Filantropia a congresso

Fondazioni bancarie, una cerniera fra pubblico, privato e non profit. Per ricucire l’Italia

di Giampaolo Cerri

Al via, a Gorizia, il XXVI congresso nazionale di Acri. Il presidente Giovanni Azzone: «Sui problemi sociali c’è bisogno di un’alleanza, di soggetti che collaborino e le fondazioni possono avere un ruolo pivotale». Nella città isontina, tanto Terzo settore a parlare di comunità. VITA c'era

Bello, bellissimo che l’Acri cominci con Basaglia. Dove l’acronimo – ci perdonino i lettori “di passaggio” – sta per Associazione di fondazioni e casse di risparmio e dove Basaglia sta per Franco, il grande rivoluzionario della psichiatria, l’uomo che ha chiuso in manicomi, aprendoli.

L’assemblea numero 26 di Acri si è aperta oggi a Gorizia, col titolo immaginifico Comunità: insiemi plurali. Lo ha fatto proprio sul confine che non c’è più e che per anni c’è stato: un muretto alla fine, ma di fatto una muraglia invisibile che divideva, come a Berlino ma senza la notorietà di Berlino, da Nova Gorica.

Congressisti in attesa a Gorizia

Bello, bellissimo, dicevamo, e ci si perdoni l’esultanza del vecchio cronista sociale, perché da questa città quella rivoluzione – rileggetevi il bellissimo VITA che dedicammo ai 100 anni di questo grande medico – è partita.

Bello, bellissimo perché se avete gli anni per andare oltre quei 26 di vita delle fondazioni, nate nel 1990, a quando le Casse facevano le Casse, ossia tanta, tantissima e benemerita “beneficienza”, con quella “i” che arrivava dritta dall’Ottocento, un convegno non lo avrebbero aperto con questo tributo e non solo perché era quasi cronaca, essendo la 180, la legge che porta il nome dello psichiatra veneziano, solo del 1978.

La filantropia bancaria ne ha fatta di strada. Il mondo, glorioso, delle Casse, coi suoi meriti storici ma anche coi suoi limiti, non c’è più: ci sono grandi realtà, alcune molto avanzate e molto europee, altre piccole e dignitosamente impegnate coi loro territori, che insieme riversano sulla società italiana più di un miliardo di euro all’anno. Un dato che forse la pubblica opinione fatica a tenere presente.

Fondazioni diverse ma coese

Certo un movimento ampio e dimensionalmente diverso, non tutte sono appunto le big che staccano le cedole ricche di Intesa Sanpaolo, non tutte possono permettersi di coltivare professionalità alte nella gestione o nella valutazione di impatto ma certamente tutte – e qui sta il valore nell’azione associativa di Acri – tendono, da anni, a fare sempre meglio, a curare i patrimoni anche con criteri di responsabilità e anche di sostenibilità, a erogare con attenzione, a far sì di incidere nella cultura, nella ricerca, nel sociale dei loro territori. Anzi, come dirà il presidente Giovanni Azzone a fine mattinata, «Acri è un mondo eterogeneo di soggetti che hanno gli stessi valori di fondo e in cui si fa trasferimento di esperienze per mettere a fattor comune le competenze».

Insomma Acri stessa è comunità, in cui le grandi, dai patrimoni miliardari su territori evoluti e popolati da milioni di persone aiutano le piccole fondazioni, con poche centinaia di milioni di fondo su aree di qualche decina di migliaia di abitanti. E fanno comunità le iniziative come Fondazione con il Sud – a Gorizia c’erano il presidente Stefano Consiglio e il dg Marco Imperiale – o il sostegno al fondo “Con i bambini” – all’assemblea c’era il presidente Marco Rossi Doria – o il Fondo Repubblica digitale, guidato dalla dinamica direttrice generale Martina Lascialfari, intervenuta nel pomeriggio.

