Medio Oriente

Gaza, morire di fame: le testimonianze dei palestinesi

Hadeel, 28 anni, madre di due figli e incinta da quattro mesi: «Temo un aborto. E mi viene il panico a pensare alle conseguenze della mia fame sul bambino: quanto peserà e se avrà malattie congenite». Abu Alaa, 62 anni: «In passato ci davamo una mano gli uni agli altri. Adesso la gente è guidata solo dall’istinto individuale della sopravvivenza». Aziza, 75 anni: «Quando ci hanno sfollati, hanno dovuto spingermi su una sedia a rotelle. Sento di essere un peso per mio figlio»

di Redazione

«La combinazione mortale tra fame e malattie non è uno sfortunato effetto secondario delle operazioni militari ma è il risultato atteso di piani e politiche che Israele ha ideato e attuato, negli ultimi 22 mesi, per infliggere deliberatamente alla popolazione palestinese della Striscia di Gaza condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, parte integrante del genocidio in corso». È questa la denuncia dell’organizzazione Amnesty International

«Proprio mentre Israele minaccia di lanciare l’invasione su vasta scala di Gaza City, le testimonianze che abbiamo raccolto sono molto più che un catalogo di sofferenze: sono un feroce capo d’accusa verso un sistema internazionale che, da decenni, autorizza Israele a tormentare le persone palestinesi nella quasi totale impunità», ha dichiarato Erika Guevara Rosas, alta direttrice delle ricerche e delle campagne di Amnesty International.

«Almeno per iniziare a invertire le devastanti conseguenze delle inumane azioni e politiche di Israele, che hanno fatto della fame di massa nella Striscia di Gaza una cupa realtà, c’è bisogno dell’immediata e incondizionata fine del blocco e di un cessate il fuoco duraturo. L’impatto del blocco israeliano e del genocidio in corso, soprattutto nei confronti delle bambine e dei bambini, delle persone con disabilità o con malattie croniche, delle persone anziane, delle donne in gravidanza e in allattamento è catastrofico e non può essere risolto semplicemente aumentando il numero dei camion contenenti aiuti o ripristinando i loro spettacolari quanto inutili e pericolosi lanci mediante paracadute. Le strutture sanitarie devono essere rifornite di prodotti e di attrezzature per renderle funzionanti. La popolazione civile dev’essere libera dalla costante minaccia di sfollamenti di massa. Dev’essere consentito a organizzazioni umanitarie affidabili di distribuire aiuti e ripari in sicurezza e senza limitazioni arbitrarie, in un modo che rispetti i diritti e l’umanità della popolazione civile. È ancora più urgente che ogni proposito di rafforzare l’occupazione della Striscia di Gaza o aumentare l’offensiva militare sia fermato». 

«Mentre nel mondo milioni di persone continuano a scendere in strada per protestare e i leader mondiali si mostrano in gesti retorici, la deliberata e sistematica campagna israeliana di riduzione alla fame continua a infliggere sofferenze indicibili a un’intera popolazione», ha proseguito Guevara Rosas. «Bambine e bambini palestinesi muoiono mentre i loro familiari sono costretti a scegliere tra due soluzioni impossibili: ascoltare, senza poterli aiutare, le grida dei loro figli emaciati che supplicano cibo o rischiare di essere uccisi o feriti nella disperata ricerca di cibo».

