Migranti
Reati e minori stranieri non accompagnati: vediamo le colpe, ma non i traumi
I ragazzi che arrivano oggi in Italia hanno delle caratteristiche molto diverse rispetto a una decina di anni fa. Spesso hanno affrontato lunghi e traumatici viaggi. Molti hanno già in partenza problematiche comportamentali o psichiatriche. «Fanno largo uso di psicofarmaci e lo stesso accade in Ipm, per controllarne i comportamenti problematici», dice Virginia Suigo, psicoterapeuta. «Ma così il passaggio nelle comunità socioeducative diventa difficilissimo. Bisogna mettere in piedi percorsi di accoglienza e di integrazione adatti, più distribuiti sul territorio»

«I minori stranieri non accompagnati che arrivano oggi in Italia hanno delle caratteristiche diverse rispetto a quelli che vedevamo anche solo una decina di anni fa». Virginia Suigo, psicoterapeuta, coordina l’équipe degli psicologi del Minotauro che collaborano con i Servizi della Giustizia minorile della Lombardia. Ha scritto alcuni capitoli del nuovo libro a cura di Alfio Maggiolini, Non solo baby gang (Franco Angeli), che scatta una fotografia realistica dei reati commessi da minori in gruppo, al di là dell’allarme sociale (inappropriato) attorno al tema.
Insieme al suo gruppo di lavoro, Suigo incontra i minori che commettono reato presso l’Ufficio del servizio sociale per i minorenni – Ussm di Milano, un’unità organizzativa del ministero della Giustizia che si occupa di assistere i minorenni coinvolti in procedimenti penali. La presenza dei minori stranieri non accompagnati è in crescita: l’Ussm nel 2023 contava 113 msna su 896 minori presi in carico, +88,3% rispetto al 2022. Al Centro di Prima Accoglienza – Cpa di Milano, la struttura che accoglie i minorenni in stato di arresto, fermo o accompagnamento, fino alla convalida dell’arresto o del fermo, o alla convalida dell’espulsione, nel biennio 2018/19 i msna erano il 5,1% dei minori mentre sono diventati il 20,6% nel biennio 2022/23. Il fenomeno c’è e merita di essere affrontato tenendo presenti le specificità di questi ragazzi.
«Si portano dietro storie molto drammatiche, traumi con la T maiuscola», spiega Suigo. Con i colleghi entra in gioco quando i ragazzi hanno un po’ imparato a parlare l’italiano, «perché non ci sono grandi risorse per i mediatori culturali. Questa è una grossa mancanza del nostro servizio, non riusciamo a vedere nelle prime fasi i msna che stanno in Cpa oppure in Ussm», prosegue Suigo.
In che senso i msna oggi sono diversi anche solo da una decina di anni fa? Quali caratteristiche hanno?
Il profilo tradizionale del minore straniero non accompagnato a cui eravamo abituati era quello del ragazzo su cui c’era un investimento, un mandato familiare importante. Su di lui la famiglia scommetteva. Infatti, ci chiedevamo quanto fosse propria la definizione di minori stranieri non accompagnati, perché in realtà non erano quasi mai soli, anzi, erano molto spesso fin troppo oberati da mandati familiari molto concreti: inviare soldi, essere di aiuto alla famiglia. Vedevamo dei ragazzini molto sovraccaricati rispetto al fatto che la famiglia si aspettava una facilità e rapidità dell’integrazione nella realtà lavorativa italiana, cosa che invece si scontrava spesso con i percorsi giustamente tutelanti rispetto alla loro minore età.
E ora quali sono le condizioni di questi ragazzi?
Adesso vediamo molto spesso delle situazioni compromesse. Arrivano in Italia ragazzi che già avevano problemi importanti nel Paese d’origine, esacerbati da viaggi migratori che hanno comportato traumi che si sono aggiunti a quelli che c’erano prima. Si tratta molte volte di ragazzi che già avevano difficoltà comportamentali, scappavano via di casa oppure già avevano un problema di avversione alle regole nel Paese di origine. Su di loro non c’è più nessun investimento familiare perché anzi la famiglia non riusciva a gestirli e spera appunto che troveranno la loro strada altrove.
Vediamo molto spesso delle situazioni compromesse, arrivano in Italia ragazzi che già avevano problemi importanti nel Paese d’origine, esacerbati da viaggi migratori che hanno comportato traumi che si sono aggiunti a quelli che c’erano prima
Virginia Suigo
Quali sono le sofferenze di questi ragazzi?
