Assistenza sociosanitaria
Sardegna, allarme carenza infermieri: all’appello ne mancano 1.500
L'allarme, sollevato da Federsolidarietà, Legacoopsociali, Agci-Associazione generale cooperative italiane e sindacati, riguarda sia il settore pubblico e sia il privato. Una situazione annunciata da tempo che fa i conti anche con il numero chiuso dei corsi di laurea. Nell'Isola, il progressivo invecchiamento della popolazione accentua il problema nelle strutture residenziali e nell'assistenza domiciliare

L’assistenza del comparto sociosanitario in Sardegna è in fibrillazione, e non per i cronici ritardi negli adeguamenti tariffari. In verità, non è neppure un problema squisitamente isolano, in quanto si avverte in tutto il territorio nazionale, visto che da qui al 2030 in Italia andranno in pensione 67mila infermieri tra il settore pubblico e il privato. Un esercito di professionisti che, terminando il percorso lavorativo, rischia di mettere in crisi le cooperative sociali e le strutture che danno assistenza ad anziani, bambini e persone non autosufficienti. Il problema, naturalmente, coinvolge anche i servizi domiciliari.
Nell’Isola si contano circa 300 infermieri soltanto tra le realtà che afferiscono a Federsolidarietà-Confcooperative, Legacoopsociali e Agci–Associazione generale cooperative italiane, le principali centrali cooperative. Tuttavia, ne occorrono almeno 600 (stima in difetto e senza considerare le cooperative che non sono iscritte alle sigle sopracitate). Secondo la Cisl, in Sardegna mancano almeno 1.500 infermieri per raggiungere gli standard nazionali, già tra i più bassi d’Europa. L’Istat, nel 2022, rilevava che erano presenti 6,2 infermieri ogni 1.000 abitanti, contro una media nazionale di 6,8. Ma se si guarda ai soli infermieri dipendenti, il dato scende a 5,25 ogni 1.000 abitanti, di poco superiore alla media nazionale (5,13). E l’emorragia è destinata a crescere perché, nel prossimo futuro, saranno soprattutto le strutture ospedaliere a fare una spietata concorrenza. E si sa già che la spunteranno loro, in quanto potranno offrire condizioni economiche e contrattuali più vantaggiose, come è già accaduto nel periodo della pandemia.

«Siamo in grande difficoltà già oggi, non oso pensare che cosa accadrà nel prossimo futuro», commenta Antonello Pili, presidente di Federsolidarietà Sardegna. «Una soluzione tampone, anche se non darebbe effetti pratici nell’immediato, ci sarebbe pure: dovrebbero sospendere il ricorso al numero chiuso dei corsi universitari per infermieri, almeno per un determinato arco di tempo. Poi si vedrebbe che cosa fare. Considerando che i corsi durano tre anni e prima del 2028 non potremo sfornarne oltre un certo numero, in ogni caso prevedo guai nel breve. Sarebbe inoltre positivo se l’Università di Sassari aprisse ai corsi di laurea per infermieri, che al momento non rientrano nella loro offerta didattica».
«Concordo con il collega Pili, ma il tema è anche più grande e grave», sottolinea Andrea Pianu, responsabile di Legacoopsociali Sardegna e vicepresidente nazionale della stessa organizzazione. «Obiettivi importanti di sviluppo e delle riforme che sono state fatte partire, come quella della non autosufficienza, prevedono un potenziamento dell’assistenza domiciliare integrata e socioassistenziale che, tuttavia, hanno bisogno di personale che non c’è. Il rischio è che si vada avanti con norme e si dichiarino obiettivi pomposi, ma poi non ci siano le necessarie risorse umane e finanziarie. Questo problema non si risolve in ventiquattrore, serve una profonda riflessione per capire come gestire nel breve e nel medio termine la situazione emergenziale. Con quali figure professionali si intende farvi fronte? Alcune cose possono essere avviate e fatte, dentro un quadro di riconoscimento di profili professionali che magari sono già presenti, eventualmente con un percorso di aggiornamento. Occorre una maggiore programmazione di corsi universitari, e non solo, che permettano di far entrare in formazione le persone che occorrono per il prossimo futuro. La pubblica amministrazione, poi, non può pensare di assicurare servizi così importanti pensando soltanto a operazioni di risparmio. Men che meno quando di mezzo c’è la vita delle persone. Il tema del superamento del numero chiuso nelle università, per tutta una serie di motivi, si pone da tanto tempo ed è una direzione su cui si può lavorare. Ma va costruito tutto con grande attenzione, per non far calare la qualità delle figure professionali che verranno immesse sul mercato del lavoro. Certe problematiche si risolvono a livello di governo nazionale, però c’è un pezzo di lavoro che può essere fatto a livello regionale: di recente è stato riaperto a Nuoro il corso di laurea in Servizio sociale che sino a poco tempo fa era rimasto in capo soltanto all’Università di Sassari, ma Cagliari non può rimanere scoperta su un’attività formativa così importante. Sarebbe interessante capire che cosa ne pensa l’ateneo del capoluogo. In Sardegna occorre, in ogni caso, costruire una Conferenza sulle professioni sul lavoro sociale che permetta di evitare nuovo precariato e contemporaneamente consenta di fare nuova programmazione in maniera unitaria tra i servizi dei Comuni e della sanità, gli enti di formazione professionale, le università e le parti sociali. Non dimentichiamoci che, da qui a dieci-quindici anni, l’invecchiamento della popolazione sarda sarà ancora più accentuato di oggi. E questo riguarderà anche operatori sociosanitari, educatori e terapisti, non solo medici e infermieri».

A proposito di invecchiamento, vale la pena dare uno sguardo ad alcuni dati. A fronte di una popolazione di poco superiore al milione e mezzo di abitanti, il 24,22% è composto da over 65 (esattamente 378.083). Per questa fascia di residenti, le circa 500 strutture sociali di accoglienza garantiscono oggi 9.519 posti letto, in buona parte all’interno delle comunità integrate per anziani non autosufficienti (5.535 posti).
Il 12 maggio scorso è stata celebrata la Giornata internazionale dell’infermiere. «Ma negli ospedali non si è festeggiato», precisa Gian Mario Sardu, infermiere e rappresentante della Cisl Fp di Sassari. «Si resiste. Se c’è un letto in più, significa che c’è un’altra flebo che si aggiunge. Ma accade anche che un collega non è stato sostituito, un altro magari ha mollato. Ogni giorno, da anni. Non serve la torta per festeggiare. I tanti auguri magari sì. Soprattutto, occorrono gente e risorse. E rispetto».
Credit foto julia-taubitz-unsplash
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