Daniela Schifani Corfini Luchetta

Così il sacrificio di mio marito Marco, giornalista ucciso in Bosnia, è diventato speranza per tanti bambini

di Veronica Rossi

A Trieste i nomi dei 246 giornalisti uccisi a Gaza sono stati letti sotto la targa che ricorda i giornalisti triestini uccisi mentre facevano il loro mestiere di inviati. Tra loro Marco Luchetta, ucciso a Mostar nel 1994. Daniela Schifani Corfini, la vedova, è presidente di una Fondazione intitolata al marito e agli altri colleghi: una realtà impegnata a difendere l'infanzia attraverso azioni concrete, sul campo. Tutto è iniziato con Zlatko, il bambino di 4 anni che Luchetta di fatto salvò in Bosnia nel 1994, facendogli scudo con il proprio corpo. Ecco la sua storia

Trieste ha ricordato i 246 giornalisti uccisi a Gaza dal 7 ottobre del 2023. L’ha fatto leggendo i loro nomi uno ad uno, sotto la targa intitolata ai triestini Marco Luchetta, Alessandro Saša Ota, Dario D’Angelo e Miran Hrovatin. Giornalisti anch’essi, anch’essi uccisi. I primi tre sono stati uccisi nel 1994, mentre documentavano per la Rai la guerra a Mostar, in Bosnia. L’ultimo, è morto insieme a Ilaria Alpi a Mogadiscio, nello stesso anno. Tra le persone presenti alla manifestazione, anche Daniela Schifani Corfini, la vedova di Marco Luchetta, che ha trasformato la tragedia accaduta al marito in una spinta a stare accanto ai più deboli. È così che è nata la Fondazione Ora D’Angelo Hrovatin che ormai da un trentennio sostiene i bambini provenienti da contesti difficili e – attraverso il Premio Luchetta – promuove il buon giornalismo.

Quali emozioni le suscita vedere questa strage di giornalisti a Gaza?

È una grande angoscia: i giornalisti sono diventati un bersaglio. Una volta erano considerati al di sopra degli avvenimenti, venivano protetti dalla scritta “Press”. Oggi si ha la sensazione opposta, che vengano colpiti per attirare l’opinione pubblica o per impedire loro di testimoniare e di parlare, come sta avvenendo a Gaza. È incredibile come nessun giornalista occidentale possa entrare nella Striscia e come quelli palestinesi vengano falcidiati. Del resto, di fronte a quello che sta succedendo, viene solo da dire che non c’è limite all’orrore.

Lei ha una dolorosa esperienza personale, che l’ha portata a lottare per i più deboli.

L’idea di creare la Fondazione è nata dal fatto che sotto i corpi di Marco, Alessandro e Dario era rimasto Zlatko, un bimbo di quattro anni che è rimasto miracolosamente illeso, che si trovava con loro nel rifugio a Mostar Est dove si trovavano per intervistare delle persone che lì erano chiuse. Marco e i suoi colleghi erano usciti per andare a prendere delle luci in macchina per girare dei filmati. Il bambino li aveva seguiti.

Marco Luchetta

Come mai?

Zlatko era un bimbo estremamente intelligente, viveva da un anno chiuso nel magazzino di un supermercato, dove avevano trovato riparo una cinquantina di persone. Era lì con la mamma e con i nonni. La madre era una persona veramente straordinaria: in quell’anno aveva insegnato al figlio a leggere e a scrivere per tenerlo occupato. Quando ha visto i giornalisti, Zlatko è rimasto attratto dalla novità, è scappato dalla nonna – la mamma in quel momento era fuori a cercare cibo – ed è rimasto sotto il bombardamento che ha ucciso Marco e e i suoi colleghi. I loro corpi l’hanno protetto. Quando noi, amici e parenti, abbiamo saputo questa storia abbiamo cominciato a pensare che sarebbe stato bello riuscire a portare qua Zlatko e, salvandolo, concludere quello Marco, Alessandro e Dario avevano cominciato, probabilmente in maniera inconsapevole. Abbiamo costituito un comitato e da questo comitato è nata la Fondazione. Zlatko è stato il primo ospite.

I corpi di Marco, Alessandro e Dario hanno protetto il piccolo Zlatko

Come ci siete riusciti?

È stata una trattativa abbastanza lunga, perché i bosniaci non volevano far uscire la famiglia di Zlatko da Mostar: era in corso la pulizia etnica. È stato abbastanza complicato, ma quello che era accaduto aveva avuto un’eco mondiale, quindi ci hanno assecondato. Il bimbo è venuto con la mamma, avevamo chiesto che venissero anche i nonni, ma non hanno voluto lasciare la loro città.

