Trent’anni fa veniva ucciso Walter Tobagi. Era stato uno dei pochi giornalisti a cogliere con coraggio e libertà il malessere del mondo giovanile finito nel vicolo cieco delle ideologie. Questo brano, tratto da un articolo pubblicato su Il Corriere della Sera il 31 luglio 1978 («Liceali senza sogni») ne è una testimonianza.
Diciottenni ma già rassegnati? Il dubbio nasce parlando con loro, con questi giovani che stanno finendo gli esami di maturità. Incontri casuali, al Parini e al Manzoni, due licei della buona borghesia milanese. Domande molto generali: che cosa pensano di fare nei prossimi anni? Quali speranze coltivano? Che paure, che illusioni? Le risposte tendono al pessimismo. «Se c’è una cosa di cui siamo ricchi, sono i problemi», ripetono quasi tutti. E alcuni provano anche un lieve gusto di autoflagellazione raccontando la loro condizione di solitudine incompresa, il desiderio di «rapporti personali autentici», l’angoscia per «i compagni che si bucano, e non si riesce a convincerli che sbagliano».
Non c’è dubbio che, al fondo, non solo la crisi generale della società, ma anche le esperienze personali pesano sulla scarsa fiducia che anima tanti giovani, sulla convinzione che pretendere di cambiare il mondo è un’illusione: tanto vale cercare di adattarsi, e ritagliarsi uno spazio in cui vivere. Ma non è detto che, con ambizioni così modeste, alla fine questi giovani non finiscano per cambiare di più, e più in profondità, dei loro coetanei che negli anni Sessanta speravano di rivoluzionare tutto.
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