Verso il referendum

Dalle file in questura a Montecitorio: la strada della parlamentare Ouidad Bakkali per diventare italiana

«Non ricordo quanti giorni di scuola ho saltato per andare in questura a rinnovare il permesso di soggiorno», dice Ouidad Bakkali, 39 anni, di origine marocchina, vive in Italia da quando ne aveva 2. Parlamentare PD è una delle voci che hanno dato forza alla mobilitazione di giovani attivisti e attiviste per il referendum. «A 16 anni collaboravo alle campagne elettorali per le quali non avevo il diritto di voto. Il quesito referendario è un intervento chirurgico, necessario per dare un segnale politico forte e arrivare alla riforma di una legge anacronistica che non tiene conto di cosa è diventata l'Italia»

di Cristina Giudici

«Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi”. Io questo giuramento lo feci a 23 anni, divenni cittadina nel 2009. Ero arrivata a due anni (dal Marocco, ndr) perciò ventuno anni dopo. Qui ho frequentato le scuole dell’infanzia dalle suore di Casal Borsetti, le elementari, le medie, le superiori. A 16 anni militavo nelle giovanili del mio partito, collaboravo attivamente alle campagne elettorali per le quali non avevo il diritto di voto, ero rappresentante d’istituto. Alla gita di quinta superiore fui bloccata all’aeroporto di Praga perché il documento con cui viaggiavo non era corretto, seppur vagliato dalla questura. Passai la notte in aeroporto con due professori del mio liceo e mi dissi lì che non mi sarei mossa fino alla fine della gita, per principio e per un senso di ingiustizia che avevo provato sulla pelle tante di quelle volte. Non ricordo quanti giorni di scuola ho saltato per andare in questura per il rinnovo del permesso di soggiorno e al Consolato per il documento d’identità». Iniziava così il discorso che la parlamentare del Pd, Ouidad Bakkali, ha fatto sugli scranni di Montecitorio nel settembre scorso per raccontare con una voce possente, dritta come un fusto, l’urgenza della battaglia per la cittadinanza, partendo dalla sua biografia di figlia di immigrati.

Un discorso che dovrebbe essere mostrato nelle scuole per (ri)generare fiducia nella politica fra le nuove generazioni. Bakkali è uno dei volti e delle voci che hanno dato forza alla straordinaria mobilitazione di giovani attivisti e attiviste per il referendum dell’8/9 giugno. A VITA spiega che il quesito referendario è «un intervento chirurgico, necessario per dare un segnale politico forte e arrivare alla riforma di una legge anacronistica che non tiene conto di cosa è diventata l’Italia. Ossia un Paese plurale, più che multietnico, che deve sanare una frattura perché esiste un pezzo di Italia, che all’Italia sente di appartenere con fierezza, ma è privato dei diritti civili e costituzionali».

Sopravvissuta all’attacco terroristico al Bataclan del 13 novembre del 2015 (qui potete rivedere la sua testimonianza dopo la strage avvenuta a Parigi), Ouidad Bakkali è nata ad Agadir ed è cresciuta a Ravenna. Dopo essere diventata italiana anche sulla carta, è stata assessora alla Scuola e Cultura della sua città, a Ravenna, successivamente presidente del Consiglio comunale e poi alle ultime elezioni politiche eletta deputata. E a chi le ha fatto la domanda di rito se si senta più italiana o marocchina, lei che è arrivata qui che era una bimba di due anni, ha dato una risposta che dovrebbe far riflettere su quanto l’Italia sia cambiata: «Non c’è una percentuale che si possa calcolare. È un’identità complessa. Ma credo che a questo punto vada ridefinito il concetto di italianità». Vicesegretaria del Partito democratico dell’Emilia-Romagna, non ha mai smesso di battersi perché anche tutti gli altri, giovani o adulti con origini straniere, possano avere il diritto alla cittadinanza attiva, il diritto di voto, le pari opportunità ai blocchi di partenza nella gara della vita.