Nelle ultime settimane Amnesty International ha intervistato 19 persone palestinesi residenti in tre campi improvvisati per sfollati interni e due operatori sanitari che curano bambine e bambini affetti da malnutrizione in due ospedali di Gaza City. Al 17 agosto il ministero della Sanità della Striscia di Gaza aveva registrato la morte per complicazioni legate alla malnutrizione di 110 bambine e bambini. Il 29 luglio, l’Iniziativa per la classificazione integrata delle fasi della sicurezza alimentare aveva diffuso un’allerta secondo la quale, nella maggior parte della Striscia di Gaza, il consumo di cibo era sceso a livelli così bassi da aver raggiunto la soglia della carestia e che il peggiore scenario possibile era già in atto a causa del continuo aumento del numero delle persone, tra le quali bambine e bambini, morte di fame. Alle stesse conclusioni è poi giunto il Nutrition Cluster, secondo il quale a luglio erano stati accertati quasi 13mila casi di ammissione ospedaliera per malnutrizione acuta, il numero più alto su base mensile dall’ottobre 2023, almeno 2.800 dei quali (il 22% del totale) per grave malnutrizione acuta. Le autorità israeliane hanno ulteriormente esacerbato le condizioni inumane create dalle loro politiche, continuando a ostacolare il lavoro della maggior parte delle organizzazioni umanitarie e delle agenzie delle Nazioni Unite all’interno della Striscia di Gaza, ad esempio respingendo le loro richieste di far entrare aiuti salvavita. Queste limitazioni arbitrarie sono state accompagnate dall’adozione di nuove regole per la registrazione delle organizzazioni non governative internazionali che, se attuate, impediranno loro di operare all’interno di tutto il Territorio palestinese occupato.

«Sento di aver fallito come madre»

L’impatto cumulativo delle politiche israeliane di riduzione alla fame di massa, dei multipli sfollamenti forzati e delle limitazioni all’accesso agli aiuti salvavita è particolarmente devastante per le madri in gravidanza e in allattamento. Delle 747 di loro che Save the Children ha visitato nella prima metà di luglio nelle sue cliniche, 323 (il 43%) erano malnutrite. Le donne in gravidanza e in allattamento intervistate da Amnesty International hanno denunciato l’estrema scarsità di prodotti indispensabili per la propria sopravvivenza, l’agonizzante realtà di essere incinte o neomamme vivendo in una tenda con temperature estive estreme e la disperata lotta quotidiana per trovare cibo, acqua pulita e latte in polvere e altri alimenti per bambini. Hanno anche detto di sentirsi in colpa per non poter prendersi cura dei loro figli, di provare paura per chi se ne occuperà se verranno uccise e di avere ansia per l’impatto della malnutrizione sulla crescita e il benessere dei loro piccoli.

S. (che ha chiesto di essere citata solo con l’iniziale del suo nome), un’infermiera sfollata da Jabalia al campo di al-Taqwa, nel quartiere di Sheikh Radwan di Gaza City, ha raccontato la sua lotta quotidiana per prendersi cura dei figli, un bambino di due anni e una bambina di sette mesi. Ha dovuto scegliere tra lo sfollamento e la morte e ha deciso di essere sfollata per salvarli. La fame ha iniziato a farsi sentire ad aprile, costringendola a rinunciare al cibo per fornirne misere porzioni ai figli. Alla fine del mese il latte al seno si era notevolmente ridotto e l’assenza di tiralatte e l’estrema scarsità di altro materiale per la maternità l’hanno costretta a provare per ore e ore, causandole dolore fisico e psicologico, ma “niente, il latte non usciva”. Il pasto quotidiano, quando disponibile, consisteva in un piatto a famiglia di lenticchie e melanzane, che S. cedeva ai suoi figli. Questi crollavano a dormire “piangendo per la fame”. Quel poco di latte in polvere disponibile nella Striscia di Gaza aveva un prezzo irraggiungibile, 270 shekel (quasi 70 euro) per una confezione da tre giorni, e comunque si trovava a malapena. Quando la cucina comunitaria del campo, l’unica fonte di cibo, ha sospeso le forniture per tre giorni consecutivi, S. ha potuto dare ai suoi due figli solo acqua. Suo marito era rimasto ferito mentre cercava aiuti nei pressi del valico di Zikim e lei lo ha scongiurato di non riprovarci più. Il figlio, indebolito dalla fame, camminava e cadeva. «Sento di aver fallito come madre: la fame dei miei figli mi fa sentire una cattiva madre». La lotta per procurarsi beni essenziali va oltre il cibo. La totale mancanza di assorbenti ha costretto S. a tagliare i suoi vestiti e a usarli, senza poterli lavare dopo l’utilizzo a causa della mancanza di acqua pulita, a sua volta causata dalla distruzione o dai gravi danneggiamenti dei sistemi idrici e igienici nella Striscia di Gaza. La tenda in cui tuttora vive col marito e i due figli è infestata da topi, zanzare e scarafaggi. La neonata di sette mesi ha sviluppato un’infezione cutanea da batteri, impossibile da curare per la mancanza di antibiotici e pomate.