Sono inimmaginabili, atroci. Sono ragazzi terrorizzati, che hanno avuto paura di non sopravvivere, che hanno attraversato i campi in Libia, che all’interno del viaggio migratorio hanno fatto delle esperienze al di là del bene e del male. Hanno vissuto situazioni con la paura di morire, alla base di tutto. Tanti ragazzi oggi sono davvero molto soli, molto compromessi e meno dotati di risorse, senza una famiglia che investe, che dà loro un mandato o uno scopo. In più presentano problematiche di comportamento o psichiatriche, hanno una storia traumatica che poi diventa poli traumatica durante il viaggio. All’interno dei circuiti d’accoglienza ci stanno mesi. Quando noi li incontriamo, a volte capita che non sappiano neanche una parola di italiano, ma magari sono in Italia da un anno e mezzo: un periodo in cui hanno vissuto di stenti. Spesso si aggiunge un policonsumo di sostanze. Sono situazioni che, anche se coinvolgono due-tre persone, bastano a mettere in crisi un sistema. Quindi, c’è il tema quantitativo ma anche qualitativo rispetto al tipo di situazioni che incontriamo. È chiaro che su questo tipo di situazioni bisognerebbe poter lavorare con delle sperimentazioni più piccole.
Queste sperimentazioni non vengono fatte?
Un po’ sì, esistono. Parlo di un modello di accoglienza con numeri molto piccoli, gruppi di quattro-cinque persone, perché questi ragazzi hanno bisogno di una grandissima rete di supporto e di molte risorse. Se vengono inseriti in situazioni confuse e confusive, c’è un alto rischio che inizino una carriera delinquenziale, che assumano ancora più sostanze e così via.
Come stanno i msna nelle carceri?
Mi ha colpito molto un dato contenuto nel dossier di Antigone sull’emergenza negli istituti penali per minorenni A un anno dal decreto Caivano (pubblicato il 2 ottobre 2024), che fa riferimento alla crescita dell’utilizzo degli psicofarmaci negli istituti penali per minorenni. Ad esempio all’Istituto penale per minorenni-Ipm Beccaria si è registrato un aumento del 219% tra il 2020 e il 2022 nella somministrazione di psicofarmaci (dati Altroconsumo). Mi ha impressionato l’aumento di questa spesa medica, fa capire che si stia andando verso una gestione medico psichiatrica delle situazioni esplosive, che andrebbero invece gestite in altro modo. Questo dato ci fa capire molto anche delle scelte politiche sottostanti. Bisogna anche dire che non tutti gli Ipm in Italia sono gestiti allo stesso modo: in altri luoghi c’è l’idea che, in presenza di problematiche psichiatriche legate alla tossicodipendenza, al poliabuso di sostanze (i minori stranieri non accompagnati spesso abusano di farmaci da banco), agli psicofarmaci, in una struttura contenitiva come quella del carcere si possa avere una logica trattamentale. E, quindi, che l’obiettivo potrebbe essere quello di far uscire i ragazzi da lì disintossicati oppure ben avviati nell’uso dei farmaci: con una riduzione nell’uso, con un uso sotto controllo o con l’interruzione dell’assunzione. Dai dati che abbiamo sul Beccaria invece viene da dire che si è creato un corto circuito per cui arrivano ragazzi sempre più compromessi, con le due problematiche che sono quelle tipiche delle nuove ondate migratorie.
Quali sono queste due problematiche?
Le problematiche tipiche delle nuove ondate migratorie sono – come dicevo – quelle post-traumatiche e di policonsumo di sostanze varie, che vengono gestite con il ricorso ai farmaci per cercare di tenere sotto controllo il comportamento delle persone che si trovano in carceri sovraffollate e con complessità strutturali. È come se aumentasse il ricorso ai farmaci per gestire il comportamento, ma questo fa sì che i ragazzi in realtà siano sempre più ingovernabili e sempre più difficili da collocare altrove.

Perché se un ragazzo in carcere è abituato a prendere un ansiolitico, oppure altre sostanze che lo tengano tranquillo perché altrimenti ha la percezione di sé come di una persona fuori controllo, è molto difficile riuscire a collocarlo in una comunità socioeducativa senza che subito si creino poi dei problemi di gestione: il ricorso ai farmaci per controllare il comportamento dei msna così è un “cane che si morde la coda”.
Quali sono le difficoltà che vede tra i ragazzi che escono dagli Ipm?
Nel nostro lavoro con le comunità socioeducative vediamo tutte le difficoltà che hanno ad inserire i ragazzi che vengono dal Beccaria all’interno delle loro strutture, proprio per questo tema della gestione dei comportamenti e dei farmaci: queste comunità non hanno al loro interno la figura dello psichiatra, dell’infermiere, sono professionalità che vanno attivate di volta in volta sul territorio. C’è una grande difficoltà nel passaggio dal carcere alla comunità socio educativa perché sono ragazzi che, negli Ipm, difficilmente vengono accompagnati ad imparare a regolare il loro comportamento e, quindi, difficilmente poi si adattano allo stile di vita della comunità.
