Salute globale
Organizzazione mondiale della sanità, così la Cina vuole riempire il vuoto lasciato dagli Usa
Durante la 78ª Assemblea Mondiale della Sanità, la Cina ha promesso 500 milioni di dollari all'Oms. Questo gesto colma il vuoto di finanziamento creato dai tagli degli Stati Uniti e segnala una strategia di Pechino per aumentare la propria influenza diplomatica e geopolitica, posizionandosi come un'alternativa di leadership globale. «L’aumento dei finanziamenti al Who e il crescente coinvolgimento cinese nelle agenzie delle Nazioni Unite rientrano sicuramente in una strategia più ampia di rafforzamento della propria legittimità e influenza nel sistema multilaterale globale», spiega l’antropologa e ricercatrice Costanza Franceschini

Maggio 2025, Ginevra. Durante la 78ª Assemblea Mondiale della Sanità, il vicepresidente cinese Liu Guozhong annuncia un impegno senza precedenti da parte del governo cinese: 500 milioni di dollari nei prossimi cinque anni a sostegno dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Who).
Il momento non è casuale. Pochi mesi prima, l’amministrazione Trump aveva confermato tagli drastici ai fondi destinati alle Nazioni Unite e alle sue agenzie specializzate, riducendo in maniera significativa anche il contributo statunitense al Who, storicamente il più alto tra tutti i Paesi membri.
Solo nel 2022, gli Stati Uniti hanno versato 679,6 milioni di euro al Who, pari a circa un terzo dei contributi diretti degli Stati membri e a un quinto delle risorse complessive, che includono anche le donazioni di enti privati. Negli ultimi due anni, gli Stati Uniti hanno coperto il 75% dei costi dei programmi contro l’Aids e altre malattie sessualmente trasmissibili e più della metà delle spese per combattere la tubercolosi.
Per il Who, già alle prese con una crisi di bilancio e costretta a chiedere alla comunità internazionale un sostegno extra da 1,5 miliardi di dollari, la promessa cinese rappresenta una boccata d’ossigeno. Per la geopolitica globale, è un segnale chiaro: Pechino è pronta a colmare lo spazio lasciato da Washington. Già negli ultimi anni la Cina era diventata il secondo maggiore contributore al bilancio regolare dell’Onu e il primo tra i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza per personale e risorse destinate alle missioni di peacekeeping.
Gli Stati Uniti, invece, hanno ridotto progressivamente la loro partecipazione finanziaria, motivando la scelta con il rischio di “costi sproporzionati” e inefficienze strutturali. I nuovi tagli hanno naturalmente aperto un vuoto di potere e di risorse nel sistema multilaterale, vuoto che Pechino ha interpretato come un’opportunità: quella di aumentare il proprio peso nelle istituzioni internazionali attraverso fondi, presenza diplomatica e leadership nelle agenzie Onu. Secondo Liu Guozhong, il contributo da mezzo miliardo mira a “rafforzare il ruolo del Who” e a “promuovere la cooperazione internazionale” contro le emergenze sanitarie globali. Nelle sue parole emerge anche una critica implicita al “unilateralismo” e alla politicizzazione dell’assistenza sanitaria.
La mossa si inserisce in una strategia più ampia: consolidare l’immagine della Cina come leader responsabile e alternativa credibile a un Occidente percepito come diviso e meno impegnato nel multilateralismo. Questa ambizione va letta non solo in termini di cifre, ma come parte di una precisa strategia geopolitica e diplomatica che Pechino ha sviluppato negli ultimi decenni. Il rafforzamento del ruolo cinese nelle agenzie multilaterali, e in particolare nell’Organizzazione Mondiale della Sanità, è un tassello fondamentale di una visione più ampia che vede la cooperazione internazionale come uno strumento per consolidare relazioni di potere e influenza, più che un semplice gesto di “aiuto”. È qui che entra in gioco il modello di diplomazia umanitaria cinese, che si differenzia nettamente dalle tradizionali forme di cooperazione occidentale e si fonda su principi come la reciprocità, la non ingerenza e il mutuo beneficio.
La diplomazia umanitaria cinese
Per capire la portata dell’operazione, è utile guardare oltre i numeri. Come spiega l’antropologa e ricercatrice Costanza Franceschini, che si occupa di di studiare a livello antropologico ed etnografico lo sviluppo infrastrutturale cinese all’estero, soprattutto in Africa, e le relazioni tra Cina e Sud Globale, l’aumento dei fondi all’Oms si inserisce pienamente nel più ampio quadro dell’approccio cinese alla cooperazione allo sviluppo, basato su tre pilastri.