Gli operatori umanitari di due organizzazioni con cui Amnesty International ha parlato garantendo loro l’anonimato hanno riferito che la loro richiesta di far entrare nella Striscia di Gaza antibiotici è stata respinta dal Coordinatore delle attività governative nei Territori (Cogat), l’unità del ministero della Difesa israeliano che ha il compito di valutare le richieste d’ingresso delle forniture. I danni alla salute mentale causati dalla fame – traumi, sensi di colpa e vergogna – sono patiti anche dalle donne in gravidanza intervistate da Amnesty International.

Hadeel, 28 anni, madre di due figli e incinta da quattro mesi, ha descritto la paura provata quando sentiva a malapena i movimenti o il battito del cuore del feto e il senso di colpa nell’essere rimasta incinta sapendo che non avrebbe potuto nutrire se stessa: «Temo un aborto ma penso anche al mio bambino: mi viene il panico a pensare alle conseguenze su di lui della mia fame, quanto peserà, se avrà malattie congenite, persino se nascerà in salute, che vita lo aspetterà tra bombe, sfollamenti e tende…». Hadeel trema al pensiero di partorire in queste condizioni, ricordando le cure prenatali, le vitamine e i test medici messi a disposizione durante le due precedenti gravidanze dall’Agenzia delle Nazioni Unite per il lavoro e il soccorso dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (Unrwa), ora del tutto mancanti. I suoi due figli chiedono costantemente cibo, un luogo per pregare e una scuola. Diverse altre donne intervistate da Amnesty International nell’ambito di questa e di precedenti ricerche hanno spiegato di aver preso la decisione di non rimanere incinte, nonostante volessero avere figli, a causa delle condizioni di vita e dei bombardamenti nella Striscia di Gaza.

Dalle interviste effettuate da Amnesty International con persone palestinesi sfollate in tre campi di Gaza City è risultato che la situazione è la stessa per tutta la popolazione: nessuna mangiava uova, carne, pesce, pomodori o cetrioli da almeno un mese, la maggior parte di loro da parecchi mesi. Questa diffusa carenza di alimenti freschi e nutrienti è il risultato del soffocante blocco israeliano e della sistematica distruzione delle fonti di produzione del cibo, tra cui ampie zone di terreno agricolo nonché di allevamenti di pollame e di altri animali, durante le operazioni militari israeliane attraverso bombardamenti o esplosivi posizionati manualmente.

Da una valutazione condotta dal Centro satellitare delle Nazioni Unite (Unosat) e dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per il cibo e l’agricoltura (Fao), pubblicata il 31 luglio, è risultato che l’86% dei campi destinati in modo permanente alla semina era degradato dal punto di vista della fertilità e della densità a causa delle attività collegate al conflitto tra cui spianamenti, bombardamenti e colpi di artiglieria pesante. Nel giugno 2025 Amnesty International aveva denunciato che ciò che era rimasto di Khuza’a, a est di Khan Younis, dove si trovavano alcuni dei terreni più fertili della Striscia di Gaza, era stato raso completamente al suolo. L’impossibilità di accedere ai terreni coltivati, il loro danneggiamento o la loro distruzione hanno fatto sì che i prodotti della terra scarseggino e i vegetali, quando disponibili, si vendano a prezzi astronomici. Il risultato è che la popolazione palestinese è quasi del tutto dipendente dalle assai limitate forniture che Israele lascia entrare.

