Memoria
Paolo Siani: «Mio fratello non voleva essere un eroe antimafia»
La XIV edizione di “Trame”, il festival dei libri sulle mafie in programma a Lamezia Terme sino al 22 giugno, è dedicata anche alla memoria di Giancarlo Siani. Un ricordo che si inaugura con la mostra di fumetti "È lui che mi sorride". «Mio fratello raccontava i fatti così come accadevano» dice il fratello Paolo Siani. «Ma Giancarlo all'inizio scriveva di scioperi e mancanza di lavoro, non era e non voleva essere o diventare un eroe dell'antimafia»

Ruotano sulla libertà e la memoria le tappe della XIV edizione di Trame, il Festival dei libri sulle mafie, in programma a Lamezia Terme sino al 22 giugno. Un’edizione che quest’anno parte dal ricordo di Giancarlo Siani, il giornalista napoletano ucciso dalla camorra il 23 settembre del 1985. Un esercizio di memoria che riguarda anche il giudice Francesco Ferlaito, il primo giudice calabrese vittima della ‘ndrangheta a Lamezia Terme. Due storie, due umanità, delle quali si sente il dovere di fare memoria. Un ricordo, quello dedicato a Siani, che si inaugura con la mostra “È lui che mi sorride“, fumetto scritto da Alessandro Di Virgilio, con i disegni di Emilio Lecce.
«La memoria di Siani e Ferlaino», afferma Nuccio Iovene, presidente della Fondazione Trame «ci impone di non abbassare la guardia e di rinnovare ogni giorno il nostro impegno per la legalità e la giustizia. Il tema, scelto quest’anno per la nuova edizione del festival, vuole rappresentare un ponte tra passato e presente, tra memoria e impegno, tra testimonianza e azione. La libertà è un bene prezioso, che va difeso con coraggio e determinazione, soprattutto nelle terre dove la criminalità organizzata ha cercato di cancellare la speranza».
«Abbiamo iniziato a pubblicare fumetti nel 2009, parlando proprio di antimafia attraverso la storia di Don Peppe Diana», spiega Luigi Politano, presidente di Round Robin. «Il lavoro di quest’anno su Giancarlo Siani ha una doppia motivazione: prima di tutto sono trascorsi 40 anni alla morte, poi perché volevamo portare qualcosa di importante a Trame, un luogo speciale e del cuore, nel quale la memoria è viva».
«Non avrei mai immaginato che 40 anni dopo ci potessimo ritrovare qui a parlarne, forse anche più di allora. Un piccolo miracolo quello che ha fatto Giancarlo» dice il fratello, Paolo Siani, «la sua e la nostra rivincita perché Giancarlo non era il Generale Dalla Chiesa, non era Giovanni Falcone, ma un ragazzo che voleva fare solo il giornalista. Mio fratello non aveva uno di quei nomi che appartengono a illustri rappresentanti dello Stato, della magistratura, uomini ai quali si rimanda quando si pensa anche a riferimenti normativi che innovano o cambiano la storia. Se non fosse stato ucciso, lo avrebbero ricordato solo coloro i quali seguivano la cronaca locale».
Le pagine su cui scriveva Giancarlo Siani erano quelle de “Il Mattino” di Napoli, dove il 10 giugno di quello stesso anno diede notizia dell’arresto del boss Valentino Gionta, reso possibile da una soffiata a opera dei Nuvoletta, con cui erano alleati, che lo tradirono in cambio di una tregua con i casalesi, loro nemici. Fermo restando che non ci vorrebbero date segnate in rosso sul calendario per ricordare chi, come lui, faceva solo il proprio dovere, nel caso specifico quello di un giornalista che ha il compito di raccontare la verità senza omettere nulla e nessuno.






