Attivismo

Gaza: non è una guerra, ma una strage

«Quello di Gaza è un massacro voluto e annunciato», dice dal palco di Roma Silvia Stilli, portavoce della rete di ong Aoi, che è intervenuta alla manifestazione "in piazza per Gaza, basta complicità". «Per decenni a Gaza, in Cisgiordania, a Gerusalemme Est abbiamo visto, ascoltato, vissuto le sofferenze del popolo palestinese da testimoni. Assistito al consolidarsi di un sistema che, metro dopo metro, giorno dopo giorno, toglie terra, diritti, libertà. Il suo nome è Apartheid». L'intervento integrale

di Silvia Stilli

Per chiedere la fine dell’invasione israeliana della Striscia di Gaza, che in quasi due anni ha provocato quasi 60mila morti, una grande manifestazione si è tenuta sabato pomeriggio a Roma, in Piazza San Giovanni: hanno marciato insieme 300mila persone. L’evento è stato promosso congiuntamente da PD, M5s e Avs e ha visto la partecipazione di molte associazioni. Qui l’intervento integrale di Silvia Stilli, presidente della rete di ong Aoi.

Sono qui invitata in rappresentanza delle tante associazioni italiane di cooperazione internazionale della Rete Aoi, per dar voce a centinaia di colleghe e colleghi italiani, palestinesi, internazionali, che si impegnano per garantire una vita dignitosa e giusta alla popolazione civile nella Striscia di Gaza e nei Territori Palestinesi Occupati. 

A Gaza in 18 mesi sono morte 54mila persone. 54mila! Con i dispersi siamo a più di 60mila. Donne, bambine e bambini, anziani, uomini, malati, disabili.  Famiglie intere. Corpi sotto le macerie, senza nome, che non fanno più notizia. Questa non è una guerra. È una strage. Tra i tragici primati di questa crisi c’è quello del più alto numero di operatori umanitari uccisi nella storia recente: 460 vite colpite mentre cercavano di salvarne altre. Più della totalità di quelli scomparsi nel resto del mondo. È un massacro voluto e annunciato.

Per decenni a Gaza, in Cisgiordania, a Gerusalemme Est abbiamo visto, ascoltato, vissuto le sofferenze del popolo palestinese da testimoni. Assistito al consolidarsi di un sistema che, metro dopo metro, giorno dopo giorno, toglie terra, diritti, libertà. Il suo nome è Apartheid. Lo ha riconosciuto la Corte Internazionale di Giustizia. 

La reazione alle stragi del 7 ottobre ha segnato per Israele l’accellerazione della politica di annessione dei territori palestinesi. L’ha resa più feroce e non per esigenze di difesa. L’obiettivo è distruggere e svuotare Gaza. È uno sfollamento di massa, quindi un crimine di guerra. Crimine di guerra è affamare sistematicamente due milioni di persone. Distruggere deliberatamente ospedali, scuole, acquedotti. Negare l’approvvigionamento energetico. Hanno detto di voler colpire Hamas. Ma ogni giorno – ogni giorno – ci sono vittime innocenti. Questa non è difesa. È punizione collettiva.

Il recente falso piano di “aiuti umanitari” del governo israeliano per Gaza è un meccanismo distorto, cinico, che non allevia la sofferenza, la provoca. Non protegge i civili, li espone. Li trasforma in bersagli. Affamandoli, li intrappola.  Strumentalizza il soccorso per rafforzare il controllo. La distribuzione degli aiuti sotto la minaccia delle armi serve a concentrare la popolazione e spingerla gradualmente fino a Rafah per farla uscire dalla Striscia, rendendola profuga per sempre. Non è umanità, è dominio. Non è assistenza, è assedio. È la militarizzazione degli aiuti. 

Nel 2024 in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est ,migliaia di ettari di terreni sono stati confiscati ai palestinesi e si continua per garantire più di 10mila nuove unità abitative per coloni israeliani, che se ne appropriano con la violenza, protetti dall’esercito. Case bruciate, oliveti distrutti, famiglie cacciate.  Dal 2025, l’operazione “Muro di Ferro” ha causato 125 morti e oltre 50mila sfollati. È pulizia etnica.

Legali internazionali e le maggiori organizzazioni per i diritti umani, come Amnesty International, parlano di crimini contro l’umanità – usando anche il termine Genocidio– e noi con loro.  Questi crimini rimangono ai margini del racconto dominante perché Israele non ha mai permesso ai giornalisti internazionali di entrare liberamente a Gaza, imponendo il filtro dei comunicati militari, delle immagini controllate, delle narrazioni confezionate. A Gaza in questo anno e mezzo sono stati uccisi circa 200 giornaliste e giornalisti e operatori media palestinesi. Questo è bavaglio. È censura: che non protegge i civili, ma solo i crimini. Che oscura, manipola, disumanizza

Dall’ottobre 2023 tra le organizzazioni della società civile italiana presenti sul palco e i rappresentanti e parlamentari dei partiti promotori di questa giornata, c’è stata continuità nel confronto sulle posizioni per convergere nell’affrontare questa drammatica crisi umanitaria. Insieme siamo arrivati fino al valico di Rafah, due volte, per portare la nostra solidarietà e gli aiuti e squarciare il velo della complicità. 

La piattaforma politica di oggi è anche frutto del nostro lavoro di attori sociali, della nostra tenacia. Ci sono voluti mesi, siamo qui insieme. Rafforziamo il percorso unitario, diamo più spazio alla società civile per raccogliere e trasmettere la  voce di voi cittadine e cittadini, di chi ha steso lenzuola bianche come fossero sudari per le morti di Gaza, aumentiamo la pressione politica su chi governa, qui, in Europa e nel mondo: la smettano di essere complici

E lo saranno fino a quando Israele resterà al di sopra della legge. Il diritto internazionale non può essere piegato, ignorato o usato a fasi alterne! Non è ammissibile cancellare 80 anni di Nazioni Unite e togliere dignità all’aiuto umanitario! Basta complicità!

Torniamo insieme in piazza a Porta San Paolo, il 21 giugno prossimo, con le circa 375 organizzazioni all’oggi promotrici dell’appello, accolto anche da alcuni dei partiti di questa manifestazione: contro le politiche di riarmo e tutte le guerre, per dire ancora basta ai crimini contro l’umanità cui assistiamo a Gaza.  

Vi lascio il messaggio di una nostra collega palestinese, in esilio al Cairo, incontrata dalla Carovana a Rafah. “Quando tornate nei vostri paesi, scendete in piazza. Mostrate il vostro dissenso. Fatelo vedere. Fatelo sentire. Fino a quando questa complicità diventerà insostenibile… e finalmente finirà“. Cara Jumana. Noi come sempre ci siamo!

Credit foto: Cecilia Fabiano/LaPresse

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