Famiglia
Affido e adozione, è l’ora di cambiare la legge 184?
Francesca Puglisi dieci anni fa era senatrice Pd e la legge sulla continuità degli affetti porta il suo nome. Oggi sta lavorando, fuori dal Parlamento, ad alcune proposte di modifica, a cominciare dal fatto che gli affidatari potrebbero fare ricorso qualora i giudici scegliessero per l'adozione un'altra famiglia. «La verità è che gli emendamenti alla 173 non bastano, è tempo di mettere mano alla 184», dice

Il giudice dovrà interpellare la famiglia affidataria circa l’eventuale disponibilità a chiedere in adozione il minore che hanno in affido, a pena di nullità del provvedimento. Qualora la domanda di adozione della coppa affidataria venisse rigettata, ci dovrà essere un decreto motivato e si potrà portare la decisione in Corte d’Appello e fare ricorso in Corte di Cassazione. Infine, se la coppia affidataria, ancorché non in possesso dei requisiti di età ed indipendentemente dalla forma giuridica dell’affido eterofamiliare, richiede l’adozione del minore il Tribunale, dovrà svolgere le indagini, sentire entro trenta giorni la coppia affidataria, il minore e il curatore speciale e decidere con decreto motivato. Il provvedimento è reclamabile e l’impugnazione del provvedimento ne sospende l’esecuzione.
Sono queste le proposte di possibili emendamenti alla legge sulla continuità degli affetti, la 173/2015, a cui si sta lavorando per ora fuori dal Parlamento. Francesca Puglisi di quella legge dieci anni fa era la prima firmataria. Oggi non è più in Parlamento ma sta continuando a lavorare sul tema. Ha voluto intervenire nel dibattito a seguito dell’intervista a Joëlle Long, associata di Diritto privato presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino, pubblicata su VITA a inizio giugno. «Ho letto con grande interesse l’intervista alla professoressa. A parte il titolo, condivido pienamente le cose che ha detto. In particolare il fatto che questa legge, per essere applicata correttamente, andava accompagnata meglio perché ha bisogno di una grande formazione dei professionisti coinvolti: vanno riorientati i servizi sociali, la magistratura e l’avvocatura, gli psicologi ma anche tutto il mondo che lavora sulle adozioni e sull’affido familiare».
Non è stato fatto?
La Regione Piemonte, come è stato ricordato nell’articolo, ha fatto una delibera che dà indicazioni molto chiare, che va a cambiare completamente l’indirizzo di lavoro dei servizi abrogando la delibera precedente. Non credo sia successo lo stesso in tutta Italia. L’allora Autorità Garante dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Filomena Albano, realizzò un monitoraggio ad un anno dall’approvazione, istituendo una Commissione ad hoc presieduta da Laura Laera: dopo il primo anno i risultati in realtà erano incoraggianti. Erano state formulate anche delle raccomandazioni ai servizi sociali, al Consiglio nazionale ordini assistenti sociali, all’Anci, alle autorità giudiziarie e al ministero della Giustizia. Quel lavoro poi non è stato portato avanti.
Dieci anni dopo, c’è bisogno di rivedere la legge?
Sì, perché le famiglie sono cambiate. Anche in questi giorni, partecipando ad alcune presentazioni del nuovo libro di Carla Forcolin, (L’adozione sta cambiando, Franco Angeli, 2024, ndr) con cui lavorammo molto ai tempi della legge 173, mi accorgo di una evidenza: sono cambiate le famiglie, sono cambiate le loro condizioni economiche, probabilmente è cambiato anche il loro desiderio di genitorialità. Ma soprattutto sono intervenuti due fatti importanti: la sentenza la 183 del 2023 della Corte Costituzionale sull’adozione aperta e quella recentissima che ha aperto ai single le adozioni internazionali. La Corte Costituzionale, come avevamo fatto noi nella legge 173/2015, dà una forte rilevanza ai diritti dei bambini e delle bambine, dicendo che hanno diritto all’integrità della loro storia e quindi a mantenere quelle relazioni positive che vivono. L’altro tema è quello delle zone grigie, perché le nostre vite non sono mai bianche o nere, ci sono in mezzo tutte le sfumature del grigio, di famiglie che si scompongono e si ricompongono, di accidenti ed ostacoli che la vita di ciascuno di noi incontra. Invece ci sono ancora dei giudici – la cronaca ce lo dimostra – che si ostinano a voler mantenere l’assoluta separatezza tra l’istituto dell’adozione e l’istituto dell’affido, senza voler vedere le zone grigie che nella realtà ci sono. Quindi anche se non sono più in Parlamento ci siamo messi a riflettere sulla 173 e su come poter intervenire per migliorarla da un punto di vista tecnico. Anche se il punto, oggi, secondo me non è tanto rivedere la 173 dopo dieci anni: oggi è la legge 184 del 1983 ad aver bisogno di una revisione, perché sono passati troppi anni. Non si tratta più di intervenire rappezzando quella legge per via emendativa, ma occorrerebbe davvero fermarsi e fare spazio ad un pensiero nuovo, basato proprio sul mettere al centro i diritti dei bambini e delle bambine. Mi sono convinta che si debba aprire questa nuova stagione di riscrittura di un testo quadro, che parta dai diritti dei più piccoli.
