Mondo
Il marketing è finito in un senso unico
E' stato uno strumento vincente, con la sua dinamica unidirezionale. Ma oggi si stanno imponendo altre tecniche. Fondate sullascolto
di Redazione
Il tradizionale modello ?americano? (senza la k) della comunicazione di organizzazioni private, pubbliche e sociali – sostanzialmente unidirezionale e asimmetrico (in breve, il marketing) – dura da oltre un secolo, ha funzionato abbastanza bene, ed è largamente adottato in tutto il mondo. Anche l?accumulazione delle conoscenze – razionalizzate e insegnate in tutte le università – è in larghissima parte americanocentrica e, come dice lo studioso indiano Sriramesh Krisnamurthy, «c?è un bisogno di diversificare queste conoscenze così che studenti e professionisti possano essere preparati al confronto con le sfide di un mondo globalizzato».
In questi ultimi cinque anni, accademici e professionisti europei, guidati dalla olandese Betteke van Rule e dallo sloveno Dejan Vercic, si sono sforzati di raccogliere e organizzare una forte specificità europea e, a seguito della pubblicazione nel 2002 del Bled Manifesto – un pamphlet assai polemico verso il modello americano e che rivendica alla comunicazione europea un orientamento assai più teso alla produzione della sfera pubblica – sono stati pubblicati molti lavori in diverse lingue tutti orientati nella stessa direzione.
Anche dall?Asia, l?indiano Krisnamurthy ha appena prodotto un volume di saggi in cui elabora alcune specificità asiatiche sottolineando come la comunicazione delle organizzazioni con i rispettivi governi rivesta nei Paesi asiatici un peso assolutamente primario, senza peraltro contare le diverse origini filosofiche dello stesso concetto di comunicazione nella tradizione culturale asiatica.
Più recente ancora è la svolta del continente africano dove, come dicono le docenti sudafricane Rensburg e Van Heerden, «molti leader del continente hanno ereditato Stati coloniali dove il potere era raggiunto e conservato accentuando le differenze. L?assenza di coesione sociale e l?incapacità di provvedere alle necessità primarie hanno largamente contribuito alla delegittimazione radicale delle organizzazioni, per le quali è ora imperativo diventare buoni cittadini e adattarsi alle aspettative delle comunità per evitare che diventino ulteriormente ostili: una grande opportunità per i comunicatori».
Anche in questo ambito, la globalizzazione – contrariamente a quanto comunemente si ritiene – ha fatto conoscere in tutto il mondo modalità e pratiche comunicative diverse. Un solo esempio, fra i tanti: in Sud Africa la questione del multilinguismo ha spinto le imprese a comunicare al loro interno attraverso rappresentazioni teatrali, vere performance. Questa abitudine si è poi estesa in Inghilterra, e ora prende il via anche in Italia.
Per la prima volta a Trieste non saranno allora soltanto gli etnocentrici (di origine anglosassone ed europea) a fare il bello e il cattivo tempo, ma dovranno vedersela con africani e asiatici assai agguerriti: le nuove tecnologie infatti consentono oggi di sviluppare nuovi ambienti virtuali di relazione in cui le organizzazioni possono comunicare con gli stakeholder. A questo si aggiunga che la comunicazione con gli altri è sempre stata più efficace di quella agli altri? Ne consegue che le specificità europee legate alla produzione di sfera pubblica, quelle asiatiche così interdipendenti con i comportamenti quotidiani degli esecutivi politici e quelle africane condizionate dalle necessità di legittimazione sociale delle organizzazioni, finiranno per produrre una grande svolta nelle pratiche comportamentali e di auto rappresentazione delle organizzazioni di tutto il mondo, in base a quella teoria globale per cui esisterebbero soltanto pochissimi valori generalmente validi (nella comunicazione: l?etica, la diversità e l?ascolto come parte consustanziale di una comunicazione a due vie e tendenzialmente simmetrica) .
Nessuna parentela però fra questa teoria globale e quel relativismo culturale che si produce quando una forte asimmetria fra le identità percepite dei soggetti che si confrontano induce il soggetto forte a cedere volontariamente qualcosa e il soggetto debole ad accettare comunque quel poco che viene offerto.
Le organizzazioni che comunicano con efficacia esprimono identità nitide per il tramite di dirigenti e collaboratori forti, coesi e convinti; identità che si confrontano con identità altrettanto forti, coese e convinti degli stakeholder: questo produce dialoghi, dialettiche, argomentazioni e advocacy capaci di trovare sintesi produttive. Dove infatti esiste simmetria relazionale almeno tendenziale, non c?è conflitto.
Questa volta a Trieste non saremo noi etnocentrici a condurre il corteo.
di Toni Muzi Falconi
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