Tra i circa mille influencer cattolici attesi il 28 e 29 luglio a Roma in occasione del Giubileo dedicato ai missionari digitali, provenienti da una quarantina di Paesi del mondo, ci sarà anche il giovane tiktoker vicentino Nicola Camporiondo. Nella pagina ufficiale The Jubilee of digital missionaries and Catholic influencers, nella bacheca dove alcuni dei partecipanti hanno postato il proprio profilo, Nicola, 20 anni, descrive la sua missione con queste parole: «Raccontare la mia esperienza di Dio ai ragazzi, per far capire che far parte della Chiesa non è da boomer».
Nella nostra chiacchierata siamo partiti proprio da qui. Non dai 160mila follower di TikTok o dai quasi 13mila di Instagram. Ma dal perché e da che cosa lo abbia spinto a parlare della sua fede sui social.
«Sono nato in una famiglia credente, praticante, ma mi sentivo un po’ costretto, vivevo una fede molto passiva, fino a quando ho avuto per così dire il mio risveglio spirituale. Una cosa spontanea che è successo dopo il primo lockdown. Sono entrato in una Chiesa così, perché l’avevo deciso io, senza che nessuno mi obbligasse e quello è stato il mio primo incontro con Dio».
Stiamo parlando del 2020, avevi all’incirca 16 anni: cosa è successo?
Il periodo del lockdown è stato davvero brutto, ci sono state amicizie che si sono sfaldate. Poi ho preso coscienza del fatto che la parrocchia e gli ambienti ecclesiali non erano frequentati da giovani, anzi. E così ho pensato ai social. Mi sono ispirato all’esperienza di don Alberto Ravagnani che all’epoca avevo conosciuto e con cui mi ero confrontato.
Don Ravagnati all’epoca aveva appena fatto il boom su Youtube, con video con oltre 500mila view. Ma @nicola.campo ha scelto TikTok come piattaforma, perché?
Ecco io ho iniziato un po’ a parlare della mia esperienza sui social. Ho pensato che un giovane, un laico che mostra la propria vita di parrocchia e di fede sui social va un po’ a svecchiare tutti quei pregiudizi che soprattutto i ragazzi hanno nei confronti della chiesa. Perché un conto è se ti parla di chiesa un prete ultra sessantenne, un conto è se ti parla di fede un ragazzo di 19 anni che vive una vita in tutto e per tutto come la tua.

Ho fatto un primo video, non mi ricordo su cosa, però ricordo che da lì alcune persone hanno iniziato a farmi delle domande, così ho iniziato a fare altri video per rispondere. Questo è stato un po’ il modo mio di stare su TikTok per il primi due anni, cioè rispondevo alle domande che mi venivano poste sotto i video già fatti. Poi, man mano il mio stile è andato mutando anche, suppongo, al crescere della mia età e al vedere le esigenze dei ragazzi, che ovviamente cambiano. Anche il target è molto variabile. Nel tempo la cosa ha avuto seguito: un seguito non voluto, perché io ho davvero iniziato senza aspirazioni, senza niente. TikTok è la mia base principale, poi su Instagram ci sono i ragazzi che vogliono avere un dialogo diretto, che su TikTok non è possibile. E mi sono detto che questa poteva essere una modalità: su Instagram ci sono anche molte persone che mi scrivono in privato.
Quanti sono i messaggi che ti arrivano?
La media è di 10, 20 messaggi al giorno da persone di tutta Italia. Ci sono giorni particolari in cui ne ricevo anche 200. Quando definisco Instagram come “il luogo del dialogo” lo dico sul serio. Ho sempre voluto mantenere un contatto con i miei follower. Non mi definisco neanche un influencer, non voglio essere uno di quelli che si mettono sul piedistallo. Tutti quelli che mi hanno scritto hanno sempre ricevuto la mia risposta.
Quali sono i temi che attirano più messaggi?
Dipende. Non parlo dei classici auguri di Pasqua o Natale. A volte capita che nelle stories su Instagram tratto di temi di attualità o pubblico quesiti, riflessioni e da lì si sviluppa un dialogo.

Per esempio?
L’altra settimana a Roma c’è stata una sfilata di moda di Dolce & Gabbana davanti a Castel Sant’Angelo, con il Ponte degli Angeli trasformato in passerella tra due ali di finti cardinali, che ha fatto molto scalpore. Ho fatto una mia riflessione nelle stories di Instagram sul perché Dolce & Gabbana debba andare a prendere degli abiti ecclesiastici e farci una sfilata di moda. Da lì si è aperta una discussione enorme: le persone mi rispondevano, mi davano la loro opinione, qualcuno mi chiedeva di intervenire in maniera più approfondita. Anche nel momento in cui è stato eletto Papa Leone, ad esempio, i miei messaggi sono esplosi con tantissime persone che mi chiedevano cosa ne pensassi, se mi piacesse. Io ho partecipato ai funerali di Papa Francesco e anche lì tantissimi messaggi che mi chiedevano o una preghiera per loro, dal momento che ero lì, oppure come fosse stato. Era durante il Giubileo degli adolescenti, tanti mi chiedevano se fossi a Roma, se ci si poteva incontrare… E poi ci sono tanti interrogativi che condivido con la mia community.
Dopo quasi cinque anni sono cambiate un po’ di cose: la scuola, gli studi, l’età…
In effetti quando ho iniziato avevo 16 anni ed ero al secondo anno dell’Istituto tecnico agrario… Ora studio alla Facoltà teologica del Triveneto, dove inizierò il secondo anno.


Perché hai scelto questa facoltà?
I motivi sono due: io penso che se uno crede davvero è tenuto a conoscere bene ciò in cui crede. Al di là del catechismo, c’è un mondo dietro che non ci viene spiegato. A muovermi quindi è stata proprio la curiosità di comprendere bene ciò in cui credo e in secondo luogo mi aiuta su quello che faccio sui social, perché già solo dopo un anno il mio modo di parlare di fede sui social è drasticamente cambiato. Il secondo motivo, il principale forse, è perché mi piacerebbe insegnare la religione, dal momento che in tutti gli anni delle mie scuole superiori non ho mai trovato un professore di religione degno di essere chiamato così. Credo inoltre che se in classe c’è un insegnante della mia età piuttosto che una persona di 50 o 60 anni sia meglio, si supererebbero anche tanti pregiudizi della mia generazione.
Ho sempre voluto mantenere un contatto con i miei follower. Non mi definisco neanche un influencer, non voglio essere uno di quelli che si mettono sul piedistallo
Nicola Camporiondo
Amici e familiari come hanno preso questa tua attività da influencer?
All’inizio, quando avevo 16 anni c’è stato un po’ di sgomento, anche perché se adesso ci sono tanti che parlano di fede online, allora era inusuale: c’erano don Alberto Ravagnani, don Roberto Fischer (245mila follower su IG, ndr), un prete su TikTok e poco più. Parlo degli italiani. Poi, dopo don Alberto, è esploso il tutto. I miei temevano venissi etichettato ma anche erano preoccupati per le dinamiche tossiche che si possono verificare sui social. Adesso ho vent’anni e sono tutti più tranquilli.
Il Giubileo è l’occasione per incontrarsi anche con gli influencer degli altri Paesi?
Siamo una community molto fraterna, ci aiutiamo tra di noi, ci si sente. Io personalmente sono in contatto con un ragazzo statunitense, con un polacco e due spagnoli. Facciamo anche incontri online su zoom e siamo sempre oltre mille. Questa volta ci incontreremo offline.
Tutte le immagini sono state fornite dall’intervistato
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