«Questa campagna per il referendum ci ha permesso di far conoscere i volti di centinaia di giovani che si sono riappropriati della propria storia, diventando protagonisti di una narrazione diversa e uscire dall’ombra dell’esclusione», osserva. «Sono state decostruite le false credenze frutto della propaganda sovranista. Abbiamo potuto spiegare che il quesito abrogativo permetterebbe di dimezzare i tempi di attesa per chi studia, lavora, paga le tasse, allineandoci con il resto di molti Paesi europei, ma non concede ai residenti stranieri la possibilità di diventare automaticamente italiani, anzi. I requisiti richiesti dalla legge in vigore – come la residenza continuativa, il reddito, l’esame di italiano B1, l’assenza di carichi giudiziari pendenti – restano invariati. Non è quindi un referendum sul tema migratorio ma sulla necessità di creare una società inclusiva». Anche perché, come ha chiarito più volte l’estensore del quesito, il costituzionalista e docente alla Bicocca Paolo Bonetti, se il referendum raggiungesse il quorum ci vorrebbero almeno 8/9 anni di attesa dal momento della richiesta.

«Senza la riforma della legge sulla cittadinanza, la discriminazione attuale nei confronti di chi è nato e cresciuto qui non verrà superata», afferma Bakkali. E infatti lei è la prima firmataria del progetto di legge che prevede sia lo ius soli temperato sia lo ius scholae. «Ora però è importante che ci sia molta mobilitazione e soprattutto consapevolezza che si va a votare per un interesse nazionale, per una società più coesa dove i cittadini stranieri che contribuiscono al 8/9% del Pil, devono poter aver diritto a votare chi sceglie le politiche che riguardano anche loro. Lasciare ai margini chi nasce o cresce qui non è più sostenibile. Perciò dobbiamo andare a votare per gli amici dei nostri figli, figlie e nipoti, per i colleghi e colleghe di lavoro, per chi vive con noi, insieme a noi». Insomma la posta in gioco è dirimente non solo per ragioni demografiche ma perché si tratta di una battaglia di civiltà per ridurre il divario sui diritti civili che un Paese democratico non può più permettersi.

Nel suo discorso fatto alla Camera nel settembre scorso, quando in sole tre settimane sono state raccolte 630mile firme per depositare il quesito referendario alla Corte Costituzionale, Ouidad Bakkali, aveva detto: «Le mie note biografiche rappresentano storie ed esperienze di centinaia di bambine e di bambini, volevo dar loro voce affinché queste storie entrino prepotentemente dentro quest’aula e la vostra ipocrisia e ideologia si scontri contro questa mia faccia, perché questa faccia che vedete rappresenta quella narrazione che svaluta continuamente queste nuove e nuovi italiani e racconta quella condizione diffusa, ingiusta, che vede queste ragazze e questi ragazzi nascere, crescere, imparare a camminare in un Paese che non si accorge di loro, che ancora li computa nella percentuale di studenti stranieri quando deve stilare le statistiche.  Sono quei bambini che la narrazione dominante vuole relegare a viaggiare in ultima classe per quanto riguarda diritti sociali, civili, politici. Sono quelle ragazze e quei ragazzi i cui sogni si infrangono decine di volte davanti alle porte di una questura di qualunque provincia italiana. Noi vogliamo solo riconoscere il presente e l’Italia di oggi, preservare il futuro dell’Italia, vogliamo che tutti i giovani partecipino al futuro di questo Paese senza cittadini di serie a e di serie b». E oggi, a pochi giorni dal voto per il referendum, lo ribadisce: «L’Italia ha bisogno di ogni singola e singolo giovane che possa nutrire da subito il senso e il legame di appartenenza con la Repubblica e lo Stato». Il quesito che dimezza i tempi rappresenta la richiesta di superare discriminazioni che si sono acuite con il passare degli anni perché la società è cambiata e la politica deve saper affrontare le sfide dei cambiamenti sociali di un «Paese plurale, inclusivo, laico, dinamico e che sappia investire nelle diversità come motore di sviluppo e innovazione sociale e culturale», conclude la parlamentare Ouidad Bakkali. «Sono consapevole che questa maggioranza di governo non farà alcuna riforma della legge sulla cittadinanza ma mi aspetto che il Governo almeno semplifichi le procedure e riduca i paletti, non costringa più minori, giovani, adulti a fare le file in questura per il rinnovo del permesso e renda più agevole il complesso iter per la richiesta della cittadinanza. In attesa, in futuro, di poter fare una riforma della legge in vigore, la 91 del 1992, che riguarda tutti gli italiani». 

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