Leggi e norme
Se la Corte costituzionale offre una sponda all’azzardo
Ricordate il "distanziometro"? In nome della tutela della salute dei cittadini, grazie anche ad una campagna della società civile, il decreto Balduzzi nel 2012 fissò precise distanze fra qualsiasi punto di accesso al gambling e i luoghi sensibili delle nostre città. Una sentenza della Corte costituzionale ora ha cancellato quel divieto in nome della libertà d'impresa. Maurizio Fiasco, presidente Alea: «Una decisione grave, la salute deve avere la precedenza. La sentenza può incoraggiare uno slittamento delle politiche generali dello Stato sul gambling»

«Colpisce che la Corte costituzionale smentisca un corso di sue pronunce durato 50 anni, che avevano ribadito che la tutela della salute non può venire in conflitto con la libertà d’impresa. Il rischio adesso è che riceva un oggettivo incoraggiamento la strategia di mercato del gambling, che punta alla saturazione del tempo e dello spazio», dice Maurizio Fiasco, sociologo, presidente dell’Associazione per lo studio del gioco d’azzardo e dei comportamenti a rischio-Alea. La sentenza «cade in un momento di transizione delicata, mentre si sta definendo un decreto legislativo di riordino dei giochi accessibili dalla rete sul territorio, dunque anche dai terminali collocati nelle tabaccherie, negli alberghi o negli altri pubblici esercizi. Tutto questo in un anno in cui si stima che il flusso di puntate al gioco d’azzardo possa registrare quasi i 170 miliardi di euro».
Fiasco si riferisce alla sentenza numero 104 del 10 luglio scorso, nella quale la Corte costituzionale ha affermato che è illegittimo il divieto di mettere a disposizione, in qualsiasi pubblico esercizio, apparecchiature che consentano di giocare sulle piattaforme online. Con questa decisione ha cancellato l’articolo 7, comma 3-quater, del “decreto Balduzzi” del 2012 che, per l’appunto, vietava la messa a disposizione di apparecchiature che consentono l’accesso al gioco, sia legale sia illegale, cioè praticato al di fuori della rete dei concessionari o dei soggetti autorizzati.
Il Tribunale di Viterbo, nel corso di un procedimento a carico di un esercente, aveva sospeso la decisione e rimesso la questione alla Corte costituzionale. «Tutto questo davanti al giudizio di opposizione a sanzioni amministrative emesse nei confronti di titolari di pubblici esercizi nella provincia. I ricorrenti avevano eccepito un contrasto con l’art. 3 della Costituzione, per il carattere assoluto e indiscriminato del divieto, che colpiva la messa a disposizione anche di computer a navigazione libera, a prescindere dall’effettivo collegamento a siti di gioco online. Con questa sentenza la Corte costituzionale è andata oltre le richieste del Tribunale», afferma Fiasco.
Perché, secondo lei, la Consulta è andata oltre le richieste del Tribunale?
Avrebbe potuto essere meno drastica, confermando che il principio del “decreto Balduzzi” era sempre valido e invitando il Parlamento ad una correzione parziale. La Consulta avrebbe potuto evocare la fissazione di requisiti tecnici molto rigorosi per distinguere tra un uso ordinario, come il controllo della posta elettronica, e un uso patologico per il gioco online. In questo modo invece dalla sentenza possono derivare conseguenze gravi.
L’esercente rischia una multa salata se nel locale mette a disposizione il gioco di dama o scacchi, il biliardino, un tavolo per il ping-pong senza aver ottenuto l’autorizzazione amministrativa. Ma può liberamente mettere a disposizione un terminale per il casinò online
Perché?
Perché ne deriva un vuoto che rende impossibile da perseguire l’uso illegale dello spazio dove si svolge l’attività di un pubblico esercizio. Vi è un dettaglio grottesco. In quello stesso bar, ristorante, osteria, sala biliardo è obbligatorio (pena una sanzione severa) esporre la “Tabella dei giochi proibiti” vidimata dal Questore. Nel quadro incorniciato sono elencati 40 giochi di carte e altre forme popolari e plebee (morra, mercante in fiera, sette e mezzo ecc.). E ancora, l’esercente rischia una multa salata se nel locale mette a disposizione il gioco di dama o scacchi, il biliardino, un tavolo per il ping-pong senza aver ottenuto l’autorizzazione amministrativa. Ma può liberamente mettere a disposizione un terminale per il casinò online.
Ecco perché la sentenza ha sconcertato, tanto più che, nella lunga storia delle pronunce in materia di gioco d’azzardo, la Corte aveva tenuto ben fermo il valore di rango costituzionale dell’articolo 32, la salute come diritto sociale inalienabile del cittadino. Cinquant’anni fa, con la sentenza n. 237 del 1975, redatta da un grande giurista come Francesco Paolo Bonifacio, furono fissate bene le gerarchie dei principi, mettendo al primo posto i valori di ordine costituzionale: la salute, l’utilità dell’attività d’impresa, il risparmio, la famiglia. Per non dire di tante altre pronunce nei ricorsi fatti dai concessionari contro le leggi regionali.
L’equivalenza che la Corte costituzionale ha dato al diritto d’impresa e al diritto alla salute incoraggia uno slittamento delle politiche generali dello Stato sul gioco d’azzardo
Ci spieghi meglio.
