Famiglia

Sopravvivere alla fase più dura: l’attesa della fatidica chiamata

Dopo la scelta dell’ente, inizia un periodo di durata indeterminata, che condurrà all’abbinamento e alla conoscenza del bambino. Andrea Giamarino e Mariachiara Rubino

di Redazione

Euforia, entusiasmo, ottimismo, fatica, frustrazione, insofferenza, speranza, rabbia, incapacità di capire, sfiducia,voglia di andare avanti: nei tanti, troppi mesi che separano l?ottenimento dell?idoneità alla fatidica chiamata, l?equilibrio psicologico degli aspiranti genitori è messo a dura prova. Sentimenti contrastanti si susseguono, a volte a ondate ravvicinate, altre volte a periodi. Si sta come sulle montagne russe, senza però sapere quando finirà il percorso. E, come spesso accade, i compagni di giro sulle montagne russe non sempre la vivono allo stesso modo. Quando uno è euforico, l?altro magari vorrebbe scendere a terra. Oppure uno pensa già al prossimo giro, mentre l?altro si pente di aver fatto il primo. Sensazioni non sempre sintoniche, che esercitano la coppia a cercare nuovi equilibri. E se almeno uno dei due, magari a turno, riesce a mantenere fiducia e speranza, tanto di guadagnato per tutt?e due.

Incertezza sui tempi
Forse più della lunghezza dell?attesa, già di per sé pesante, a essere dura da tollerare è l?indeterminatezza della sua durata. Anche perché non se ne capisce il motivo. Non si potrebbe far tutto in nove mesi, come una gravidanza normale? Siamo disposti a concederne anche dodici. Macché. La chiamata del Tribunale dei minori resta un?eventualità sospesa nelle nebbie dell?incertezza assoluta. E le associazioni in genere non sono in grado di dare una data precisa alla vostra partenza. Spesso nemmeno una data orientativa. Troppi elementi sono fuori dal loro controllo per dare qualunque tipo di certezza. E anche quando fanno delle ipotesi, spesso si rilevano (a posteriori) eccessivamente ottimiste. D?altronde, senza una robusta iniezione di ottimismo, nel caso delle adozioni, è difficile tagliare il traguardo.

Guai a perdersi d?animo
All?inizio è facile. Il sollievo per aver ottenuto l?auspicata idoneità dà una grande spinta. E in genere si trova sempre un?associazione che, di norma in buona fede, asseconda il nostro entusiasmo. Insomma, malgrado chiunque scelga di infilarsi nell?avventura dell?adozione abbia sufficienti elementi, derivanti dalle esperienze di chi l?ha preceduto, per sapere che sarà una strada lunga, all?inizio non ci crede. «In genere è così», si tende a pensare, «ma per noi sarà diverso. Sarà tutto velocissimo». La durata di questo stato di grazia è variabile. Ma un bel giorno, all?ennesima telefonata interlocutoria con il vostro ente, vi piomba addosso la certezza che per voi sarà come per tutti gli altri. Maledettamente lunga. Guai a perdersi d?animo. Parte da quel momento un sottile gioco di equilibrismo psicologico. Da un lato c?è la necessità di tenere viva la speranza e la prospettiva della genitorialità, magari continuando a leggere libri sull?adozione o partecipando a qualche incontro. Dall?altro, per non macerarsi nell?attesa, è meglio sforzarsi di fare una vita ?normale?, impedendo al tarlo della chiamata di scavare nella vostra testa.

Mille colpi di scena
Poi ci sono i momenti difficili: solo pochi fortunati ne restano immuni. Paesi su cui avevate fatto affidamento che improvvisamente chiudono alle adozioni, prospettive di partenza che slittano in avanti, partenze saltate per questioni di cavilli.
Per non parlare di chi, purtroppo succede anche questo, arriva a destinazione e poi è costretto a tornare a casa senza figli sulle ginocchia. Non sappiamo se sia un allenamento per sviluppare quella pazienza di cui ci sarà bisogno per crescere i nostri figli. Quel che è certo è che il training non è affatto leggero.
Oltre ai miraggi e alle false partenze, ogni tanto capita anche che alcune coppie si vedano proporre qualche ?superofferta?. Un nome orrendo (altri non ce ne sono venuti) che serve a individuare i casi in cui agli aspiranti genitori vengono proposti abbinamenti lontani, o molto lontani, da quello che ci si era immaginati.

