Cooperazione
Venezuela, Alberto Trentini: 300 giorni di silenzio angosciante
«Il sequestro di Alberto Trentini, avvenuto il 15 novembre 2024, ha una dimensione politica difficilmente interpretabile», scrive Nino Sergi, presidente emerito di Intersos. «Il silenzio richiesto in questo caso può riguardare solo i passi seguiti nella ricerca di eventuali canali di trattativa e le fasi successive, che devono rimanere riservati per potere funzionare. Mentre deve continuare la pressione comunicativa perché non si perda tempo»
di Nino Sergi

Sono ormai passati 300 giorni dall’arresto di Alberto Trentini, riassumibili in due parole: silenzio angosciante. Il silenzio è stato rotto solo grazie agli appelli incessanti della madre Armanda Colusso, aggrappata disperatamente alle due telefonate in cui ha potuto sentire per pochi secondi la voce del figlio, e alle tante iniziative coordinate dalla rete “Alberto Trentini Libero” o promosse da associazioni, personalità e cittadini, compresa una petizione pubblica che ha ben superato le 100mila firme, e grazie a un’informazione inizialmente scarsa ma oggi via via più attenta. Da parte governativa, solo poche dichiarazioni, quasi a colmare con imbarazzo un silenzio prolungato.
Negli anni, mi è capitato di seguire da vicino, in Paesi difficili, talvolta privi di riferimenti istituzionali credibili, alcuni sequestri di cooperanti di organizzazioni della società civile (Osc) impegnati in attività umanitarie e solidali. Si è trattato di sequestri a scopo estorsivo, per la cui soluzione era necessario cercare con fiuto e pazienza una controparte affidabile, o attendere un segnale che permettesse di avviare il contatto, pretendendo innanzitutto la prova che gli ostaggi fossero in vita. In quei casi, si ritenne indispensabile il totale silenzio stampa – fatte salve le informazioni diffuse a livello istituzionale o dall’Osc – poiché l’informazione può diventare uno strumento che favorisce, e non poco, i rapitori. Altrettanto indispensabile fu il rapporto stretto e sinergico – pur senza confusione dei ruoli – con le istituzioni italiane competenti, fondato su uno spirito di reciproca fiducia.
Il sequestro di Alberto Trentini, avvenuto il 15 novembre 2024, è di diversa natura, con una dimensione politica difficilmente interpretabile. Il successivo arresto e il totale isolamento in carcere non sono mai stati motivati né è stata mai formalizzata alcuna accusa. È stato affidato alle autorità della Direzione generale del controspionaggio militare, con destinazione finale Caracas. Il silenzio richiesto in questo caso può riguardare solo i passi seguiti nella ricerca di eventuali canali di trattativa e le fasi successive, che devono rimanere riservati per potere funzionare. Mentre deve continuare la pressione comunicativa perché non si perda tempo. Diverso invece è il rapporto – tramite l’Unità di Crisi della Farnesina – tra le istituzioni governative e la famiglia Trentini, che dovrebbe rimanere sempre aperto (e forse lo è già, data l’attenzione dell’Unità di Crisi), pur nel doveroso riserbo.
Alberto era arrivato in Venezuela un mese prima, con la Ong Humanity & Inclusion (già Handicap International), premio Nobel per la pace 1997. Ma la sua esperienza nella cooperazione internazionale è di tutto rilievo. Era stato in Bosnia-Erzegovina, Libano, Etiopia, Nepal, Perù, Paraguay, Ecuador, Colombia, alternando impegni con la Cooperazione italiana, Danish Refugee Council e altre Osc quali Cefa, Coopi e Focsiv. Con quest’ultima ha iniziato il suo percorso nel 2006, in servizio civile nella città ecuadoriana di Esmeraldas.
La situazione del Venezuela rende tutto molto difficile: il governo italiano e, più in generale, i Paesi occidentali non hanno riconosciuto l’elezione di Nicolas Maduro, e l’attuale tensione militare con gli Usa sta assumendo un tono minaccioso, con i cacciatorpedinieri di Trump al largo delle coste venezuelane. Con gli Stati Uniti il confronto non è però del tutto chiuso. Nei mesi scorsi Maduro ha liberato diversi cittadini americani, in parte grazie a incontri con emissari di Washington e a scambi triangolari attraverso El Salvador. Diplomazia e forza muscolare si intrecciano in un equilibrio precario e rischioso.
Inoltre, il Venezuela non è del tutto isolato. Maduro coltiva relazioni con Cuba, Nicaragua e Bolivia e legami sempre più stretti con Russia, Cina e Iran. Anche tra Venezuela e Turchia continuano relazioni economiche e politiche. L’Italia, d’altro canto, ha buoni rapporti di cooperazione con Cuba (all’Avana l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo mantiene una sede con una ventina di addetti) e le relazioni tra Italia e Turchia sono complessivamente positive, non esenti da sfide ma con rapporti economici e commerciali stabili e molto solidi.
L’invio a Caracas dell’Ambasciatore Luigi Vignali, direttore generale per gli italiani all’estero e le politiche migratorie, è indubbiamente un segnale importante, ma probabilmente questa mossa è stata concepita soprattutto per mostrare all’opinione pubblica italiana che il governo si stava muovendo. Con un Paese come il Venezuela – i cui esiti elettorali non sono stati riconosciuti dal governo italiano, che ha mantenuto una posizione sospesa riguardo al riconoscimento di specifiche figure governative, a partire dal presidente Maduro – una simile missione diplomatica avrebbe richiesto tempi di preparazione che, in questa occasione, sembrano non essere stati rispettati.
La via intrapresa potrebbe però rivelarsi quella giusta. Vignali è un diplomatico di grande esperienza, capace di valutare fin dove e come spingersi e di scegliere con lucidità direzioni e interlocutori. La speranza è che possa contare su un’adeguata libertà di movimento e su un massimo coordinamento operativo con gli apparati delle Stato indispensabili per il buon esito della missione. Che dovrà probabilmente molto contare sulla mediazione di Paesi da un lato amici del Venezuela e dall’altro amici nostri: Cuba, in primis, ma anche Turchia. Buona diplomazia, quindi, ed esercizio di mediazione grazie ai buoni rapporti bilaterali dell’Italia. Intanto, media, società civile, influencer politici e culturali, cittadini sensibili di ogni ordine e grado, continuino a farsi sentire e a esercitare pressione. Trecento giorni sono davvero troppi, e l’Italia finora ha dato l’impressione di muoversi male e tardi. Speriamo che sia soltanto un’impressione. È ora che Alberto ritorni a casa.
Foto: Alberto Trentini foto pagina Facebook avvocata Alessandra Ballerini legale della famiglia
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