Lavoro
Giovani sempre più istruiti, salari sempre più bassi
Una ricerca dell'Area studi Legacoop e Prometeia analizza il disallineamento tra i titoli di studio e le richieste del sistema produttivo, mettendo in luce le distorsioni che ne derivano in termini salariali. Giovani e donne ancora una volta i più penalizzati. «Questo mismatch mina la competitività, produce frustrazione sociale e rischia di scoraggiare le nuove generazioni», avverte Simone Gamberini, presidente di Legacoop
di Redazione

Il livello medio di istruzione dei lavoratori italiani è aumentato in modo significativo negli ultimi decenni, in particolare tra il 2011 e il 2022, eppure questo progresso non è stato accompagnato da un adeguamento della domanda di lavoro ad un’offerta con qualifiche più elevate e, di conseguenza, da una congrua valorizzazione economica. È quanto emerge dal monitor “Il mismatch di qualifiche nel mercato del lavoro italiano”, realizzato da Area Studi Legacoop in collaborazione con Prometeia, che analizza il disallineamento tra titoli di studio e richieste del sistema produttivo, mettendo in luce le distorsioni che ne derivano in termini salariali.
In Italia, un numero significativo di lavoratori svolge mansioni non in linea con il proprio livello di istruzione, le competenze o l’ambito di studi, che quindi non corrispondono alle richieste delle posizioni attualmente ricoperte. Dalle elaborazioni effettuate sui dati contenuti nella nuova edizione della Survey of adult skills – Piaac condotta dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico – Ocse, si rileva che, nel 2022, un lavoratore italiano aveva in media 12,6 anni di istruzione contro gli 11,3 del 2011. Un salto di oltre un anno, particolarmente marcato nei lavoratori della fascia d’età 35-44, che hanno allineato il proprio livello di istruzione con le fasce d’età più giovani. Tuttavia, l’aumento del livello di istruzione dei lavoratori non è stato accompagnato da una crescita equivalente negli anni di istruzione richiesti dalle imprese. La domanda di lavoro, cioè, non si è adeguata ad un’offerta con qualifiche più elevate. Questo squilibrio ha portato a un incremento dei lavoratori sovra-qualificati, passati dal 7,8% nel 2011 al 12,7% nel 2022, mentre i sotto-qualificati sono scesi dall’11,3% all’8,1%. La differenza tra gli anni di istruzione richiesti dalle imprese e quelli posseduti dai lavoratori genera un’offerta di lavoro con un eccesso di istruzione. Per ciascun lavoratore è stata calcolata la differenza tra gli anni di istruzione richiesti per l’occupazione svolta e quelli effettivamente conseguiti: il mercato del lavoro italiano è passato da una situazione in cui il livello di istruzione era mediamente adeguato alle mansioni svolte (nel 2011), a una fase di eccesso di istruzione pari in media a 0.8 anni (nel 2022). I lavoratori, in particolare i più giovani, si ritrovano quindi a svolgere ruoli che non riflettono il proprio percorso formativo.

«Alcuni nodi strutturali emersi nella eccezionale fase post-pandemica segneranno a lungo il nuovo periodo della incertezza», commenta Simone Gamberini, presidente di Legacoop. «I dati confermano un aspetto poco considerato del famigerato mismatch, un paradosso strutturale del mercato del lavoro italiano: cresce il livello d’istruzione, ma non la capacità del sistema produttivo di valorizzare le competenze, generando sovraqualificazione e salari inadeguati, soprattutto per giovani e donne. Questo mismatch mina la competitività, produce frustrazione sociale e rischia di scoraggiare le nuove generazioni: ma attenzione, non si costruisce nulla sulla delusione e le speranze tradite. Le famigerate e mai davvero realizzate politiche attive del lavoro rappresentano, sempre più, uno degli aspetti cruciali delle politiche industriali. Per questo occorre un investimento strutturale in politiche attive del lavoro, orientamento formativo coerente con i bisogni produttivi, valorizzazione delle competenze e maggiore equità retributiva. Le cooperative sono pronte a contribuire a un modello di sviluppo più giusto, moderno e inclusivo».
Dal 2015 la domanda di lavoro è stata guidata da settori caratterizzati da un tasso di posti vacanti maggiore rispetto agli altri e in cui i lavoratori posseggono un eccesso di istruzione. Nel primo trimestre del 2023, al picco dell’espansione del mercato del lavoro, il tasso di posti vacanti nei settori caratterizzati da surplus di istruzione era pari al 2.3%, mentre negli altri settori e nelle costruzioni era pari rispettivamente all’1.9 e all’1.7%. Le maggiori difficoltà a coprire le posizioni aperte potrebbero essere dovute al fatto che l’istruzione, in questi settori, non viene adeguatamente valorizzata.
Il mismatch ha impatti diretti sui salari. Nel settore industriale in senso stretto (manifattura, estrazione mineraria, fornitura di energia, fornitura di acqua) ogni anno di studio oltre il livello richiesto dal ruolo viene pagato in media solo il 67% di quanto vale un anno di istruzione addizionale perfettamente allineato. L’istruzione extra è comunque remunerata, ma il suo rendimento marginale è più basso rispetto a quello dell’istruzione richiesta dalla posizione ricoperta. Ancora più pesante l’effetto del deficit di istruzione: ogni anno di istruzione mancante rispetto al requisito si traduce in una vera e propria perdita monetaria, con un rendimento marginale che diventa negativo (- 50%) per il lavoratore.
La sovraqualificazione è molto più diffusa tra i giovani. Nel 2022, la quota di sovra-qualificati tra i 25-29enni era superiore di 7,3 punti percentuali rispetto a quella dei 60-65enni. Questo dimostra come le nuove generazioni paghino il prezzo più alto del disallineamento: studiano di più, ma non trovano occupazioni adeguate alle proprie competenze. A ciò si aggiunge il divario di genere. Sempre nel settore industriale in senso stretto, anche quando le donne hanno un’istruzione perfettamente adeguata al ruolo ricoperto, il loro salario è in media inferiore del 12% rispetto agli uomini. Il divario sale al 23% nel caso di eccesso di istruzione e al 20% in caso di deficit. In tutti i casi, le donne sono più svantaggiate, confermando una doppia penalizzazione: per genere e per mismatch.
Credit foto di apertura : Pexels
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