Molti dei minori stranieri non accompagnati che arrivano oggi presentano problematiche post-traumatiche e legate al policonsumo di sostanze varie. Entrambe troppo spesso vengono gestite solo con il ricorso ai farmaci
Virginia Suigo
Il libro Non solo baby gang. I comportamenti violenti di gruppo in adolescenza (Franco Angeli) curato dallo psicoterapeuta Alfio Maggiolini, a cui anche lei ha collaborato, ai msna dedica un intero capitolo. «Pur sottolineando che l’allarme sociale attorno ai reati commessi dai minorenni non corrisponde affatto ad una realtà allarmante», ha detto Maggiolini in una recente presentazione del libro, occorre riconoscere che «questi fattori di rischio esistono e rendono questi ragazzi vulnerabili a tante condizioni avverse, tra cui anche la commissione di reati». Al Beccaria in questo momento su 73 minori presenti, 23 sono minori stranieri non accompagnati (fonte ministero della Giustizia a VITA), quasi un terzo. Ma nel novembre 2024, su 64 ragazzi erano 39 i msna, più della metà (fonte: Antigone).
Sì, c’è una questione da non sottovalutare, però non mi sento di dire che in assoluto è una situazione ingestibile. Certo, potrebbe essere gestita molto meglio a monte: se ci fosse un sistema di accoglienza dei msna un po’ più distribuito sul territorio, parleremmo di numeri diversi. Invece, soprattutto all’interno delle città metropolitane come Milano e Genova, c’è un problema di mancata distribuzione. Il problema quantitativo potrebbe essere molto più stemperato di così.
Occorre capire le loro esigenze e sintonizzare le risposte, evitando di applicare i nostri parametri di giudizio e di pensiero a chi magari non li condivide affatto
Virginia Suigo
Poi c’è il tema qualitativo. È chiaro che su un totale di 60 milioni di persone, i 16mila circa minori stranieri non accompagnati presenti (dati al 31 maggio 2025, ndr) sono facilmente assorbibili. L’assessore al Welfare del Comune di Milano, Lamberto Bertoleé, ancora di recente in un convegno sottolineava che c’è un problema legato a come vengono gestiti a livello nazionale i circuiti d’accoglienza e la volontarietà dell’adesione dei Comuni al Sai per accogliere i msna che arrivano. Questo fa sì che ci siano delle grandi disparità tra città che hanno dato una disponibilità ampia (benché poi pure qui non bastano i budget) e zone che sono del tutto non toccate dal problema perché hanno scelto semplicemente di spostarlo altrove, lasciando che ad occuparsene siano altri.
Quali potrebbero essere le risposte specifiche necessarie, per quanto riguarda i minori stranieri non accompagnati e la loro aumentata presenza percentuale tra i minori che commettono reati?
Innanzitutto, chiediamoci come fare dei percorsi di accoglienza e di integrazione che siano di qualità, con numeri contenuti all’interno di strutture piccole che abbiano un personale dedicato e formato. Questo significa avere più risorse disponibili. Se ci sono situazioni molto complesse, con persone che compiono reati importanti, che fanno policonsumo di sostanze, che hanno vissuti post-traumatici, bisogna attivare un insieme di risorse che è l’unico in grado di intervenire quando si è in situazioni così compromesse.
Servono educatori come mediatori dei Paesi di provenienza, capire bene il loro bisogno evolutivo e non solo la patologia, e anche se la prospettiva è di integrazione o meno (alcuni msna sono di passaggio). Hanno un mandato familiare alle spalle? Sentono l’imperativo di mandare i soldi a casa il prima possibile?
Al Beccaria, su 73 minori presenti, 23 sono minori stranieri non accompagnati, quasi un terzo. Nel novembre 2024, su 64 ragazzi erano 39 i msna, più della metà
Occorre capire le loro esigenze e sintonizzare le risposte, evitando di applicare i nostri parametri di giudizio e di pensiero a chi magari non li condivide affatto. In un Paese in pieno “inverno demografico”, se cominciassimo a guardare questi ragazzi – poco più di 16mila – come coloro che ci pagheranno le pensioni e non come un’orda che viene per depredarci, magari avremmo un po’ più cura dei loro percorsi di integrazione, che servono innanzitutto a noi come Paese.
Foto di Lagos Food Bank da Pexels
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.