Politica
Il vincolo del veto mette l’Europa all’angolo
Il meccanismo decisionale all'unanimità blocca la politica estera dell'Ue. A parole tutti auspicano che l'Ue possa recitare un ruolo da protagonista sulla scena mondiale ma, di fatto, dietro le quinte, nessuno è disposto a rinunciare a una prerogativa che riduce la sovranità individuale dei 27 su una materia così delicata. L'Europa è e rimane un cantiere aperto, un progetto incompiuto, in divenire. Ma con il vento sovranista che sconvolge le urne risulta difficile comprendere in che direzione si sta andando

“È ora di liberarsi dalle catene dell’unanimità”. Le parole di Ursula Von der Leyen a proposito del meccanismo decisionale in materia di politica estera e di sicurezza comune non potevano essere più nette la scorsa settimana durante il suo discorso sullo Stato dell’Ue all’Europarlamento. Nulla di nuovo sotto il sole, si direbbe, gira e rigira si finisce sempre a sbattere contro lo stesso muro ovvero l’articolo 31 del Trattato sull’Unione Europea.
“Le decisioni a norma del presente capo sono adottate dal Consiglio europeo e dal Consiglio che deliberano all’unanimità” recita il primo comma dell’ articolo incluso nelle “Disposizioni specifiche sull’azione esterna dell’Unione”. Il problema è che la decisione di riformare la norma che stabilisce come i 27 Paesi membri decidono non spetta alla presidente della Commissione europea ma agli stessi Paesi Membri che devono decidere all’unanimità. Più che articolo 31 sembra il Comma 22 del celeberrimo film di Mike Nichols degli anni settanta tratto dall’omonimo libro di Joseph Heller. “Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non può essere pazzo”, è il cortocircuito che fa saltare ogni logica.
Nei giorni scorsi il vice-primo ministro ucraino Taras Kachka si è recato in visita a Budapest per incontri ai massimi livelli. L’obiettivo era quello di sbloccare una situazione che si sta trascinando da più di un anno. L’Ungheria ha posto il veto all’apertura dei primi capitoli negoziali per l’adesione dell’Ucraina all’Ue. Viktor Orban si oppone fermamente all’ingresso di un paese che, a suo dire, mette a rischio gli interessi ungheresi e non tutela sufficientemente le minoranze. Non importa se gli altri 26 Paesi Membri la pensano diversamente, quello che conta è come la vede lui. È opportuno sottolineare che fra l’inizio e la conclusione dei negoziati di adesione passano parecchi anni. Ci sono più di 100 voti che punteggiano il percorso di avvicinamento a Bruxelles dei paesi candidati, fra apertura e chiusura di ognuno dei 35 capitoli negoziali e definizione di indicatori e parametri, e per ciascuno di questi è richiesto il voto unanime dei 27 Paesi Membri. Se il governo di Budapest volesse essere costruttivo potrebbe sollevare obiezioni di mano in mano che si affrontano le questioni più sensibili relative a settori specifici che toccano gli interessi ungheresi per cercare di risolverle. Ma la posizione di Orban non è tecnica, è politica e pregiudiziale e quindi tutto è bloccato con buona pace di Kachka che è tornato a Kyiv a mani vuote.
Caso analogo è quello della Macedonia del Nord dove, però, a tenere in scacco l’Ue è la Bulgaria con il suo veto che ha fatto seguito a quello esercitato negli anni precedenti dalla Grecia. All’estone Kaja Kalls, nelle sue vesti di Alto Rappresentante, spetta il compito ingrato di guidare la politica estera e di sicurezza comune europea, nonché di contribuire alla sua elaborazione e attuazione. Posizione decisamente scomoda la sua viste le divisioni croniche.
Sulla crisi di Gaza la Kallas si è pronunciata più volte, anche con parole dure, evocando, da una parte sanzioni, nei confronti di Israele (come ha fatto ieri Von der Leyen) salvo sottolineare, dall’altra, che l’Ue non è nelle condizioni di adottarle per il veto in Consiglio di alcuni Paesi. Anche se l’Alto Rappresentante non li menziona, ad esempio, chi, più di ogni altro, blocca provvedimenti contro i coloni violenti è sempre l’Ungheria. Tutta colpa di Orban, quindi? Non proprio. In base ai trattati la politica estera comune europea è di pertinenza del Consiglio, quindi dei governi. Salvo rari casi specifici Commissione e Europarlamento contano in materia come il due di denari con briscola spade. A parole tutti auspicano che l’Ue possa recitare un ruolo da protagonista sulla scena mondiale ma, di fatto, dietro le quinte, nessuno è disposto a rinunciare a una prerogativa che riduce la sovranità individuale dei 27 su una materia così delicata. Non mi stancherò mai di ripetere che l’Unione Europea è quello che i Paesi Membri vogliono che sia. Gli evidenti e vergognosi doppi standard dell’Ue riguardo ai conflitti in Ucraina e a Gaza non sono che gli evidenti e scioccanti doppi standard dei singoli Paesi Membri, vedi Italia, anche se le opinioni pubbliche del vecchio continente, secondo i sondaggi, la pensano diversamente esigendo un sostanziale cambiamento di rotta. L’Europa è e rimane un cantiere aperto, un progetto incompiuto, in divenire. Ma con il vento sovranista che sconvolge le urne risulta difficile comprendere in che direzione si sta andando.
AP Photo/Pascal Bastien/Associated Press/LaPresse
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