Giornata mondiale
Trieste, secondo le realtà solidali il sistema d’accoglienza è in profonda crisi
Nonostante i maggiori controlli alle frontiere, le persone migranti continuano a entrare in Italia dalla rotta balcanica. Lo fanno, però, in uno stato di maggiore invisibilità. Tra gli edifici della zona del Porto vecchio del capoluogo giuliano, anche tante persone che intendono presentare domanda d'asilo, ma devono attendere fino a oltre 30 giorni per poter manifestare la loro volontà di richiedere la protezione internazionale
di Redazione

Un sistema in profonda crisi, segnato da gravi disfunzioni organizzative, da una preoccupante invisibilità delle persone migranti e da attese inaccettabili per l’accesso alla procedura d’asilo. Le organizzazioni solidali attive sul territorio triestino – Ics, Diaconia Valdese, International rescue cometee Italia, Linea D’Ombra e No name kitchen – definiscono così lo stato dell’accoglienza e della protezione dei richiedenti asilo nella città di Trieste, punto di ingresso in Italia della Rotta balcanica. «Il punto sulla situazione è drammatico. Il rapporto dell’Unhcr Global Trends, appena pubblicato, mostra un ulteriore aumento dei migranti forzati nel mondo, anche a causa della crescita dei conflitti», dice Gianfranco Schiavone, presidente di Ics. «Temiamo che la situazione possa riverberarsi sul nostro territorio nel futuro prossimo».
Chi lavora sul campo, nel territorio giuliano, non vede la drastica diminuzione dei flussi di cui parlano le istituzioni dopo la sospensione di Schengen nel 2023. Secondo i dati raccolti nel 2024 da Diaconia Valdese e Irc, il numero di persone incontrate a Trieste è diminuito solo del 16,4%. «Le persone continuano a transitare», afferma Marta Pacor, referente a Trieste per l’area servizi inclusione di Diaconia valdese, «ma con modalità sempre più rischiose e meno tracciabili, frutto dell’irrigidimento dei controlli di frontiera e della militarizzazione della rotta balcanica».

Dal primo gennaio al 31 maggio sono già quasi 3mila le persone incontrate sul territorio – e i mesi estivi, in cui i flussi sono maggiori, sono tutti davanti. Un terzo dei migranti con cui Irc è entrata in contatto presentano profili di particolare vulnerabilità: minori stranieri non accompagnati, famiglie con bambini e donne sole. Le principali nazionalità di provenienza in termini assoluti sono Afghanistan, Bangladesh e Nepal. Significativo il dato sui nuclei familiari: se nel 2024 solo il 4% esprimeva l’intenzione di restare a Trieste, nel 2025 tale percentuale è salita al 20%. «Crescono dunque i bisogni di accoglienza stabile, in particolare per famiglie, donne e minori», sottolinea Pacor.
Nei dati raccolti da Diaconia valdese e Irc non sono conteggiate le persone incontrate durante l’attività di monitoraggio notturna, compiuta nei pressi della stazione dalla ong No name kitchen. «Ci sono persone che arrivano di notte e ripartono la mattina presto, e quindi non sono incluse nei numeri presentati», osserva la volontaria e attivista di Nnk Anna Palchetti, che aggiunge: «diamo quotidianamente supporto emotivo alle persone che incontriamo, le quali pagano sulla loro pelle l’abbandono istituzionale». Nonostante una maggiore continuità e regolarità nei trasferimenti prefettizi (da gennaio ad aprile bisettimanali, a maggio settimanali), la situazione resta infatti critica.
«Il centro di prima accoglienza dell’ex Ostello Scout di Campo Sacro resta sotto-utilizzato, a causa della mancanza di adeguamenti nfrastrutturali promessi da oltre un anno», denuncia l’operatrice legale di Ics Maddalena Avon. Rispetto alle destinazioni dei trasferimenti c’è inoltre un problema informativo: «le persone a volte vengono messe su un pullman senza che venga detto loro dove verranno trasferite». Per quanto riguarda il luogo di estinazione dei trasferimenti, per quasi il 70% dei casi si tratta di centri in Sardegna: «spesso parliamo di strutture inadeguate, isolate e prive di servizi basilari, con gravi rischi per le persone con fragilità psico-fisiche», osserva Avon.
Uno dei dati più gravi resi noti nella conferenza stampa riguarda i tempi di accesso alla procedura d’asilo. Nel solo mese di maggio 2025, la media di attesa per manifestare la volontà di richiedere protezione internazionale ha superato i 20 giorni, con punte oltre i 30. Un periodo in cui le persone rimangono completamente escluse da ogni servizio, costrette a vivere in strada. «Se non le notiamo come in passato è perché le persone in attesa di formalizzare la propria domanda di asilo sono distribuite in Porto Vecchio, e non più concentrate nell’ex Silos», osserva Schiavone, «ma la situazione resta grave». La norma prevede un massimo di 10 giorni in casi eccezionali; a Trieste, in assenza di “arrivi consistenti”, i giorni dovrebbero essere 3, ma questi tempi sono largamente disattesi. Cambiano inoltre le modalità con cui le persone in movimento attraversano i confini: «siamo al cospetto del così detto Taxi game», spiega la ricercatrice per MigrEurope Arianna Locatelli. «Gran parte degli stati interni vengono attraversati a bordo di autovetture private, mentre i confini sono varcati a piedi», osserva Locatelli . «Le persone in movimento sono così maggiormente esposte alle reti di quelli che vengono chiamati “trafficanti”, mentre le persone lungo la rotta balcanica diventano ancor più invisibili». Si tratta di una «naturale risposta alla militarizzazione dei confini europei e al processo di esternalizzazione delle frontiere», conclude la ricercatrice.

«È intollerabile che una città come Trieste continui a voltarsi dall’altra parte», ha dichiarato Lorena Fornasir di Linea d’ombra. «Da gennaio a oggi abbiamo dato assistenza ad almeno 2200 persone, di cui almeno 250 minori non accompagnati. Ma dietro ai numeri ci sono persone, ferite, traumi, vite abbandonate». La solidarietà collettiva nei confronti dell’associazione è grande: «ogni mese spendiamo fino a 60mila euro per curare le persone e offrire loro pasti e vestiti. Si tratta di cifre grandi che parlano di una comunità solidale enorme, che proviene da tutta Italia». Il tutto per sopperire alle mancanze delle istituzioni, che fanno finta di non vedere le persone abbandonate (anche minorenni) in strada. «Il vero trauma», conclude Fornasir, «ce lo portiamo noi addosso, poiché non vogliamo vedere tutto questo».
Foto in apertura di Duccio Pugliese/La Presse
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