Il papà di Zlatko invece dov’era?

Era stato imprigionato in un campo di concentramento e poi espulso dalla Bosnia, si era riparato i Svezia. Siamo riusciti a trovarlo, per riunire la famiglia; Zlatko e la mamma sono rimasti con noi un mese, poi siamo riusciti a mandarli in Svezia. Zlatko ancora vive lì: oggi è un uomo di 35 anni, si è laureato, va spesso a Mostar, la sua vita è continuata.

Zlatko sotto la targa per Luchetta, Ota e D’Angelo a Mostar

Dopo Zlatko, avete deciso di continuare a dare accoglienza.

Sono le persone che ci hanno incitato. Ci dicevano: «La storia di Zlatko è incredibile, potete farlo con altri bambini?». Abbiamo avuto talmente tante elargizioni, donazioni, tanta solidarietà attorno a noi che veramente è stato impossibile fermarci.

Dopo Zlatko, le persone ci chiedevano di continuare a salvare altri bambini. Abbiamo avuto tante elargizioni e tanta solidarietà che veramente è stato impossibile fermarci

Oggi quali sono le attività della Fondazione?

Stiamo continuando con l’accoglienza dei bambini con bisogni sanitari e stiamo aiutando quelli che avevamo già in carico assieme alle loro famiglie, anche inviando dei farmaci; siamo usciti da un momento un po’ difficile dopo la pandemia, ma per fortuna sembra che le cose si siano sistemate. Le entrate e le elargizioni non sono più quelle di una volta, purtroppo. Anche se è vero che se lavoriamo da tanti anni è solo per la generosità dei donatori. A breve partiremo con un centro socioeducativo per minori dai 12 anni che vengono allontanati temporaneamente dalle famiglie. Siamo impegnati anche nel sociale della città di Trieste, gestiamo un centro di raccolta in cui assistiamo più di mille persone, che ogni mese vengono a rifornirsi di quello di cui hanno bisogno. Gestiamo anche una microarea a Montebello e ci occupiamo del Banco alimentare per alcune famiglie di quella zona. Quello che ci sta coinvolgendo molto, in questo momento, è l’assistenza ai migranti, che aiutiamo donando vestiti dal centro di raccolta. Abbiamo aperto delle sottoscrizioni a cui la città di Trieste ha risposto molto bene: siamo riusciti a comprare un buon quantitativo di sacchi a pelo, giacche, biancheria intima e scarpe. Tutto quello che può servire ai ragazzi che arrivano dopo aver attraversato la rotta balcanica in condizioni veramente terribili. Sotto questo aspetto siamo in collegamento con le associazioni che fanno accoglienza e anche con chi soccorre i migranti in strada.

Tra le vostre attività, c’è anche il Premio Luchetta, dedicato ai giornalisti.

Il premio è nato nel 2004 dall’idea di valorizzare il buon giornalismo, dando spazio a persone non necessariamente note o appartenenti a testate importanti, ma anche ai freelance; persone che vanno sul campo e documentano con una certa onestà intellettuale quello che sta succedendo, senza mettersi davanti alla notizia. C’è stata anche la spinta di collegare il premio al lavoro della fondazione e quindi centrare i temi che vengono trattati sull’infanzia e sull’infanzia negata, sui bambini che vivono la guerra o condizioni di degrado.

C’è più sfiducia, oggi, secondo lei, nei giornalisti?

Io faccio sempre una distinzione, che penso sia doveroso fare. Come esistono i bravi giornalisti, esistono anche i cattivi: sono sempre esisti. Purtroppo ne ho incontrati anche io nel mio cammino e devo dire che possono fare danni spaventosi. È un mestiere che può essere bellissimo, ma anche estremamente pericoloso, per il potere che ha. Non so se oggi ci sia una sfiducia verso il giornalismo, penso che ci sia un surplus di informazioni, che porta a non sapere bene a chi affidarsi. Per questo andare sul campo assume un ruolo ancora più importante: è fondamentale per conoscere quello che sta avvenendo. È talmente facile essere fuorviati da quello che si legge!

L’evento a Trieste è stata un’occasione per presentare anche la campagna “Alziamo la voce per Gaza”, attraverso la quale è stata avviata una raccolta fondi a sostegno dei giornalisti palestinesi

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