Il 13 agosto l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha) ha segnalato che i prezzi di molti generi alimentari continuavano a variare, più a causa della speculazione che della loro effettiva disponibilità: un chilo di pomodori costava quasi 80 shekel (20 euro), venti volte di più rispetto al prezzo precedente il 7 ottobre 2023. Dopo che le autorità israeliane hanno approvato una procedura per l’ingresso limitato di alcuni prodotti, attraverso commercianti passati sotto il loro vaglio, il prezzo di zucchero, datteri, cibo in scatola e farina è diminuito ma è rimasto quasi dieci volte superiore rispetto al periodo precedente il 7 ottobre 2023. I pescatori, a loro volta, sono confinati in una piccola e pericolosa area nei pressi del porto di Gaza City e rischiano di essere bombardati o arrestati quando vanno a pesca.

«Sono diventata un peso per la mia famiglia»: l’impatto sulle persone anziane

Abu Alaa, 62 anni, sfollato dal campo rifugiati di Jabalia, ha raccontato che mangiava una razione di zuppa di lenticchie, fornita dalla cucina comunitaria, come unico pasto al giorno. Il pane era distribuito una volta alla settimana e doveva essere razionato. Non assaggiava nulla di dolce, neanche la frutta, da mesi. «Io posso sopportare la fame, i bambini no», ha detto. Sperava che l’Unrwa riprendesse a distribuire il cibo perché lo faceva in modo equo e serio, basandosi sulle dimensioni dei nuclei familiari. Ha descritto i pericoli dell’attuale sistema di lotta agli aiuti: «In passato ci davamo una mano gli uni agli altri, soprattutto aiutavamo le persone più bisognose. Succedeva anche all’inizio di questa guerra. Adesso la gente è guidata solo dall’istinto individuale della sopravvivenza».

Nahed, 66 anni, ha raccontato come la lotta per impossessarsi del cibo nei pressi dei punti di distribuzione «ha privato le persone della propria umanità. Dovevo andare lì perché non avevo nessuno che potesse prendersi cura di me. Ho visto coi miei occhi persone portare pacchi di farina sporchi del sangue di chi era stato appena ucciso. Persone a me note erano del tutto irriconoscibili. L’esperienza della fame e della guerra ha cambiato Gaza completamente, ha cambiato i nostri valori».

Le persone anziane sono tra coloro che soffrono di più a causa degli sfollamenti. Aziza, 75 anni, ha espresso ad Amnesty International il suo desiderio di morire: «Sento di essere diventata un peso per la mia famiglia. Quando ci hanno sfollati, hanno dovuto spingermi su una sedia a rotelle. Nel campo dove ci troviamo, la fila per il bagno è lunghissima. Ho bisogno dei pannoloni, che sono estremamente costosi. Mi servono le medicine per il diabete, la pressione alta e il cuore e ho a disposizione solo confezioni scadute. Mi accorgo di essere come un neonato ma sono loro, i miei nipotini, che meritano di vivere. Io sono solo un peso per mio figlio».

La combinazione mortale di fame e malattie

Un medico del pronto soccorso dell’ospedale al-Shifa di Gaza City, intervistato da Amnesty International il 24 luglio, ha sottolineato come le persone in maggiore pericolo – i neonati, i minori con malattie pregresse, le persone anziane e quelle con disabilità – siano colpite in modo sproporzionato dalla combinazione della mancanza di cibo, di medicinali, di acqua pulita e di igiene, cui si assomma il costante stato di paura e di disperazione.  Il medico ha ripetuto più volte che molti pazienti potrebbero condurre «una vita ragionevolmente normale» se non fosse per «la combinazione di fame, distruzione, disfacimento del sistema sanitario, condizioni anti-igieniche e sfollamenti a catena inumani». La mancanza di nutrienti specifici causa complicazioni facilmente evitabili. Un adolescente con un rene trapiantato ha avuto una ricaduta a causa dell’acqua inquinata e del cibo insufficiente. Le persone diabetiche, che potrebbero gestire la loro condizione con una dieta rigida, non hanno a disposizione cibo ricco di sostanze nutritive come la verdura, il pesce, il pollo e i fagioli, per non parlare della mancanza di medicinali.

