettura

(G.F.)

Missionari o ?semplicemente? fantastici, quando va bene, incoscienti e masochisti quando va male. Quando si parla di adozione, di solito i commenti di amici, parenti e conoscenti oscillano tra questi due estremi: l?ammirazione sconfinata (e anche un po? insensata), o il «chi ve lo fa fare» nelle sue varie sfumature. In un modo o nell?altro, si diventa ?speciali? fin da subito. Noi non ci siamo mai sentiti così. A dir la verità, l?idea dell?adozione in qualche modo l?avevamo in testa da sempre.

Cinque nipoti e un fox terrier
Io, Andrea, anche perché l?ipotesi girava già nella mia famiglia (poi non se ne fece niente) e per la fortuna di avere una fantastica cugina adottiva.
Io, Mariachiara, perché negli anni i miei genitori, continuando la tradizione dei nonni, di persone ne hanno adottate parecchie. Non in senso stretto, certo. Ma chi aveva fame, problemi, voglia di compagnia, desiderio di discutere o curiosità di fare nuovi incontri, sapeva che quello era il posto giusto.
«La mensa», recitava il cartello sulla porta, «chiude alle 21». Ma gli habitué sapevano che per loro era sempre aperta, sette giorni alla settimana. Forse per questo ci siamo sempre detti che prima o poi avremmo adottato un bambino. Un figlio ?tradizionale?, questa era la nostra idea, e uno adottivo. Anche perché i bambini e gli animali ci sono sempre piaciuti. Per adesso ci accontentiamo di cinque adorabili nipoti, di una raffica di figli di amici che ci hanno adottato come zii e di un cane, Carlo, anche lui adottivo («Gli animali non si comprano, come i bambini», è il principio di Mariachiara, che Andrea ha fatto suo), un simil fox terrier anche lui amante dei bambini.

Inseminazione? Ecografi, ormoni…
Man mano ci siamo resi conto che il progetto del figlio ?biologico? (non ?geneticamente modificato??) non solo non si avverava, ma sembrava proprio destinato a non realizzarsi, abbiamo cominciato a parlare con sempre maggior frequenza di trasformare un?idea astratta in un progetto concreto. Anche perché, dopo averne discusso, abbiamo deciso di tralasciare la trafila per l?inseminazione, tappa obbligata per molte coppie (un inciso: cominciando a ragionare di questi argomenti con i nostri amici, ci siamo sorpresi a scoprire il gran numero di persone che condividono le nostre stesse difficoltà. Molti più di quanti immaginavamo).
Esami, ecografie, ormoni: ci sembravano l?opposto di un atto d?amore, senza niente di romantico.

Gli amici apripista. Niente meglio di loro
La fortuna più grande che può capitare a due persone che vogliono lanciarsi nell?avventura adozione è di avere degli amici apripista. Se non ne avete, forse qualcuno dei vostri amici conoscerà qualcuno che ha adottato. Fatevi dare i riferimenti. Contattateli. Scoprirete (a noi è capitato sempre, e la lista delle persone cui abbiamo rotto le scatole è davvero lunga) che la tribù dei genitori adottivi è davvero ?speciale? – ci permettiamo di dirlo solo perché non ci siamo ancora entrati a pieno titolo – fatta di persone prodighe di consigli e di incoraggiamenti.
Nella lunghissima strada che una coppia deve fare, gli scambi di informazione, i consigli e i racconti di chi ha già vissuto questa esperienza sono la compagnia più preziosa.

Lei rompe gli indugi. Si inizia da moduli
Dopo tante serate passate a chiedere informazioni, a discutere, a dire che sì, bisognava lanciarsi, arriva quella in cui ?la lei? (di solito è così) decide che è ora di rompere gli indugi e passare all?azione: andrà a ritirare i moduli al Tribunale dei minori.
Lei si informa su indirizzo e orari, lui dà – magari un po? spaventato – indicazioni sulla toponomastica.
è il D-day, il giorno in cui realmente comincia lo sbarco sul pianeta adozione. Arrivare preparati ad affrontare tutte le tappe è fondamentale. Peccato che, ad ogni nuovo passo, per quanti sforzi si siano fatti, ci si senta comunque impreparati.
Il primo scoglio sono i moduli da compilare per le domande di idoneità. Quasi tutti, infatti, viste le poche possibilità che offre l?adozione nazionale in Italia, decidono di partire subito anche con l?internazionale. Un formulario secco secco ti chiede, con poche crocette, di decidere se sei disposto a prendere un bimbo di una certa fascia d?età invece di un?altra, se lo prenderesti anche malato, con degli handicap, sieropositivo, nero. Un test di crudeltà a risposta multipla. Come da Mike Bongiorno, la prima risposta è quella che conta. Durante i colloqui per l?idoneità, assistenti sociali e psicologi vi chiederanno conto del perché la penna è caduta proprio su quel quadratino e non su un altro. Perciò prudenza: meglio partire con il piede giusto, magari dopo aver parlato con chi l?idoneità l?ha già avuta.

Gli esami non finiscono mai! E poi, l?attesa
Ma non c?è solo il modulo. Per presentarsi al via, occorre mettere insieme una serie di documenti, alcuni dei quali apparentemente incomprensibili, altri forse addirittura fastidiosi. Ad esempio, dovrete far firmare ai vostri genitori una dichiarazione in cui si proclamano favorevoli all?adozione.
Chi ha avuto la sfortuna di perderli, deve pure dimostrarlo (con un certificato di morte). E poi dovrete dichiarare quanto guadagnate (perché l?adozione è anche una questione di censo) e se siete o meno proprietari della casa in cui vivete. Completano il quadro una sfilza di certificati, anagrafici e medici: nascita, stato di famiglia (essere sposati nel nostro Paese è una conditio sine qua non: semaforo rosso quindi per coppie di fatto e single), casellario giudiziale e dichiarazione che non sussiste separazione personale neanche di fatto tra i due coniugi. Senza tre anni di convivenza (ma in questo caso vale anche quella prematrimoniale) non si può nemmeno cominciare.
Per completare l?opera serve ancora un certificato medico, del tipo ?sana e robusta costituzione?, e una bella sessione di esami clinici in una struttura pubblica (altrimenti non sono ritenuti validi): hiv, epatite C, tubercolina. Pagato il primo tributo con la burocrazia e messo insieme il vostro fascicoletto (diventerà con il tempo un fascicolone), siete a un passo dalla partenza. Si torna al Tribunale dei minori a consegnare ?il malloppo?. Lì per lì vi sentirete un po? sollevati. Il ?la? è stato dato. Da quel momento, comincerete a familiarizzare con la parola che gli aspiranti genitori adottivi conoscono meglio: l?attesa.

Andrea Giamarino
Mariachiara Rubino

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