Le risposte del cuore
Volevate due fratellini piccoli? Ve ne propongono quattro grandicelli. Eravate disposti ad accettare qualche lieve handicap? Il quadro clinico del bimbo o della bimba è più grave di quello che vi aspettavate. Sono momenti drammatici, di grande stress emotivo. Normale e logico che si entri in crisi. Le due tentazioni più forti sono la fuga o l?accettazione inconsapevole.
La prima è una grande occasione persa, la seconda porta a una scelta che rischia di costare molto. Occorre guardarsi dentro, guardarsi negli occhi, guardare in faccia alla realtà. Chiedersi se si hanno le risorse, fisiche, psicologiche e materiali, per affrontare una simile situazione. Ascoltare e condividere pensieri e paure del proprio marito o della propria moglie. Accettare le risposte che ci vengono dal cuore, qualunque esse siano.
Sarà la risposta di due persone che hanno affrontato una prova dura. E che quindi saranno più pronte di prima ad affrontare le prove successive.

I protagonisti si raccontano-Un processo che non puoi controllare
Lei vista da lui.
«ha saputo diventare più fatalista»

Mia moglie è una che affronta la vita di petto. Che le situazioni cerca di costruirsele, anziché aspettare che arrivino. Così è stato anche nell?adozione.
Cercando sempre nuovi modi per aggiungere quel tassellino che consentisse di arrivare prima al traguardo, magari anche solo un minuto prima. Offrendo le proprie idee, impegnandosi in prima persona per cercare di percorrere nuove strade o di aprire nuovi canali di comunicazione o di collaborazione. Anche quando sembravano improbabili. Tutto con grande generosità. Ma l?adozione è forse uno dei percorsi in cui il controllo della situazione e degli eventi sfugge maggiormente dalle mani degli aspiranti protagonisti, chiamati a superare se stessi in termini di capacità di attesa.
Impotenza e frustrazione sono sentimenti con cui si deve fare i conti. Lei ha imparato a gestirle, credo con grande fatica ma anche con costrutto. è diventata più fatalista di prima. Appena un pizzico.

Lui visto da lei.
«ammiro la sua incrollabile fiducia»

Mio marito è una di quelle persone che sa prendere la vita così com?è: è sufficientemente saggio da accettare quello che non si può cambiare, pur continuando a sperare nel futuro con la fiducia di un inguaribile ottimista. Non si è mai fatto prendere dall?impazienza, ma non si è mai neanche scoraggiato del tutto. Ed è sempre stato convinto che, alla fine, anche noi avremmo trovato i nostri figli. O la vita li avrebbe trovati per noi.
Credo sia l?atteggiamento ideale per ?sopravvivere? al cammino dell?adozione. Io senza di lui non ce l?avrei fatta. Mi ha aiutato a tollerare una verità per me crudele: per quanti sforzi, per quante idee, per quante energie mettessi nel processo adottivo, non ne potevo controllare nessun ingranaggio. In alcun modo. Molto meglio un atteggiamento zen, in cui riesci almeno un po? a distaccarti dall?idea. Inshallah! Certo se fossimo in un Paese veramente civile, come la Francia o la Germania, non bisognerebbe sottoporsi a questa ?evoluzione forzata.?

Consigli in pillole
? Mantenete contatti periodici con la vostra associazione per seguire l?evoluzione della vostra vicenda.
? Frequentate qualche famiglia adottiva: vedere una testimonianza vivente che arrivare in fondo è possibile vi aiuterà a tenere salda la speranza.
? Partecipate a qualche incontro con associazioni o genitori adottivi e continuate a leggere sull?argomento.
? Non trasformate la vostra attesa in un?ossessione.
? Per informazioni:www.commissioneadozioni.it , tel. 800.118330

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