Famiglia

Delusi da gus Van Sant

Cinema. Last Days, dedicato agli ultimi giorni di Kurt Cobain.

di Redazione

Velleitario. Abbastanza noioso. Irrisolto. Un tris inaspettato per Gus Van Sant, in altri tempi regista di pregio, capace di stupire anche grazie a uno stile inventivo e imprevedibile. Si sa però che la vena – creativamente parlando – è talvolta introvabile ed ecco che il bravo artigiano torna sul luogo del delitto e anziché sperimentare aggiorna modi e nodi narrativi e stilistici. Sì perché uno dei principali difetti di Last days è proprio la riproposizione di una molteplicità di punti di vista che in Elephant aveva fatto bella mostra di sé, appropriata scelta per una sceneggiatura imperniata sull?importanza del ?collettivo?.
Un po? meno adatta per una pellicola che pur partendo da quella intuizione – si fa per dire – la lascia su uno sfondo lontanissimo. Il risultato è un accademismo stucchevole che non serve a chiarire il plot, non illumina dal di dentro i personaggi, non dà loro un briciolo di spessore.
Al povero spettatore non resta che cercare di apprezzare gli accorgimenti talvolta indovinati di uno stile a dir poco meditativo, appesantito da una macchina da presa spesso fissa o lentissima. Del resto conosce già la storia: la rock star in declino, il suo isolamento all?interno di una grande casa diroccata, il suo lasciarsi andare? Che però non viene spiegato se non con un implicito riferimento al leader dei Nirvana suicidatosi nel 1994, Kurt Cobain. Troppo poco e troppo vago perché questo personaggio (interpretato con la giusta inespressività da Michael Pitt) mostri l?autentico disagio del maudit e non soltanto il manierato immobilismo tipico dei tossicodipendenti.
Troppo poco perché ci si appassioni a questa sorta di poetica, macabra, degli ?ultimi giorni? del poeta maledetto circondato da amici vacui e che non si capisce bene che ci stiano a fare (potrebbe essere un dettaglio storicamente vero per quanto riguarda Cobain, ma nella narrazione – che un senso deve averlo di per sé – non si comprende il significato della loro presenza).
Gus Van Sant cade proprio dove molti prima di lui sono caduti, affascinati dall?alone decadente dell?artista che muore giovane in mezzo ai suoi misteri e a causa di un malessere esistenziale che sullo schermo rende davvero pochissimo. E finisce con il dar ragione a Jean Cocteau secondo il quale «il cinema filma la morte al lavoro». Peccato che questa affermazione, seducente e vera, sia stata fatta mezzo secolo fa, minuto più minuto meno.
Maurizio Regosa

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