Governo

Un piano nazionale antiviolenza che non ascolta la voce delle donne

DiRe, la rete nazionale contro la violenza, critica duramente il Piano Strategico Antiviolenza 2025-27 del Governo. Tempi stretti per le osservazioni e un metodo "opaco" compromettono l'efficacia del Piano, che ripropone errori passati. «Oggi una criticità molto importante è la mancata competenza sulla giusta postura da tenere nell’incontro con le donne: non vanno rivittimizzate, giudicate. Va valorizzata invece la loro iniziativa di chiedere aiuto», dice la presidente di DiRe Cristina Carelli. L’organizzazione lancia un appello contro una modalità di azione ritenuta unidirezionale, opaca e che ignora il valore della co-progettazione

di Francesco Dente

Senza confronto, senza trasparenza e, soprattutto, senza il contributo femminile. Donne in rete contro la violenza- DiRe, l’arcipelago nazionale delle organizzazioni che dà ascolto e protezione alle vittime di maltrattamenti, lancia un appello contro il Piano strategico nazionale antiviolenza 2025-27 elaborato dall’attuale maggioranza e chiama alla mobilitazione la società civile «per costruire un argine collettivo alle preoccupanti derive di questo governo». Un appello contro una modalità di azione ritenuta «unidirezionale, opaca e che ignora il valore della co-progettazione». La rete associativa, che gestisce 66 case rifugio e 117 centri antiviolenza, rivendica l’importanza dei centri che operano con un approccio di genere a fronte invece, questa la denuncia, di un riconoscimento solo «formale» dell’intervento in prima linea contro la violenza da parte del governo. La mobilitazione ha già raccolto numerose adesioni. A partire dalla Rete nazionale antiviolenza per l’empowerment e l’auto mutuo aiuto-Reama di Fondazione Pangea che, con un comunicato della referente Simona Lanzoni, ha espresso solidarietà alle organizzazioni sul piede di guerra per la mancanza di dialogo e di condivisione. 

Ignorata la Convenzione di Istanbul

Secondo DiRe non sarebbe stato rispettato il modello di governance nazionale e territoriale indicato dalla Convenzione di Istanbul (2011) del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica. Il trattato, in particolare, attribuisce un ruolo centrale alle organizzazioni femministe che si occupano in maniera esclusiva del contrasto alla violenza maschile di genere. Il Governo avrebbe escluso «di fatto» le compagini associative allargando il confronto a più soggetti. «Agli incontri sul Piano ha partecipato una platea molto ampia che va dalle associazioni nazionali come la nostra ad associazioni, alcune delle quali si occupano solo in parte del fenomeno. In più c’erano il sindacato e alcuni ministeri. Noi mettiamo in discussione questo metodo: si tratta di un gran pot-pourri. Ci piacerebbe invece avere tavoli più specifici in cui dare rilievo a chi lavora esclusivamente per contrastare il fenomeno perché quando si allarga così tanto la platea si va nella direzione di neutralizzare l’approccio. Specificità vuol dire invece aver chiaro qual è l’origine della violenza e aggredirla nel modo più adeguato mettendo in campo una serie di azioni che partono dalla conoscenza sul campo», spiega la presidente di DiRe Cristina Carelli. I tavoli con più soggetti, ognuno dei quali di fatto riesce a portare un contributo minimo per via dei tempi stretti, non avrebbero prodotto inoltre materiale di studio. «Dopo questi incontri non sono stati restituiti gli elaborati in modo da consentire col giusto tempo di analizzare gli interventi proposti», lamenta Carelli.

Tempi stretti e ordine logico del confronto ribaltato 

Il punto è che quando la documentazione è stata messa a disposizione i tempi per inviare le osservazioni sono stati ridotti all’osso. È già successo ad aprile scorso quando il Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio ha presentato alle organizzazioni e agli organismi pubblici il quadro operativo (un piano attuativo di quello strategico) delle azioni programmate nel 2025-2026. «Il 17 aprile 2025 abbiamo ricevuto il quadro e entro pochi giorni, fra l’altro sotto Pasqua, avremmo dovuto ragionare e rispondere. Non avevamo neanche la bozza di Piano strategico triennale ma ci è stata girata la bozza di Piano operativo!», rileva Carelli. Stessa musica a luglio. Il Dipartimento ha inviato il 4 luglio la bozza del Piano strategico 2025-27 e fissato il giorno 9 dello stesso mese per l’invio delle valutazioni. «Non è serio: come facciamo a entrare nel merito di un piano corposo che va studiato? È un atteggiamento che denota una non volontà di co-costruire e di valorizzare l’intervento di realtà che partono dalla conoscenza pratica», sbotta la numero uno di DiRe. Carelli ritiene debole anche il sistema di monitoraggio e di valutazione dell’efficacia degli interventi previsti.

Un Piano poco innovativo

Rilievi di metodo ma anche di merito. Il Piano ricalcherebbe gli errori del precedente. Secondo l’appello «è in continuità con il piano 2021-2023 e ripropone le stesse criticità già rilevate dalle associazioni di donne e dalla valutazione effettuata da organismi indipendenti, incaricati e finanziati dallo stesso Dipartimento per il precedente piano (progetto ViVa realizzato da Cnrirpss)». La rete associativa, nello specifico, punta il dito contro il numero di proposte di intervento così elevato da non consentirne la messa in opera nel tempo di un triennio, in considerazione anche del contributo all’attuazione che dovranno mettere in campo una pluralità di amministrazioni e soggetti coinvolti. Il Piano strategico, inoltre, non reintroduce l’obbligo (soppresso dalla legge di bilancio 2022) di trasmissione annuale alle Camere della relazione sull’attuazione del Piano da parte del Ministro delegato per le Pari Opportunità. Uno strumento importante per il monitoraggio, reclama  DiRe. La vera lacuna riguarda invece le strategie per fronteggiare l’approccio nei confronti delle donne che bussano alla porta dei soggetti istituzionali. «Oggi se dobbiamo segnalare una criticità molto importante è la mancata competenza sulla giusta postura da tenere nell’incontro con le donne: non vanno rivittimizzate, giudicate. Va valorizzata invece la loro iniziativa di chiedere aiuto. Questo vale per tutti gli ambiti istituzionali chiamati a intervenire: dalle forze dell’ordine ai magistrati, dal servizio sociale al sistema socio-sanitario», chiosa la presidente Carelli.

Credit foto/Matteo Secci/LaPresse

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