Documentari
Anna Negri: «Ideologia contro vita: vi racconto la distanza fra me e mio padre Toni»
In anteprima il 2 settembre alle Giornate degli Autori, durante la Mostra del Cinema di Venezia, il documentario di Anna Negri esplora il delicato e profondo legame tra padre e figlia, intrecciando la memoria familiare con la storia politica dell'uomo Toni Negri. «Questo film racconta cosa accade quando la grande storia si sovrappone alla vita personale», spiega la regista figlia dell'ex militante di Potere Operaio

Cosa succede quando la grande storia entra nella piccola storia delle persone? La regista Anna Negri lo racconta nel documentario: Toni, mio padre, un film molto personale in cui il presente veneziano, girato da Stefano Savona, si intreccia con interviste, filmini di famiglia, fotografie e i Super8 che la stessa regista ha girato dai 16 anni in poi.
Presentato in anteprima a Venezia il 2 settembre alle 21 alle Giornate degli Autori, la rassegna cinematografica indipendente che si svolge ogni anno durante la Mostra del Cinema di Venezia, e in replica il 3 alle 20.30 al cinema Rossini, Toni, mio padre affronta, con sguardo lucido e intimo, i nodi irrisolti del proprio passato e dell’essere figlia di Toni Negri, il professore di Scienze politiche all’Università di Padova, uno dei leader del movimento di contestazione degli anni ‘70, arrestato con l’accusa di essere il capo occulto del terrorismo italiano, reato da cui anni dopo è stato prosciolto.

Da padre a personaggio: la frattura emotiva di una figlia adolescente
Al momento dell’arresto Anna aveva 14 anni. «È stato come se all’improvviso non fosse più un padre ma un personaggio storico. Quel momento lo ha trasformato da figura familiare a simbolo pubblico», spiega Negri. «È stato per me il vuoto familiare. Il vuoto lasciato da una famiglia che non c’era più».
Un viaggio personale, a tratti doloroso, in quel territorio fragile dove la storia irrompe nella vita privata e la lotta rivoluzionaria degli anni Settanta si scontra con le assenze, le distanze, i silenzi di una famiglia. «Sì, questo è il punto fondamentale», prosegue la regista, «da un giorno all’altro tuo padre sparisce. Ho letto molti libri che parlano di quando la grande storia entra nella piccola storia delle persone. Per esempio, c’è un bellissimo romanzo di Salman Rushdie, Vergogna, che parla proprio di questo. È un tema presente in molta letteratura: la grande storia si intreccia spesso con la vita privata».
La rabbia, credo, nasce soprattutto dalla sensazione di essere rimasti intrappolati in un trauma e di non avere le parole per raccontarlo
Anna Negri, regista
Anna e Toni si ritrovano a Venezia: la città dove Anna è nata, dove viveva da bambina con la sua famiglia e dove oggi riposa sua madre. Si ritrovano di fronte alla macchina da presa. Toni sa che sarà l’ultima volta che vede questa città — morirà sei mesi dopo il 16 dicembre 2023 — e Anna, che non ha mai vissuto con lui dopo il suo arresto, lo accompagna con emozione, cercando di colmare il vuoto del tempo perduto. In questa dimensione nuova, fatta di scoperta reciproca, dove restano solo pochi gesti e parole essenziali, si sciolgono lentamente gli ultimi nodi, i dubbi, i significati di due vite segnate dalla complessità.

Il potere della narrazione che scioglie il trauma e sa dargli senso
«Il documentario», spiega Negri, «è forse l’ultima tappa di un percorso di ricerca interiore durato praticamente tutta la mia vita. In qualche modo, attraverso questo film, sono entrata davvero nell’età adulta. Fare questo lavoro mi ha riconciliata con questa storia perché, anche se l’avevo già scritta nel libro Con un piede impigliato nella Storia, trovarmi difronte a mio padre, raccontare attraverso un vero dialogo la storia, è stato un modo per renderla universale e, in questo senso, anche per guarire».
La pellicola ha riportato in superficie tutto: i conflitti, le pacificazioni e le connessioni profonde. «È stato un viaggio importante», prosegue Negri, «per non essere sommersa dalle emozioni, ho usato gli strumenti del mio mestiere: la capacità di osservare da fuori, come se io e mio padre fossimo personaggi che cercavo di mettere dentro una narrazione. È stato molto difficile, ma anche molto bello. Un lavoro dell’anima». E aggiunge: «La rabbia, credo, nasce soprattutto dalla sensazione di essere rimasti intrappolati in un trauma e di non avere le parole per raccontarlo».

Toni, mio padre è anche un’intensa riflessione sul legame tra padri e figlie e sul peso emotivo di crescere accanto a un uomo che apparteneva a una generazione – quella nata tra gli anni ’30 e ’40 – spesso incapace di comunicare affetto, travolta da ideali più grandi della vita familiare. Spiega la regista: «Le persone a me vicine che hanno visto il documentario e che hanno esperienze di vita diverse dalle mie mi hanno detto di essersi ritrovate nel mio racconto perché credo che il rapporto padre-figlia sia comunque un rapporto complesso, soprattutto con uomini di quella generazione spesso incapaci di esprimere affetto. Il documentario, infatti, oltre al rivoluzionario, racconta l’uomo cresciuto durante la guerra, formato nel boom economico, con il modello dell’intellettuale che deve esprimersi al massimo, sacrificando tutto il resto».
La conversazione tra me e lui è diventata quel dispositivo narrativo che permette di fare emergere temi universali come il conflitto tra ideologia e vita e anche quello tra generazioni e generi
Anna Negri, regista
Un cognome ingombrante quello di Anna che con questo documentario prova a ricostruire un lessico familiare frantumato dal tempo e dalla distanza che in fondo ogni figlia ha bisogno di ritrovare quando adulta vive gli ultimi anni di vita del padre.
«Durante le nostre conversazione ho capito che io cercavo un’epifania, una presa di coscienza mentre lui mi guardava con la sua distanza generazionale», racconta Negri che aggiunge: «Per me, l’obiettivo era, anche, far capire ai più giovani cosa voleva dire essere un rivoluzionario, essere una persona con un certo tipo di convinzione in quegli anni. Oggi è qualcosa di più raro, forse. La sfida per me è stata riuscire a raccontare una vita così stratificata, individuandone i tratti essenziali. Potevo finalmente cercare di capire quella mentalità rivoluzionaria dello scorso secolo e porre domande sull’eticità della violenza o su come si attraversa una sconfitta». E conclude: «La conversazione tra me e lui, che nel documentario costituisce un racconto in parallelo forse anche più avvincente, è diventata quel dispositivo narrativo che permette di fare emergere temi universali come il conflitto tra ideologia e vita e anche quello tra generazioni e generi».
Nella foto di apertura un fotogramma del documentario Toni, mio padre (foto kinoweb.it)
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