Il punto secondo me non è tanto rivedere la 173 dopo dieci anni: oggi è la legge 184 del 1983 ad aver bisogno di una revisione. Non bastano emendamenti, serve un pensiero nuovo
Francesca Puglisi
Dire “i diritti dei bambini al centro” può essere interpretato in modi diversi… esattamente per lei cosa dovrebbe esserci al centro?
Secondo me è arrivato il momento di scrivere una nuova legge sulle adozioni e sull’affido, che metta davvero al centro il diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine. Pensiamo a quanto è cambiato rispetto al 1983 con l’avvento dei social: oggi un ragazzino adottato, anche se non ha mai conosciuto i suoi genitori, attraverso i social, riesce facilmente a rintracciare le proprie origini. È cambiato il mondo, quella legge non può restare immobile. È il momento di chiamare a raccolta tutto il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza ribadendo la centralità dei diritti dei bambini e delle bambine per cercare di dare a tutti davvero una famiglia, nella larga accezione che questo termine ha nel 2025, che sappia sorreggerli ed accompagnarli nel percorso di crescita.
Cominciamo dai miglioramenti tecnici alla legge 173: cosa avete in mente?
La legge 173 da un punto di vista tecnico ha un punto di debolezza, che non dà la possibilità alla famiglia affidataria di ricorrere. Basterebbe un emendamento per migliorarla da questo punto di vista.

C’è l’intenzione di rendere un automatismo il fatto che qualora il minore in affido diventi adottabile e la famiglia affidataria dia disponibilità all’adozione, sia questa la scelta?
Io in realtà ritengo corretto che resti una valutazione da parte dei servizi e da parte del giudice, proprio perché dobbiamo avere sempre al centro della nostra azione non i desideri degli adulti, ma i diritti dei bambini. Quindi no, io la decisione dal tribunale la lascio assolutamente. Questa discussione peraltro la facemmo anche dieci anni fa ed è rintracciabile nei lavori parlamentari che hanno portato all’approvazione della legge 173: alla fine fu una scelta condivisa quella di lasciare comunque al giudice minorile la decisione finale. Io mi aspetto che un giudice minorile e i servizi tutti lavorino per tutelare il prioritario interesse del minore, io ho fiducia nella magistratura. Però per la famiglia affidataria il fatto di poter fare ricorso su più gradi davanti alla decisione dei giudici, secondo me diventa una garanzia aggiuntiva, per evitare quelle situazioni che derivano da giudici “affezionati” alla vecchia visione per cui affido e adozione sono sempre e comunque due strumenti nettamente distinti o che pensano che gli adulti vogliano fare un affido per accelerare i tempi dell’adozione. Questa è la grande ossessione che alla fine alleggia su questa cosa. Ma con questo sospetto purtroppo si rovina la vita dei bambini e delle bambine, perché per tenere separati i due istituti, distruggono la vita delle persone.
Io ritengo corretto che resti una valutazione da parte dei servizi e del giudice, proprio perché dobbiamo avere sempre al centro della nostra azione non i desideri degli adulti, ma i diritti dei bambini. Però per la famiglia affidataria poter fare ricorso diventa una garanzia aggiuntiva
Francesca Puglisi
Però questo è un tema centrale, perché rispetto a dieci anni fa ci stiamo ripetendo molto più spesso di quanto sia concreto il rischio di una visione adultocentrica in tutto ciò che riguarda i minori e di come i desideri degli adulti rischino di pesare molto più dei diritti dei bambini e delle bambine….