Il medico ha aggiunto che la fame estrema e di massa ha fatto passare in secondo piano altre emergenze sanitarie, soprattutto l’allarmante aumento delle infezioni e delle malattie trasmesse dall’acqua, delle meningiti e della sindrome di Guillain-Barré, una rara malattia del sistema nervoso che può risultare letale, a causa del danneggiamento dei nervi periferici. La grave mancanza di antibiotici e l’estremo sovraffollamento del suo ospedale, che peraltro è solo parzialmente funzionante, hanno aggravato quella che ha descritto come una “catastrofe invisibile”: la diffusione delle infezioni o la situazione delle persone alle prese con malattie croniche che prima venivano curate sono spesso ignorate perché «a preoccupare è solo la quantità di cibo che entra, non si osserva il quadro complessivo».

Le conseguenze sia per i pazienti che per gli operatori sanitari sono drammatiche allo stesso modo. Le persone ricoverate per ferite lievi ci mettono molto più tempo a guarire perché il loro corpo è debilitato dalla penuria di cibo. Il medico del pronto soccorso dell’ospedale al-Shifa ha parlato di «una distruzione stratificata e interconnessa, in cui un ospedale devastato che una volta era il più grande della Striscia di Gaza, ora a malapena operativo dopo i due grandi raid israeliani del novembre 2023 e del marzo 2024, è costretto a far fronte a fame, infrastrutture distrutte e bombardamenti costanti, col rischio di ulteriori sfollamenti in tende prive di igiene». Questa situazione di costante e profonda crisi, ha concluso, sta portando all’esaurimento il personale sanitario.  

«Una situazione già catastrofica rischierà di evolvere in un orrore ancora più profondo se Israele attuerà il piano di lanciare l’invasione da terra su vasta scala di Gaza City. Un’operazione militare del genere colpirebbe in modo devastante e irreversibile due dei centri per la stabilizzazione della malnutrizione operanti in città e le strutture sanitarie già decimate», ha ammonito Guevara Rosas.

Dopo l’approvazione, da parte del gabinetto di sicurezza israeliano, del piano per rafforzare l’occupazione della Striscia di Gaza lanciando un’offensiva contro Gaza city, uno sfollato dal campo rifugiati di Jabalia ha detto: «In questa guerra sono stato sfollato già 14 volte, non sono più in grado di fuggire altrove, non ho i soldi per trasportare i miei due figli disabili. Mi fanno male i muscoli, sono troppo esausto per camminare io, immagina per trasportare i miei figli. Se attaccheranno la città, resteremo seduti qui ad aspettare la nostra morte».

«In quanto potenza occupante, Israele è giuridicamente vincolato a proteggere la popolazione civile e a occuparsene, ad esempio facilitando l’ingresso di beni essenziali per la sua sopravvivenza, la distribuzione sicura e in dignità degli aiuti e l’accesso privo di ostacoli al cibo e ai medicinali in tutta la Striscia di Gaza. La fame non dev’essere mai usata come arma di guerra. L’Unrwa, le altre agenzie delle Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie devono poter entrare in sicurezza e senza ostacoli in tutta la Striscia di Gaza», ha proseguito Guevara Rosas. «Il mondo non può continuare a dare pacche sulle spalle a Israele per le gocce di aiuti che fa entrare e giudicare queste azioni di facciata come una risposta sufficiente alla calcolata distruzione della vita delle persone palestinesi nella Striscia di Gaza. Di fronte all’orrore che Israele sta infliggendo alla popolazione palestinese, la comunità internazionale – soprattutto gli alleati di Israele come l’Unione europea e i suoi stati membri – devono rispettare i propri obblighi morali e giuridici e porre fine al genocidio israeliano in corso. Gli stati devono urgentemente sospendere tutti i trasferimenti di armi, adottare sanzioni mirate e porre fine a tutti gli accordi con entità israeliane quando contribuiscano al genocidio della popolazione palestinese della Striscia di Gaza». 

AP Photo/Jehad Alshrafi/LaPresse

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