Innanzitutto, quello della Cooperazione Sud-Sud, nella quale Pechino si presenta come “partner alla pari” (pingdeng huli de huoban, 平等互利的伙伴), rifiutando l’etichetta di “donatore”. «Si tratta di un modello», spiega Franceschini, «che si contrappone in modo esplicito al paradigma occidentale dell’ “aiuto allo sviluppo”, tradizionalmente legato a forme di assistenza finanziaria condizionata a riforme politiche ed economiche nei Paesi beneficiari. In linea con questa visione, la Cina evita di adottare la distinzione tra “Paesi donatori” e “Paesi beneficiari”, preferendo sottolineare la reciprocità nella cooperazione».
Il secondo pilastro, quello della non ingerenza negli affari interni dei Paesi partner, evitando condizionalità politiche, e il terzo, quello del Mutuo beneficio che privilegia progetti che portano vantaggi concreti a entrambe le parti, concorrono a rafforzare l’idea di una partnership più che di una donazione. A fare da cornice, un tipo di narrazione inclusiva, che privilegia espressioni come “win–win cooperation” , “collaborazione amichevole” e “co-sviluppo”. Questo modello di diplomazia umanitaria, già evidente nella Belt and Road Initiative e nel Forum on China–Africa Cooperation, potrebbe trovare ora nel Who un nuovo palcoscenico multilaterale.
«L’aumento dei finanziamenti al Who e il crescente coinvolgimento cinese nelle agenzie delle Nazioni Unite rientrano sicuramente in una strategia più ampia di rafforzamento della propria legittimità e influenza nel sistema multilaterale globale», conferma Franceschini. Tuttavia, «è importante sottolineare che questo impegno si affianca- e non sostituisce- a una strategia parallela di costruzione di spazi multilaterali alternativi».
Oltre ai Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica – a cui si sono aggiunti altri membri nel formato Brics+), la Cina ha promosso e consolidato diverse piattaforme multilaterali, come il Focac (Forum on China–Africa Cooperation): avviato nel 2000, è il principale strumento di dialogo e cooperazione tra la Cina e i Paesi africani. In questo senso, il rafforzamento della presenza cinese al Who non è un episodio isolato, ma il proseguimento coerente di una strategia già sperimentata in altri contesti multilaterali. Come nei Brics o nel Focac, anche in ambito sanitario Pechino tende a combinare impegno finanziario e visibilità diplomatica, cercando di modellare l’agenda in modo coerente con le proprie priorità geopolitiche e narrative.
Per l’Organizzazione mondiale della Sanità, il contributo cinese può significare maggiore stabilità finanziaria, ma anche una crescente influenza di Pechino sulle priorità sanitarie, con il rischio che l’allocazione delle risorse possa privilegiare progetti in Paesi allineati o partner commerciali strategici della Cina.
Negli Stati Uniti, la mossa è stata letta come l’ennesima prova del progressivo arretramento di Washington dalla leadership internazionale. Secondo analisti e think tank – dalla Heritage Foundation allo Stimson Center – l’imponente sostegno economico promesso da Pechino al Who rientra in una strategia di “cash-for-clout”, ovvero l’uso dei finanziamenti per guadagnare influenza politica, con il rischio di spostare l’asse decisionale dell’agenzia sempre più verso la Cina.
In Europa, le reazioni oscillano tra la cautela e la ricerca di un ruolo di mediazione. Per l’Italia e l’Ue, la sfida sarà preservare standard di trasparenza e governance multilaterale senza lasciare alla Cina il monopolio dell’agenda sanitaria globale.
L’annuncio di Pechino non è solo una questione di fondi: è una dichiarazione di ambizione geopolitica. Il vuoto lasciato dagli Stati Uniti offre alla Cina l’occasione di consolidare il proprio ruolo di attore indispensabile nel sistema Onu, non solo nella sanità ma in tutta la cooperazione umanitaria. Al tempo stesso, l’intervento cinese permette la sopravvivenza di programmi e interventi del Who che sarebbero altrimenti andati persi come conseguenza del ritiro statunitense.
Negli anni a venire, sarà importante osservare come il Who affronterà questa evoluzione nella sua struttura finanziaria. L’organizzazione ha da sempre dipeso dal sostegno di grandi potenze, ma il progressivo cambiamento dei principali finanziatori può influenzare tanto la percezione globale quanto le priorità e le strategie sanitarie adottate.
© Copyright World Health Organization (WHO), 2025. All Rights /Pierre Albouy
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