Viabilità dolce
Come si diventa Città 30? Bologna e Trento, due modelli a confronto
Sempre più città italiane stanno adottando le Zone 30 per ridurre la velocità e aumentare la sicurezza stradale. Bologna e Trento sono due esempi emblematici di come lo stesso obiettivo possa essere raggiunto con approcci diversi. La prima ha scelto di estendere il limite subito al 70% delle strade urbane, la seconda ha optato un percorso graduale e partecipato. Ne parliamo con Alessandro Tursi, ideatore del progetto ComuniCiclabili della Fiab e Michele Brugnara, assessore alla mobilità sostenibile e all’ambiente del Comune di Trento

Sono sempre più numerose le città italiane che scelgono di dire basta alla velocità nelle strade urbane. Di fronte a incidenti spesso gravi, talvolta mortali, molte amministrazioni locali stanno adottando misure decise per cambiare radicalmente il modo di muoversi in città. In Italia, il primo centro urbano a limitare la velocità in tutte le strade cittadine è stato Olbia, diventata ufficialmente una “Città 30” nel 2021: Bologna è stata la prima grande città a farlo. Bologna e Trento rappresentano due esempi significativi, accomunati dallo stesso obiettivo ma diverse nei metodi scelti per raggiungerlo.
Bologna ha scelto una strategia netta e immediata. Dal 1° luglio 2023, ha introdotto il limite dei 30 km/h sul 70% delle strade urbane e sul 90% di quelle più densamente popolate, invertendo così il paradigma secondo cui i 30 km/h erano l’eccezione. Ora, è la regola. Trento, invece, ha avviato un percorso più graduale e partecipato, lavorando quartiere per quartiere, partendo dalle scuole e coinvolgendo attivamente i cittadini nella progettazione di spazi pubblici più sicuri, accessibili e a misura di persona.
«L’importanza di ridurre la velocità sulle strade dei centri urbani trova conferma anche nei dati», sottolinea Alessandro Tursi, esperto di mobilità e ideatore del progetto ComuniCiclabili della Fiab, che valuta e premia i comuni italiani per le politiche a favore della mobilità ciclistica. «I numeri parlano chiaro e confermano ciò che già si osserva in molte città del mondo: la Città 30 è un modello che salva vite, rende il traffico più fluido e riduce l’inquinamento». Del resto sappiamo che a 30 km/h, un impatto con un pedone o un ciclista ha un rischio di morte del 10%, equivalente a una caduta dal primo piano di un palazzo, mentre a 50 km/h il rischio di morte supera l’80% perché è come cadere dal terzo piano.
Bologna: una scelta netta per strade più sicure
Bologna, prima tra i capoluoghi metropolitani ad adottare in modo esteso il limite dei 30 km/h, ha monitorato costantemente gli effetti della misura, diventando così un caso di studio a livello nazionale. A due anni dall’introduzione della Città 30, i benefici sono evidenti: meno incidenti, maggiore sicurezza, aria più pulita e spazi urbani più vivibili. Nel primo anno di applicazione della norma nessun pedone morto, si è visto un calo del 33,3% delle vittime sulle strade rispetto al periodo pre-Città 30; gli incidenti stradali sono stati in diminuzione del 10,78% nel primo semestre 2024, e del 15,2% nel 2025. Anche i feriti calano sensibilmente: -11,65% nel 2024 e -5% nel primo semestre 2025. Gli incidenti gravi, classificati come “codice rosso” dal 118, registrano un calo del 21%.
I numeri dimostrano che la Città 30 non è solo una scelta per la sicurezza, ma una visione di città più civile, sostenibile e orientata al futuro
Alessandro Tursi, Fiab
«Sono numeri che parlano da soli», ribadisce Tursi, «e dimostrano che la Città 30 non è solo una scelta per la sicurezza, ma una visione di città più civile, sostenibile e orientata al futuro. È tempo di fare un passo avanti verso un modello urbano che metta davvero al centro le persone».
