Il caso Milano
Davide Agazzi: «Crescita e benessere non possono viaggiare separati»
Riproponiamo qui l'intervista pubblicata nel numero che VITA ha dedicato al capoluogo lombardo "Milano double-face". Nel dialogo con l'esperto di trasformazioni urbane al centro dell'attenzione le "relazioni" in una città in cui si è rotto l'ingranaggio che teneva insieme le reti sociali

Esperto di sviluppo locale e innovazione sociale, con un passato a Palazzo Marino nel gabinetto del sindaco di Milano e all’assessorato allo Sviluppo economico. Davide Agazzi, 43 anni, dopo un’esperienza di lavoro a Brindisi, nel 2021 è rientrato in città per fondare From, azienda che analizza e progetta le trasformazioni e politiche urbane.
Dal suo ufficio a Base Milano, dice senza mezzi termini: «Milano ha un problema: ha attraversato fasi diverse negli ultimi dieci-quindici anni. Con il sindaco Giuliano Pisapia, c’è stato il momento in cui si è tornati a investire di più su diritti, giustizia, partecipazione, si è fatto un grande discorso sulla bellezza della città. Dopo l’Expo, con il sindaco Beppe Sala è iniziata la fase in cui si è messo più l’accento sulla crescita, il turismo e l’internazionalizzazione. E tutti gli indicatori dicono che su questo fronte la città continua a crescere.
Il problema è stato non comprendere che dopo il Covid e l’inflazione quella ricetta lì non bastava più. Sono cambiate le priorità della città. Stiamo continuando a portare avanti ricette collegate alla crescita come nel periodo post Expo, che però vanno affiancate con altre tipologie di iniziative.
Quando si è rotto l’ingranaggio?
I dati dicono che fino al 2019 alla crescita della città corrispondeva una crescita del reddito medio degli abitanti. Negli ultimi cinque anni, invece, assistiamo a uno scollamento tra il dinamismo della città e la sua traduzione in benessere per i cittadini. In particolare emerge una distanza tra chi è già in città e chi ci sta entrando. È molto più difficile oggi il percorso di avvicinamento a Milano se sei un giovane studente o lavoratore o una giovane famiglia. È una città meno aperta e molto deriva dai problemi dell’abitare, a causa dei prezzi alti. Ma c’è anche una differenza tra i residenti, tra chi è proprietario di casa e chi invece paga l’affitto. Magari non hai problemi, finché non fai un figlio e scopri di avere bisogno di una stanza in più.
Partiamo dalla questione casa. Quali soluzioni vede?
Servono nuove regolamentazioni e fondi di carattere nazionale e regionale, perché non basta un solo intervento a livello comunale. I problemi di Milano non sono problemi locali. Il fatto che sia un polo della crescita del Paese è una questione nazionale, così come è un problema nazionale se la città ha grandi problemi di vivibilità. Questi problemi si risolvono solo se riesci a fare degli investimenti legati all’immobiliare e alla mobilità, ma servono innovazioni di carattere istituzionale per poter agire su una scala più ampia. Il problema è che per gli investimenti in infrastrutture servono almeno cinque-dieci anni, mentre la composizione sociale della città sta già cambiando. E la perdita secca a livello sociale è molto difficile da recuperare.
Cosa sta accadendo sul fronte sociale?
Lo spazio per il tempo libero da consumi a Milano si è ristretto, lo spazio per le relazioni si è ristretto, anche le occasioni di partecipazione riguardano un po’ meno persone. Non c’è attenzione all’importanza di avere forme di intervento che incrementino le infrastrutture sociali, che ti fanno capire che Milano è una città dove vale la pena vivere. Se a Milano ci lavori e sei costretto a vivere un po’ fuori per risparmiare, non hai interesse a restituire qualcosa alla città in termini di partecipazione. Che la città si allarghi è una cosa anche positiva. Il problema nasce se non sono scelte consapevoli, ma ti senti costretto a farlo.
Quali soluzioni vedi?
Continuare a spingere sul tema dell’internazionalizzazione non è sbagliato, ma non basta perché altrimenti Milano diventa solo una città di scambi e di flussi. Oppure una città che è gradevole per chi la consuma in qualche forma, ma un po’ meno per chi la città la vive. I dati sulla demografia dicono che Milano sta crescendo con un ricambio di popolazione, ma invece che stratificarsi e diversificarsi, la città sta vivendo una sostituzione dei suoi abitanti. A Milano sono aumentate le disuguaglianze verso l’alto, cioè ci sono più persone ricche, mentre la classe media viene spinta fuori. Bisogna continuare a crescere sì, ma facendo in modo che questa stratificazione sia un valore.
Che tipo di crescita immagini?
Serve una forma di crescita bilanciata, le disuguaglianze non sono un destino inevitabile. Come si fa? Tanto tempo, risorse e attenzione dedichi alla crescita, altrettanto dovresti dedicarlo alla qualità della vita. Bisogna lavorare perché la crescita stia insieme agli spazi di innovazione, diversità, buona qualità della vita nei quartieri e servizi pubblici efficienti. Non sono quattro cose in contraddizione. Certo, è una fatica costruire alleanze che lo permettono, perché vuol dire mettere insieme investitori internazionali, multinazionali e aziende tech con soggetti civici e Terzo settore. Ma è questa combinazione di fattori che produce equilibrio. Se consideri le cose come due silos, cioè che c’è qualcuno che si occupa della crescita e qualcuno che si occupa della solidarietà, è una strategia che porta ai risultati che vediamo. L’equilibrio si può ottenere mettendo insieme i fattori e avendo come priorità l’incremento di opportunità diffuso.
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Nell’immagine in apertura Davide Agazzi
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