Comunità con chi la fa

A ragionare di comunità, Acri ha saggiamente radunato diversi esponenti di varie comunità, con un lavoro che, per l’organizzazione guidata dal direttore Giorgio Righetti, deve esser stato impegnativo.

Nella piccola folla che, stamane, assediava di buon ora il Teatro Verdi, si riconoscevano i vertici e gli staff di tutte le 88 fondazioni e casse di risparmio, ma anche, appunto, molti rappresentati della società civile, di quel Terzo settore con cui la filantropia bancaria principalmente interloquisce.

C’erano per esempio, i vertici di Banca Etica, il presidente neo-eletto Aldo Soldi col direttore generale Nazzareno Gabrielli, c’erano il presidente e il d.g. del Forum per la finanza sostenibile, Massimo Giusti e Franco Bicciato; c’era la portavoce del Forum, Vanessa Pallucchi, chiamata anche nel primo panel assieme alla direttrice di Assifero e vicepresidente Philea, Carola Carazzone; c’era il vicepresidente delle Acli, Stefano Tassinari; c’erano la presidente e il direttore di Csvnet, Chiara Tommasini e Alessandro Seminati. E c’era monsignor Gian Carlo Perego, presidente della Fondazione Migrantes, rappresentante di quella Chiesa quotidianamente piegata sui bisogni dei più fragili.

Aldo Soldi, presidente Banca Etica e Nazzareno Gabrielli, direttore generale

C’erano soprattutto, sul palco pomeridiano, tanti protagonisti della società civile, che fanno della comunità di pratica un orizzonte di loro lavoro sociale, come Ludovica La Rocca, cofondatrice di Blam; Marina Galati, direttrice di Comunità Progetto Sud; Davide Marotta, direttore di Cascina Fossata; Susy Galeone, cofondatrice cooperativa La Paranza; Mirella Cannata, presidente associazione Teatro Necessario e Michele Questa, coordinatore équipe Villaggio Fondazione Roma.

Legge Amato, una storia di successo

È stato il presidente Azzone, comunque a dominare la scena, che ha registrato le riflessioni di Giovanni Gorno Tempini, presidente della grande banca di investimento dello Stato, Cassa depositi e prestiti, grande amico delle fondazioni che di Cdp sono azioniste, e i ragionamenti della politica, con la viceministro delle Politiche sociali, Maria Teresa Bellucci, e il sottosegretario del Mef, Federico Freni.

«Questa storia è una storia di successo», ha detto l’ex-rettore del Politecnico di Milano e presidente di Fondazione Cariplo riferendosi alla Legge Amato che nel 1990, separò attività bancarie da quelle filantropiche, «una storia, oggi, di un patrimonio di 50 miliardi di euro, in grado di erogare 1 miliardo stabilmente; una storia fatta di realtà che sono interlocutrici fondamentali per Terzo Settore e Pubblica Amministrazione».

I tre quarti del Terzo settore italiano, ha ricordato Azzone, hanno avuto un progetto finanziato da una fondazione: «Un impatto importante sulla qualità di vita dei territori delle nostre comunità».

Fra Neet e lavoratori poveri

La filantropia bancaria «si trova a una sfida di sistema diversificato ma che tiene a essere coeso», una sfida che guarda al futuro in forte cambiamento. E da bravo ingegnere, Azzone, ha proceduto col punto elenco.

Vanessa Pallucci, portavoce Forum del Terzo settore

Cominciando con «la crescente complessità dei problemi sociali, come il tema dei Neet», per cui, in una società che sta invecchiando, c’è un milione di giovani che non lavorano, non studiano, non si formano, diventano estranei. Come si affronta? Dobbiamo trovarli, ingaggiarli, loro che sono stati espulsi, formarli, accompagnandoli all’inclusione. Nessuno può farlo da solo, ci vogliono la scuola, il Terzo settore, la Pubblica amministrazione, il sistema imprese: c’è bisogno di un’alleanza, di soggetti che collaborino. E qui», ha osservato, «le fondazioni possono avere un ruolo pivotale, perché parlando linguaggi diversi, quello delle imprese ma anche quello del Terzo settore».

