Mondo
Sviluppo e felicità: le lezioni al mondo del Buthan
Mentre il Pil del Bhutan rimane tra i piu' bassi al mondo, l'aspettativa di vita e' aumentata di 19 anni dal 1984 al 1998, arrivando a una media di 66 anni...
di Redazione
Se il mondo e’ abituato a considerare il benessere delle nazioni in termini di prodotto interno lordo, ovvero di mera ricchezza economica, ora, qualcuno si sta rendendo conto che e’ una classificazione che va un po’ stretta e che, in fondo, la felicita’ della gente non e’ cosa che si compra o che si puo’ sottostimare. E cosi’ si sono ritrovati in circa 400, provenienti da piu’ di una dozzina di paesi, in un convegno tenuto alla St. Francis Xavier University, in Nuova Scozia (Canada) per discutere su una nuova e piu’ ricca definizione di ‘prosperita”. Definizione che suona cosi’: bilanciamento tra benessere pubblico (o stato sociale) e soddisfazione della gente. Tra i partecipanti al convegno, c’erano una quarantina di rappresentanti del Bhutan – professori, monaci, rappresentanti governativi e altri – venuti a promuovere, forse anche un po’ a insegnare, cio’ che in questo paese himalayano, grande come la Svizzera, si e’ imparato per quanto riguarda la costruzione di una societa’ soddisfatta e felice. Mentre il prodotto interno lordo del Bhutan rimane tra i piu’ bassi al mondo, l’aspettativa di vita e’ aumentata di 19 anni dal 1984 al 1998, arrivando a una media di 66 anni. Il paese, che ora si prepara a passare a un regime di monarchia costituzionale, con un governo eletto dal popolo, ha stabilito che almeno il 60% delle sue terre rimangano foreste, che solo un limitato numero di ricchi turisti vi possano entrare e, intanto, esporta energia idroelettrica verso l’India. ”Dobbiamo pensare al benessere umano in termini piu’ ampi”, ha detto al New York Times Lyonpo Jigmi Thinley, ministro dell’interno ed ex primo ministro del Bhutan. ”Il benessere materiale e’ solo una delle componenti. Che non assicura che voi siate in pace con l’ambiente che vi circonda e in armonia gli uni con gli altri”. Un concetto che affonda le radici nella dottrina buddhista che solo una decina di anni fa sarebbe stato sbeffeggiato dalla gran parte degli economisti, soprattutto di scuola statunitense, per i quali la crescita economica e’ il fattore base al di la’ di teorie basate su ideali giudicati ingenui. Nel 1972 – preoccupato dai problemi che affliggevano gli altri paesi in via di sviluppo che avevano focalizzato tutto sulla crescita economica – il giovanissimo re del Bhutan, Jigme Singye Wangchuk, incoronato di fresco, decise di dare la priorita’ non al ‘pil’, prodotto interno lordo, ma alla ‘fil’, felicita’ interna lorda. Il Bhutan, secondo il re, doveva assicurare che la prosperita’ fosse distribuita attraverso la societa’ e che questo fosse bilanciato con il mantenimento delle tradizioni culturali, proteggendo l’ambiente e con un governo responsabile. Il re, che ora ha 49 anni, e’ andato via via promulgando leggi mirate a questi risultati, e ora ‘l’esempio’ del Bhutan e’ materia di discussione nei convegni internazionali, come quello che si e’ tenuto in Nuova Scozia.
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