Trento: mobilità lenta come progetto condiviso
Se Bologna rappresenta un esempio di trasformazione strutturale e decisa, Trento dimostra che anche un approccio graduale e partecipativo può generare cambiamenti profondi. Nel capoluogo trentino, infatti, il progetto Città 30 è nato da un attento ascolto dei bisogni dei cittadini, coinvolgendo le comunità locali in processi di progettazione condivisa e sperimentazione attiva. L’assessore alla mobilità sostenibile e all’ambiente, Michele Brugnara, spiega che «abbiamo iniziato a lavorare sulle Zone 30 partendo dalle aree scolastiche con l’obiettivo di creare spazi a misura di persona e, soprattutto, a misura di bambini. L’idea è quella di ripensare la mobilità e lo spazio pubblico partendo dalle esigenze delle fasce più fragili della popolazione».
Brugnara ricorda inoltre due eventi tragici che hanno segnato profondamente la comunità e rafforzato la volontà di intervenire: «Negli ultimi tre anni abbiamo purtroppo registrato due incidenti mortali. In uno è morta una ragazza di 16 anni che attraversava sulle strisce spingendo il suo monopattino. È stata investita da un motociclista che, secondo le forze dell’ordine, procedeva oltre i 100 km/h su una strada urbana. Anche il motociclista ha perso la vita. Circa sei mesi dopo, un altro dramma. Una donna in bicicletta è stata travolta, ancora una volta in un’area urbana. Questi episodi ci hanno colpiti profondamente e ci hanno convinti, se ce ne fosse ancora bisogno, dell’urgenza di intervenire su velocità e sicurezza stradale».

Nel 2023 il comune ha approvato il Piano urbano della mobilità sostenibile – Pums, fissando un obiettivo ambizioso da raggiungere entro dieci anni: ridurre la velocità dei mezzi a motore nei quartieri, rigenerare il tessuto urbano e promuovere una mobilità più sicura e sostenibile. Uno degli elementi chiave del Piano è il progetto della Ciclopolitana, una rete ciclabile cittadina ispirata alla logica della metropolitana. Si tratta di percorsi numerati e colorati, tracciati a terra, facilmente riconoscibili e funzionali per gli spostamenti urbani in bicicletta. L’obiettivo è non solo incentivare l’uso quotidiano della bici, ma anche rendere la mobilità ciclistica più accessibile a tutti.
La riuscita delle Zone 30 si basa sulla costruzione di una nuova cultura della mobilità. È anche un cambiamento culturale. Per questo è fondamentale che la realizzazione delle Zone 30 sia un processo partecipato
Michele Brugnara, assessore alla mobilità sostenibile e all’ambiente del Comune di Trento
Tra le azioni previste dal Pums anche la creazione delle Zone 30, che non si limitano più all’applicazione di un limite di velocità spesso disatteso, ma prevedono veri e propri interventi di trasformazione dello spazio pubblico. «La riuscita delle Zone 30», spiega Brugnara, «si basa sulla costruzione di una nuova cultura della mobilità. È quindi anche un cambiamento culturale. Per questo è fondamentale che la realizzazione delle Zone 30 sia un processo partecipato, che dia vita a un progetto condiviso. In questo modo le persone possono comprenderne i benefici e abbracciare uno stile di vita diverso, più consapevole e sostenibile».
Dal coinvolgimento delle scuole ai laboratori civici
Brugnara sottolinea anche che «questo approccio partecipativo richiede più tempo, ma garantisce risultati più duraturi e condivisi. Il percorso è duplice: da una parte si lavora con le scuole chiedendo agli studenti proposte e dall’altra con la cittadinanza. Con la comunità abbiamo organizzato laboratori pubblici, utilizzando grandi mappe, incontri nei centri civici, raccolta di proposte». Inizialmente non sono mancate le critiche, ma col tempo, evidenzia Brugnara, «le persone hanno iniziato a partecipare davvero. Questo percorso ha rafforzato il senso di comunità e migliorato lo spazio pubblico».