Proseguendo, Azzone ha ricordato come quella in cui viviamo «sia una società plurale, fatto che richiede di passare dalla standardizzazione delle politiche a soluzione adeguate, specifiche». Il professore ha richiamato il lavoro povero: «Fra gli working poors», ha detto, «per alcuni la discriminante è l’abitare, perché chi è in affitto fa fatica oggi; per altri è l’essere caregiver, per cui il lavoratore è povero perché sottrae al lavoro il tempo da dedicare alla cura delle persone care; per altri ancora è la qualità delle competenze», ha ricordato. Rammentando poi il fronte dell’impegno possibile e già praticato da alcune fondazioni: «il social housing, bilanciando affitto e retribuzione; il dopo-scuola per i figli, la formazione». «Se non si riescono a capire la soluzioni», ha scandito, «gli interventi restano inefficaci».

Last but not least, Azzone ha ricordato la priorità della «struttura del sistema finanziario». Riferendosi al ruolo delle fondazioni come azioniste di alcune grandi banche nazionali, il presidente Acri ha sottolinato come «sia stato detto che le fondazioni non sono interessate al controllo (di quelle società, ndr). Ed è vero: siamo azionisti pazienti. Non siamo però azionisti indifferenti: per noi è importante che le banche siano attente ai territori, garantendo la biodiversità del sistema».

Una disamina che ha scaldato la platea del teatro isontino: il popolo dei presidenti, dei segretari, dei funzionari, che ha fatto partire un caloroso applauso, quando il professore ha ricordato pacatamente un paio di intoppi nel rapporto con la politica.

Questi due intoppi con la politica

Il prima riguarda l’ultima Legge di Bilancio e quel tetto (100mila euro) alla spesa dei soggetti non profit che abbiano ricevuto fondi pubblici. Una limitazione sotto cui ricadrebbero anche le fondazioni stesse che però, in questo modo, si trovano quindi limitate nelle erogazioni che le maggiori risorse disponibili potrebbero consentire.

L’interno del Teatro Verdi di Gorizia, sede dei lavori

«Il contesto di fragilità che abbiamo ricordato», ha detto Azzone, «non ci aspetta: attendere un anno, vuol dire qualità della vita delle persone perdute». E poi reagendo all’applauso della sala, ha precisato: «Non è rivendicazione sindacale», ha assicurato, «il contesto che non aspetta e richiede ai cambiamenti a tutti. Anche al contesto istituzionale».

L’altro tema è quello che vede le fondazioni in stallo per un’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate a proposito dell’esclusione degli enti filantropici dalla detrazione Ires sui dividendi: «L’Agenzia», ha spiegato ai giornalisti in sala stampa, «è convinta che valga per chi fa filantropia diretta non indiretta come quelle delle fondazioni», ha ricordato, «se dessimo i pasti agli indigenti in via Manin (sede milanese di Fondazione Cariplo, ndr), ne potremmo godere, se lo facciamo finanziando la Caritas, no».

Confidando nella moral suasion

È a questi due nodi che sembra essersi essere riferito il capo dello Stato, Sergio Mattarella, nel messaggio augurale, letto proprio in apertura dei lavori dal presidente Acri, laddove dice che «ridurre gli scarti tra territori e la diseguaglianza tra i cittadini è funzionale all’unità del Paese, ed è, dunque, un’attività preziosa di cui, sono certo, l’azione legislativa e il sistema fiscale sapranno tenere conto».

Un inciso di certezza, quello del Colle, che suona molto “moral suasion”. Anzi, si potrebbe dire, “social suasion”.

Le foto sono dell’ufficio stampa Acri, tranne quella di Soldi e Gabrielli, dell’autore di questo articolo.

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