È vero, ma questo mi rafforza ancora di più nella convinzione che oramai la legge 184 non funzioni più. Questo significa che serve uno sforzo corale da parte di tutto il mondo che si occupa di minori, anche associativo. Penso per esempio al crollo delle adozioni internazionali: quanti bambini e bambine con un affido internazionale potrebbero godere di un’educazione migliore, di cure migliori? Potremmo pensare ad una accoglienza temporanea di questo tipo, con con un nuovo istituto? Io penso che ci sia una grande generosità nelle famiglie italiane: se ci fossero messaggi positivi, nuovi su come sostenere la crescita di un bambino o di una bambina, secondo me tanti e tante si farebbero avanti. C’è veramente tanto di buono nella società italiana, che però forse resta un po’ sopito perché manca dello slancio anche ideale da parte della politica, che lo sappia far emergere.
Restando al tecnico, c’è il paradosso di dover scrivere in un decreto il mantenimento di una relazione con altri: non è una limitazione della responsabilità genitoriale? Come nei tribunali concretamente si sono gestite le prassi?
Questo però vale anche per l’adozione aperta e la Corte ha dato un indirizzo molto chiaro. Se le relazioni affettive sono considerate rilevanti per quella persona di minore d’età, devono essere mantenute. Questo diventa parte della responsabilità genitoriale. I tribunali nei decreti scrivono cose anche molto dettagliate, anche nelle cause di separazione: mi sembra una questione assolutamente superabile. Il punto è che i giudici abbiano chiaro quali sono i diritti dei bambini e delle bambine e non pensare sempre che i bambini siano resilienti, che poi certe cose le dimenticano… perché non è così, sono ferite profonde che poi comunque restano o riemergono in futuro. Io credo ancora nel fatto che le leggi abbiano un valore pedagogico. Certo, l’importante è coinvolgere tutti gli stakeholder prima di arrivare a un testo di legge. Io almeno, ho sempre fatto così.

Torniamo un attimo lì, a dieci anni fa. Come è nata la legge 173/2015?
Sul tema della continuità degli affetti già negli anni precedenti c’erano stati dei tentativi, su spinta di Carla Forcolin e dell’associazione La Gabbianella. Io l’avevo conosciuta ai tempi della “Consulta Rodari”, preseduta da Anna Serafini, che affiancava il lavoro di elaborazione politico-culturale sui diritti dell’infanzia del Pd, il mio partito. Quando ero senatrice successe però un episodio preciso. La terza dei miei figli, Vittoria, l’ultimo giorno di scuola della seconda elementare tornò a casa molto triste, raccontandomi che un suo compagno di classe aveva dovuto dire addio per sempre alla sua sorellina. Questa bambina era entrata nel suo nucleo familiare in affido praticamente da neonata e stava uscendo dopo quattro anni per andare in adozione in un’altra famiglia. La cosa che mi colpì fu la frase di mia figlia, «non vedrà mai più sua sorella». Ogni volta che mi viene in mente, mi commuovo. Questo portato di dolore per tutti, per quella bambina che doveva salutare per sempre quelli che considerava i suoi genitori e per la famiglia che l’aveva accolta. Questa cosa mi colpì tantissimo, richiamai immediatamente Carla per mettermi al lavoro su quella legge. Un grande contributo alla 173 lo diedero Antonio Fadiga e Lucrezia Mollica. La legge poi è stata approvata all’unanimità dal Parlamento, segno che c’è stato un lungo lavoro preparatorio. Ho dovuto rinunciare ad un punto che mi stava molto a cuore, cioè che è il fatto che anche gli affidatari single potessero presentare domanda di adozione. Su quello influì il fatto che in Aula, subito dopo la 173, arrivava la legge sulle Unioni Civili. D’accordo anche con la relatrice della legge, insieme al mio gruppo decisi di rinunciare a quel punto pur di far fare all’ordinamento un passo avanti.
Le sembra che politicamente questo momento il momento giusto per mettere mano a una legge così delicata come la 184?
Se ci si mette di buona lena a confrontarsi, riaprendo un dibattito culturale che rimetta al centro i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, perché no?
Perché quelle leggi sono figlie di una stagione culturale ben precisa in cui c’era davvero una consapevolezza e una volontà di mettere l’infanzia al centro. Oggi forse rischiamo di fare peggio.
Anche davanti ad alcuni emendamenti che vennero presentati alla 173 in Commissione Giustizia mi si rizzarono i capelli in testa… però confido nel fatto che le persone che davvero hanno a cuore l’infanzia e i diritti dei bambini e delle bambine si sappiano unire, coinvolgendo anche i gruppi parlamentari a cui appartengono. E in Parlamento di persone così ce ne sono. Intanto far partire un dibattito culturale nella società, tra le famiglie e tra le associazioni è veramente importante.
Foto di Fermin Rodriguez Penelas su Unsplash
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