Trattato di Ottawa
Il ritorno delle mine antiuomo: quali conseguenze per i civili e l’ambiente?
L'Ucraina intende ritirarsi dalla Convenzione di Ottawa, che vieta l'uso, la produzione e l'accumulo delle mine antiuomo. Prima di lei anche Lituania, Estonia, Lettonia, Finlandia e Polonia si erano mosse in questa direzione. «C'è un generale indebolimento delle convenzioni per la protezione dei civili in guerra. È evidente che, da ogni dove, c'è un attacco feroce alle norme nate dalle sofferenze delle guerre passate per tutelare i civili», dice Giuseppe Schiavello, direttore dell’associazione Campagna italiana contro le mine
di Anna Spena

L’Ucraina intende ritirarsi dalla Convenzione di Ottawa, firmata nel 1997, che vieta l’uso, la produzione e l’accumulo delle mine antiuomo: è il più importante trattato internazionale che limita l’utilizzo di questo tipo di armi. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha firmato un decreto in tal senso, ma il ritiro diventerà effettivo solo con l’approvazione del parlamento. In precedenza, anche Lituania, Estonia, Lettonia, Finlandia e Polonia si erano mosse in questa direzione. Sono tutti Paesi geograficamente vicini alla Russia che, invece, non ha mai aderito alla Convenzione. «C’è un grande disappunto generale», dice a VITA Giuseppe Schiavello, direttore dell’associazione Campagna italiana contro le mine.
Come valuta il ritiro di questi Paesi?
In alcuni dei parlamentari dei paesi europei che hanno espresso la volontà di uscire dalla Convenzione c’è ancora una sensibilità nel voler mantenere una certa distanza dall’uso delle mine. Purtroppo, questa ondata di “terrore bellicistico”, in cui sembra di poter essere attaccati da un momento all’altro, ha evidentemente rafforzato tale narrazione, e la reazione è stata sostanzialmente questa. C’è da dire, però, che questi paesi, una volta finalizzato l’iter parlamentare per uscire dalla Convenzione, dovranno attendere altri sei mesi dal momento in cui il ritiro viene notificato alle Nazioni Unite. Pertanto, c’è ancora un po’ di tempo per cambiare le carte in tavola.
E invece per l’Ucraina?
La situazione è diversa. L’Ucraina è un paese che ha aderito alla Convenzione ed è anche in guerra. La Convenzione, all’articolo 20, prevede che un paese non possa ritirarsi se non dopo la fine delle ostilità. Già nel 2023-2024, durante i meeting degli Stati parte, la campagna internazionale anti-mine aveva sollevato il dubbio che forze ucraine stessero utilizzando mine anti-persona, come documentato da organizzazioni indipendenti internazionali che operavano sul campo. E dobbiamo considerare anche un altro aspetto.
Quale?
L’Ucraina potrebbe utilizzare queste armi nel suo territorio, il che indica un livello di disperazione evidentemente molto elevato. L’utilizzo massivo delle mine servirebbe per ritardare l’avanzata delle truppe russe. Questo è un atto che io vedo, ripeto, come un atto di disperazione. Non credo che cambierà le sorti della guerra. Tra l’altro queste armi sono ormai obsolete. Facevano parte delle guerre del Novecento. Oggi le mine sono state sostituite da mezzi ben più efficienti. Dobbiamo ricordare che l’88% delle vittime di queste armi sono civili e di questo 88%, il 42% sono bambini. Per non parlare poi dei terreni minati: quanto tempo ci vorrà per restituirli al lavoro e alla produttività? Il processo di bonifica è lungo e costoso. Prima c’è la circoscrizione delle aree per identificare quelle potenzialmente minate. Dopo la circoscrizione dell’area si cerca di restringere il campo. Poi si passa alla bonifica che viene fatta manualmente e quindi è lenta perché i criteri di sicurezza sono molto elevati. Solo alla fine della bonifica il terreno viene detto “mine free”. Ciò non significa però che potrà essere riutilizzato perché per restituirlo all’agricoltura bisognerà anche verificare se è stato contaminato da metalli pesanti, il che richiederà ulteriori bonifiche ambientali per riequilibrare il terreno e renderlo produttivo e non nocivo. Insomma, è un procedimento lunghissimo. Nel caso dell’Ucraina, possiamo agevolmente pensare che ci saranno attività di bonifica che andranno avanti per i prossimi 30-40 anni.

La Campagna internazionale per il bando delle mine antiuomo nata nel 1992 è una coalizione di organizzazioni non governative formatasi grazie al contributo della sua coordinatrice, l’attivista americana Jody Williams.
Paesi come la Cambogia, il Vietnam o l’Afghanistan avevano subito conflitti pesanti. Questi paesi denunciavano il perdurare degli effetti delle mine sui civili. Le mine venivano usate in modo terroristico e piazzate disordinatamente anche all’interno di case e pozzi, causavano mutilazioni, fiaccavano intere popolazioni, specialmente quelle agricole. Una persona che non poteva più lavorare a causa di una mutilazione rappresentava un problema enorme a livello sociale e comunitario. Questa situazione è stata portata all’attenzione della comunità internazionale da sei organizzazioni internazionali – Handicap International, Human Rights Watch, Medico International, Mines Advisory Group, Physicians for Human Rights e la Vietnam Veterans of America Foundation – anche la Croce Rossa Internazionale ebbe un ruolo determinante. All’epoca, si registrava una vittima ogni 20 minuti. Si attivò così una campagna dal basso, e alcuni paesi, tra cui il Canada e la Norvegia, aprirono un percorso diplomatico per discutere del problema. Nel 1997 si riuscì a raggiungere la Convenzione, il testo che fu inizialmente sottoscritto da 40 Stati. E sempre nel 1997 il Premio Nobel per la Pace fu assegnato congiuntamente a Jody Williams e alla Campagna internazionale per il bando delle mine antiuomo per il loro lavoro. Fu un fatto quasi incredibile per un’attività di disarmo umanitario partita dal basso. Da quel momento, gli Stati che hanno sottoscritto la Convenzione si sono impegnati a non produrre e non commerciare mine anti-persona; liberarsi dagli arsenali esistenti; bonificare i propri territori contaminati ed essere in conformità con tutte le norme del trattato, che prevedevano la trasmissione di dati alle Nazioni Unite e la trasparenza sui passi compiuti per raggiungere l’obiettivo di un paese “mine free”, libero non solo dalla contaminazione, ma anche dalla produzione, commercio e uso.
Come interpreta la tendenza al ritiro dalla Convenzione di Ottawa?
Sul caso specifico dell’Ucraina è difficile dare un giudizio. Quello che vedo a livello generale è un indebolimento di tutte quelle convenzioni che sono state una conquista per la protezione dei civili nell’ambito delle guerre. È venuta a mancare la volontà di rispettare le norme di guerra e l’impossibilità di perseguire coloro che violano sistematicamente il diritto internazionale umanitario. Credo sia sotto gli occhi di tutti che, da tutte le latitudini, c’è un attacco feroce e insensato a tutte quelle norme che erano nate dalle sofferenze delle guerre precedenti e che cercavano di tutelare i civili. Ci sono delle leggi che andrebbero rispettate e basta per una questione di civiltà e per non ripetere gli orrori delle guerre precedenti. Si stanno distruggendo dei pilastri fondamentali. Cosa succederà senza regole? Oggi tocca all’Ucraina, a Gaza, vediamo attacchi terroristici come quello del 7 ottobre di Hamas. Ma nessuno di noi può immaginare che tocchi sempre solo agli altri.
Credit foto LaPresse
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