Il caso Milano
Francesco Costa: «Fare soldi non basta più. Milano cambi il racconto di sé»
Riproponiamo qui l'intervista pubblicata nel numero che VITA ha dedicato al capoluogo lombardo "Milano double-face". Nel dialogo con il direttore del Post si è ragionato sulla necessità di cambiare la “Narrazione” della città

Giornalista, direttore del Post, voce del podcast “Morning” e autore della newsletter Da Costa a Costa dedicata agli Stati Uniti. Francesco Costa, 40 anni compiuti da poco, è nato a Catania e si è trasferito a Milano nel 2010, dopo un passaggio da Roma. «Sono arrivato a Milano per lavorare al Post. Allora era uno dei primi giornali online, non sapevo come sarebbe andata. Ma ho preso subito la residenza», racconta. «Se vivi in un posto è giusto entrarci con tutte le scarpe».
Com’è andato il primo impatto con la città?
È stato facile. Milano è una città accogliente, anche perché è piena di persone che hanno la mia stessa storia e che arrivano da ogni parte d’Italia. Milano ti fa sentire rapidamente a casa, come parte del flusso. Ho capito presto che qui stavo bene.
Com’è cambiata la città in questi 14 anni?
Girando in scooter, ti accorgi anzitutto che Milano è piccola, ma è riuscita a espandersi. L’Expo del 2015 sicuramente è stato un catalizzatore di energia, per convincere la città che poteva stare su una dimensione diversa. I milanesi lo vedono nelle nuove architetture. L’espansione verso l’alto della città è la parte più riconoscibile di questo cambiamento. Tanti quartieri hanno cambiato identità, sono diventati rilevanti, sono tornati a ospitare aziende, uffici, movida, attività culturali. La città è diventata una specie di lavatrice di eventi di ogni tipo, che poi finiscono anche per collidere tra loro. Insomma, Milano si è allargata anche in questo senso, attirando turisti e flussi internazionali. È una città con un piede in Italia e un altro in Europa.
Ma subisce anche molto il fascino degli Stati Uniti. Si vede nel rebranding dei nomi dei quartieri, da Nolo a Napa…
È una città composta in grandissima parte da persone che non sono nate in città e questo rende Milano la cosa più simile all’America che abbiamo in Italia. Una popolazione fatta da tanti popoli diversi che mettono insieme tradizioni e culture e si ritrovano in un luogo, che non è il loro luogo di nascita ma che poi finisce per essere la loro casa. Ecco, in questo spirito americano che Milano ha nell’imprenditoria c’è anche l’idea di valorizzare quello che hai. Anche la salumeria a Milano ha dei nomi particolarmente presuntuosi e non è una semplice bottega di quartiere. Tutto questo, per qualcuno è considerato antipatico ed è un parte dell’identità della città. Il fatto però che certi quartieri prima non esistevano nella mente dei milanesi e oggi esistono in molti casi ha migliorato le condizioni di quei quartieri. Ovviamente questo ha avuto un forte impatto sul mercato immobiliare. Ma l’alternativa non è solo tra la gentrificazione e il degrado, ci sono tante vie di mezzo.
Quale può essere la soluzione?
Serve fare diverse cose. Bisognerebbe costruire di più oppure allargare la città, accompagnando però questo allargamento con trasporti pubblici più efficienti. Ma non appena esci da Milano i trasporti pubblici non sono più così efficienti. E poi serve proteggere di più la proprietà di chi affitta a lungo termine, rendendolo più conveniente. Ci sono esempi virtuosi in diverse città americane che stanno crescendo e attraggono persone. Ad Austin, in Texas, ad esempio, i prezzi delle case scendono mentre nuove persone arrivano, perché stanno costruendo moltissimo. Chiaramente ci vogliono soldi, ma ci vuole anche l’intenzione politica di aumentare il numero delle case. In un Paese che invecchia come l’Italia, Milano è l’unico posto in cui le proiezioni dicono che sarà più popolata nel futuro. Questo mette la città in una posizione complicata, ma anche unica.
Servono quindi soluzioni eccezionali?
Bisogna capire se è interesse dell’Italia che Milano segua questo treno. Se è così, Milano deve avere condizioni particolari. Da cose molto piccole: ad esempio non può esserci il numero di taxi che c’è oggi in una città che vuole dirsi europea e attrarre investimenti. Fino a cose più grandi, e cioè politiche immobiliari che hanno senso soltanto a Milano. Serve un accordo governo-Regione-città. Altrimenti noi abbiamo una città che per il costo della vita, dei ristoranti, della spesa, dell’affitto comincia a diventare più somigliante a Parigi o a Londra, ma gli stipendi restano quelli dei contratti nazionali e la pressione fiscale è quella italiana. E alla fine la gente viene stritolata.
C’è la consapevolezza di questa urgenza a Milano?
A me sembra che in questi anni il racconto e l’autoracconto di Milano si siano un po’ seduti. Milano veniva da un momento di grandissimo auto-racconto celebrativo cominciato con Expo, ma che è finito nel 2020, con la pandemia, quando la città è andata a schiantarsi con il modello della “Milano che non si ferma”. Ma poi Milano la scommessa l’ha vinta, si è ripresa ed è evidente il ruolo centrale che ha oggi. Nemmeno i romani dicono più che l’unica cosa bella di Milano è il treno per Roma. Allo stesso tempo, però, Milano non ha fornito una nuova narrazione di sé, come se in questo momento si stia accontentando solo di far soldi. Non so chi governerà dopo Sala, ma è sano che Milano provi a ripartire con un ciclo nuovo di governo e anche di pensiero e idee sulla città.
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In apertura Francesco Costa
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