La mostra che apre “Trame” ricorda suo fratello anche dal punto di vista personale. C’erano punti di incontro tra di voi?
Già partiamo dal fatto che io e Giancarlo eravamo molti diversi. Io faccio il pediatra, quindi anche dal punto di vista professionale siamo molto lontani. L’ho sempre ammirato per il suo alto senso dell’etica e della legalità. Raccontava i fatti così come accadevano. In più lui studiava, aveva molto ben presente quali fossero i fenomeni mafiosi dell’epoca, conosceva i rapporti tra imprenditoria, politica, amministratori locali e camorra, era cosciente dei rapporti del clan camorristico dei Nuvoletta. Era un giornalista preparato, attento, bravo, raccontava i fatti e li spiegava alle persone. Anche se lui non comincia la sua carriera parlando di tutto questo perchè la maggioranza dei suoi articoli, un po’ perché lavorava per l’ufficio stampa della Filca, un po’ perché erano gli anni in cui le fabbriche chiudevano nel Sud, erano sulla mancanza di lavoro, sugli operai che scioperavano. Lo dico per fare capire che lui arriva a scrivere di camorra, non era un giornalista strutturato in tal senso come, per esempio, Roberto Saviano. Giancarlo non era e non voleva essere o diventare un eroe dell’antimafia.
Un’arresto, quello di cui scriverà Giancarlo, che non sembrò a nessuno essere tanto pericoloso
Lui fu l’unico a scrivere che questo arresto non era avvenuto per caso, come invece riportato da altri giornali, durante un controllo delle forze di polizia impegnate nelle operazioni del referendum di quei giorni. Lui riporta che era stato Nuvoletta a dire ai Carabinieri che Gionta era li e che potevano venire ad arrestarlo. Era stato, quindi, infamato un mafioso. L’unica sua colpa è stata scrivere di una cosa che sapeva essere vera e non passare la velina dei Carabinieri. Da quel momento diventa un facile bersaglio. Ovviamente allora non c’è ancora il concetto di protezione come negli anni a venire, quindi va allo sbaraglio. Se tu parli con un magistrato che si interessa di mafia, lui ti risponderà che un mafioso, una cosa del genere, non la sopporta, non può farsi dire, men che mai da un giornalista, che è un delatore.
Neanche il giornale capisce la gravità di quanto accaduto?
Una delle domande che mi sono posto io, ma non solo, è come mai, quando esce quest’articolo, nessuno della redazione si stupisce del fatto che solo loro avevano riportato la notizia in maniera del tutto differente dagli altri. Per me, che sono un medico, è difficile capirlo, ma per chi fa questo mestiere?
Ma Giancarlo era minimamente preoccupato? Sapeva o avvertiva qualcosa attorno a lui?
Che fosse preoccupato l’abbiamo scoperto molto dopo perché capimmo che quel giorno fece diverse telefonate, per cui notammo che non era sereno. Sappiamo anche che la mattina stessa chiama Amato Lamberti, l’ex direttore dell’Osservatorio sulla Camorra di cui faceva parte, per dirgli che voleva parlargli. L’indomani si sarebbero incontrati ma, alle 20.30, la vita di mio fratello viene spezzata. Abbiamo anche saputo che, alle 9 di quel 23 settembre, il Pretore lo aveva chiamato a casa perchè voleva parlargli, ma lui era già uscito.

Che ricordo le rimane di suo fratello?
Di un ragazzo allegro, gioviale, con la passione per il calcio, la musica, amava andare anche ai concerti. Insomma, un ragazzo normale aperto ai sentimenti. Ho tenuto una lunga corrispondenza con Chiara, la sua ex ragazza, che mi ha anche regalato le sue lettere. A parte qualcuna, che ho solo sbirciato, non ho ancora avuto il coraggio di leggerle.
Lei ha due figli, Ludovica e Gianmaria. Come ha raccontato loro dello zio?
Li abbiamo protetti per molti anni perché, quando andavano a scuola e la maestra faceva i loro nomi, era come se venissero etichettati. Hanno vissuto per tanti anni a fianco dei miei genitori e hanno respirato attraverso loro il ricordo di Giancarlo. Andavano al cimitero con i nonni, quindi diciamo che conoscevano la storia, anche se non capivano bene come si era sviluppata. Quando sono diventati grandi hanno elaborato tutto, avendo già assorbito tutto il dolore e l’impegno della nostra famiglia per mantenere viva la sua memoria. Oggi portano avanti la Fondazione Giancarlo Siani con l’amore e l’impegno che loro zio metteva nel lavoro e nella sua vita. Custodiscono il patrimonio culturale di Giancarlo, ma anche quello materiale, come la sua amata Mehari.
Come si elabora, se si elabora, un lutto del genere?
Il lutto si elabora, ma non lo riesci mai a cancellare, rimane là e ogni tanto emerge. Noi proviamo a incapsularlo raccontando di Giancarlo e della nostra rivincita, che è quella di non farlo dimenticare. Proviamo a farlo con quante più persone possibile, portando i suoi scritti nelle scuole, nelle università. Questo è uno dei modi che abbiamo, diciamo, inventato per elaborare il nostro lutto e per rivincere una battaglia che abbiamo perso. Lo facciamo con la cultura e la legalità.
Se oggi lei avesse la possibilità di dire qualcosa a suo fratello, cosa sarebbe?
Già anni fa avrei voluto dirgli: “Ma perché hai scritto quell’articolo? Era proprio necessario essere così dettagliato?”. È un cruccio che mi accompagna da tempo. Forse avrei potuto capire e aiutarlo a fare altre scelte. Col senno di poi, però, gli vorrei dire: “Siamo orgogliosi che tu l’abbia fatto. Anche se questo ti è costato la vita, anche se questo ci è costato il dolore più grande della nostra vita”.
Le foto sono state fornite da Paolo Siani. Le tavole del fumetto dalla Round Robin edizioni
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