Il diritto alla salute era sempre stato considerato una priorità assoluta alla quale si subordinava sia l’interesse fiscale dello Stato (le tasse ricavate dai giochi d’azzardo e da altro), sia il lecito esercizio dell’attività di impresa. Per 50 anni la Corte costituzionale si è espressa seguendo questa linea. L’equivalenza che la Corte costituzionale ha dato al diritto d’impresa e al diritto alla salute incoraggia uno slittamento delle politiche generali dello Stato sul gioco d’azzardo. Per essere più precisi, legittima una norma scritta in maniera aberrante nel decreto legislativo n.41 del 25 marzo 2024 sui giochi d’azzardo online (che nella norma chiamano “a distanza”).
Vi può essere chi, sull’onda della sentenza sui terminali nei pubblici esercizi, ne approfitti per colpire o scoraggiare limitazioni e tutele che i comuni e le regioni hanno introdotto davanti alla capillare diffusione degli accessi al gioco d’azzardo nelle vie e nelle piazze. Mi pare questa la conseguenza politica più verosimile dopo la sentenza delle scorse settimane: mentre si sta scrivendo il decreto legislativo sul gioco d’azzardo da rete territoriale.
Quale decreto?
Quello che dovrebbe fissare regole uniche in tutte le regioni per la distribuzione dei giochi d’azzardo da postazioni sul territorio, quello che viene chiamato impropriamente “gioco fisico”. S’intuisce che la sentenza incoraggia l’opposizione al “distanziometro” (ovvero l’allontanamento delle istallazioni dell’azzardo dai luoghi sensibili) e il contingentamento degli orari. Sono misure minime di tutela della salute. E per non far interferire il gioco d’azzardo nei rapporti di comunità e interpersonali. Se il gioco d’azzardo può essere autorizzato occorre prevederne la separazione nello spazio e il distanziamento nel tempo.
Parliamo delle distanze delle slot machine dai luoghi sensibili, quali scuole, oratori, ecc. e di divieto di funzionamento dei dispositivi di gioco in alcuni orari della giornata.
Sì, oltre all’importanza delle distanze dei dispositivi di gioco online da alcuni luoghi sensibili, nell’arco della giornata ci sono anche alcune fasce orarie che sono più delicate, come quelle della pausa pranzo o dell’accompagnamento dei bambini a scuola. Ad esempio, il comune di Bergamo ha imposto di spegnere tutte le installazioni del gioco d’azzardo tra le ore 7,30 e le 9,30, dalle 12 alle 14 e dalle 19 alle 21. Questo regolamento, combinandosi con il “distanziometro”, rende meno impattante il gioco d’azzardo sul territorio.
La sentenza incoraggia l’opposizione al “distanziometro”, ovvero l’allontanamento delle istallazioni dell’azzardo dai luoghi sensibili e il contingentamento degli orari. Che invece sono misure minime di tutela della salute
Perché con questa sentenza si rischia di negare la validità del “distanziometro”?
Perché i terminali informatici, installabili senza alcun filtro ovunque (pure in una lavanderia a gettone o nella sala d’attesa di un parrucchiere), privi di qualsiasi concessione, in funzione senza limiti di luogo e di orari, indeboliscono quella misura che da qualche centinaio di comuni in Italia è stata adottata dal 2012 a oggi: proprio l’allontanamento degli accessi del gioco d’azzardo dai luoghi sensibili.
Questa sentenza arreca un vulnus allo sforzo di separare dai luoghi e dagli orari della vita quotidiana la pratica del gioco d’azzardo, che è l’unico modo per regolamentarlo. Riaffermando la possibilità di mettere dei terminali ovunque e sempre, si produce una falla alla quale ne seguiranno altre. Stupisce che non sia stata seguita la strada di salvare il principio della norma in vigore dal 2012, invitando il legislatore a emanare un provvedimento per separare l’uso normale dei terminali da quello illegale di supporto al gioco d’azzardo online.
In che modo?
Le soluzioni ci sono per un controllo efficace e adattabile, peraltro con costi contenuti. Se in buona fede si volessero mantenere altri e legittimi usi dei dispositivi, con una circolare dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli – Adm si potrebbero indicare delle prescrizioni. È del tutto possibile, e anzi doveroso, definire con un semplice Direct message – Dm le misure praticabili per impedire che dispositivi messi a disposizione nei locali pubblici (come pc, tablet, totem interattivi o smart tv) vengano utilizzati per accedere a piattaforme di scommesse o di casinò digitali.
Nel 2025 si stima che il flusso di puntate al gioco d’azzardo possa registrare quasi i 170 miliardi di euro
Quali misure sono praticabili, ad esempio?
Dei tecnici informatici mi hanno elencato varie opzioni. Filtri Dns, configurabili nel router per tutto il locale o per il singolo dispositivo, che bloccano l’accesso a categorie intere di siti (azzardo e simili); software di parental control, che permettono di bloccare l’accesso a siti specifici o intere app su tablet, pc o totem; firewall – sia hardware che software – che filtrano l’accesso a determinati protocolli e domini, agendo come barriera preventiva per tutti i dispositivi connessi a una rete pubblica. Ma la misura più ragionevole si può indicare con la compilazione di una “Whitelist” per la navigazione esclusivamente verso siti “approvati”, utili alla consultazione, allo studio, all’informazione.
Come si può colmare il vuoto che si è aperto con questa sentenza?
Con un immediato decreto ministeriale che fissi le caratteristiche tecniche e anche le procedure ispettive per verificare se queste caratteristiche sono davvero state implementate nei terminali.
Foto di Yan Krukau su Pexels
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