Questo percorso ha rafforzato il senso di comunità e migliorato lo spazio pubblico
Michele Brugnara, assessore alla mobilità sostenibile e all’ambiente di Trento
Per valutare l’impatto di questi cambiamenti, nell’autunno del 2024 l’amministrazione ha lanciato un questionario online rivolto ai cittadini, raccogliendo le opinioni di 354 persone tra residenti e frequentatori del quartiere Gardolo, il primo in cui è stata avviata la sperimentazione della Zona 30. In quell’estate, infatti, erano stati realizzati nuovi spazi per gli studenti, strisce pedonali rialzate, aree verdi e vari interventi per aumentare la sicurezza e la vivibilità delle strade.
Dal questionario è emersa una diversa percezione dei cabiamenti tra uomini e donne: le donne hanno espresso pareri generalmente più positivi, mentre tra gli uomini le opinioni risultano più contrastanti, con una parte soddisfatta e un’altra più critica. Donne e uomini osservano i cambiamenti da prospettive differenti: le prime pongono maggiore attenzione alla sicurezza personale negli spostamenti, mentre i secondi si concentrano maggiormente su aspetti pratici, come la qualità delle infrastrutture stradali. «Queste differenze ci ricordano quanto sia importante, nella progettazione urbana, ascoltare e considerare i bisogni di tutti», sottolinea Brugnara. Il questionario ha inoltre evidenziato che la sicurezza è l’aspetto più apprezzato dagli intervistati. La maggior parte dei suggerimenti ricevuti non chiedeva stravolgimenti, ma piuttosto un rafforzamento delle misure esistenti, come maggiori controlli, più sicurezza serale e un miglioramento delle infrastrutture già presenti.
A ottobre 2024, l’amministrazione ha effettuato rilievi sulla velocità del traffico per verificare le velocità medie, massime, i percentili e il numero e la tipologia dei veicoli in transito dopo gli interventi. I dati raccolti mostrano una netta distinzione tra le zone dove sono stati realizzati interventi di moderazione e quelle lasciate inalterate. Nelle aree non modificate, i comportamenti degli automobilisti sono rimasti pressoché invariati: il rispetto del limite dei 30 km/h è ancora scarso, e si registrano velocità preoccupanti, con picchi fino a 113 km/h. Al contrario, dove sono stati installati attraversamenti pedonali rialzati, le infrazioni oltre i 50 km/h sono calate sensibilmente, e cresce la quota di chi rispetta i limiti.

Strade vive per dieci quartieri
Il progetto Strade da Vivere, nome dato al percorso partecipato promosso dal comune di Trento, prosegue ora anche in altri quartieri, con l’obiettivo di migliorare sicurezza, vivibilità, sostenibilità ambientale e socialità attraverso la rigenerazione urbana centrata sui cittadini. L’idea è di intervenire su due quartieri all’anno, per arrivare a una decina di quartieri trasformati entro la fine della legislatura. Le 12 circoscrizioni della città sono ampie, quindi si lavora per aree significative all’interno di ciascun quartiere.
«Il cuore del processo partecipato è proprio la sperimentazione», spiega Brugnara. «Solo così i cittadini possono “toccare con mano” il futuro del loro quartiere e l’Amministrazione può apportare modifiche sulla base delle loro osservazioni. Gli interventi, infatti, vengono inizialmente realizzati con materiali facilmente rimovibili e adattabili. Se la sperimentazione ha esito positivo, si procede poi alla realizzazione definitiva delle scelte condivise». E conclude: «Questo percorso non riguarda solo la riduzione della velocità, ma un ripensamento del modo di vivere la città: un modello urbano più lento, sano e inclusivo, in cui il cittadino cammina, incontra persone, riscopre i negozi di prossimità e vive appieno gli spazi pubblici».
In apertura una donna in bicicletta per le vie di Bologna (foto di Carl Tronders su Unsplash)
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