Guerra
Ucraina, padre Ihor Boyko: «A Washington si parla di pace, ma qui le bombe continuano a cadere»
Padre Ihor Boyko, rettore del seminario greco - cattolico di Leopoli: «Per noi, la prima condizione per un dialogo serio dovrebbe essere proprio la fine delle ostilità, un cessate il fuoco definitivo. Non possiamo cedere i territori così facilmente come forse Putin si aspetta. Il Paese ha perso troppe vite in questa guerra. La cosa più giusta sarebbe che tutti i territori che sono stati occupati ingiustamente dai russi ritornino a essere ucraini»
di Anna Spena

A Washington i colloqui si sono conclusi con l’incontro tra Zelensky e Trump, a loro si sono aggiunti altri leader europei tra cui Macron e Meloni. Vladimir Putin ha accettato di incontrare Volodymyr Zelensky entro i prossimi giorni. «Trump», ha scritto nella sua rassegna stampa il giornalista Alessandro Banfi, «ha promesso al presidente ucraino che gli Stati Uniti contribuiranno a garantire la sicurezza dell’Ucraina, con il sostegno dei Paesi europei. È la prima volta che gli Usa accettano la prospettiva di un coinvolgimento diretto. Zelensky ha commentato la mossa americana come “un importante passo avanti”, aggiungendo che le garanzie sarebbero state “formalizzate su carta entro la prossima settimana o entro 10 giorni”». Intanto «in Ucraina gli allarmi continuano a suonare e le bombe a cadere», dice padre Ihor Boyko, rettore del seminario greco – cattolico di Leopoli che da tre anni viaggia in tutto il Paese per portare aiuti umanitari.

Come sta?
Diciamo così: bene, nonostante tutto.
Sono giorni decisivi per l’evoluzione del conflitto. Prima l’incontro in Alaska tra Trump e Putin, poi il secondo round di colloqui ieri a Washington. Come hanno percepito le informazioni e le immagini arrivate fino ad ora i cittadini ucraini?
Partiamo dall’Alaska: vedere Putin accolto in modo così “amichevole”, con una certa enfasi, e su un tappeto rosso è stato difficile da accettare. Per noi si tratta di un aggressore che ha causato indicibili sofferenze: ha ordinato l’uccisione di civili, ha occupato i nostri territori e ha rapito i nostri bambini. L’immagine di lui che riceve un’accoglienza calorosa ha generato un senso di profonda ingiustizia e di sofferenza.
L’incontro di Washington, con la partecipazione di Macron e Meloni, ha aperto uno spiraglio e si è chiuso con la notizia che ci sarà un incontro tra Zelensky e Putin
Non possiamo illuderci. Nonostante i colloqui, continuano a bombardare le nostre città. Mi chiedo se ci sia davvero una reale volontà di fermare la guerra e l’occupazione. Per noi, la prima condizione per un dialogo serio dovrebbe essere proprio la fine delle ostilità, un cessate il fuoco definitivo. La posizione di Meloni, che ha sottolineato la necessità di restare uniti, è un punto di forza. L’incontro tra i due leader sarebbe un passo positivo, ma non a costo di cedere i nostri territori.
La decisione sui territori è stata rimandata e verrà presa durante l’incontro diretto tra Zelensky e Putin
Io sarei contento se questo incontro potesse accadere. Ma da parte nostra non possiamo cedere i territori così facilmente come forse Putin si aspetta. Immaginiamo che qualcuno voglia prendersi la Sicilia, io non credo che gli italiani sarebbero contenti di cedere un pezzo della loro terra e dire “va bene, dai, smettiamola”. Lo stesso vale per noi ucraini, perché abbiamo perso tanti militari e tante vite in questa guerra. Abbiamo pagato un prezzo molto alto, sono morti tanti giovani per difendere la loro patria. La cosa più giusta sarebbe che tutti i territori che sono stati occupati ingiustamente dai russi ritornino a essere ucraini. È questo che vuole il popolo: abbiamo il diritto di avere i nostri territori. Non vogliamo niente di qualcun altro, ma vogliamo il nostro che deve essere restituito. È come se qualcuno avesse tre appartamenti e un nemico ne prendesse uno e dicesse “accontentati degli altri due”. Non è giusto. Dobbiamo capire che gli ucraini vogliono ciò che è loro. Non so quale sarà la decisione di Zelensky, ma da quello che si sente qui, questo sarà il punto più difficile da decidere: cosa fare con i territori che sono stati temporaneamente occupati e le garanzie che non accadrà un’altra volta.
Credit foto: LaPresse/Palazzo Chigi/Filippo Attili
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