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Alla vita artificiale manca il senso della vita

La riflessione di Piero Barcellona sulla "scoperta" di Craig Venter

di Redazione

«L’essere umano può essere ridotto al vivente in generale?». In anteprima stralci di un dialogo con il filosofo catanese, che verrà pubblicato dal mensile «Tracce» Sul numero di giugno del mensile Tracce viene pubblicata una lunga intervista a Piero Barcellona sul tema della vita artificale. Barcellona è docente di Filosofia del diritto all’Università di Catania ed è stato negli anni 70 parlamentare nelle fila del Pci. L’intervista prende spunto dal recente annuncio del biologo americano Craig Venter (nella foto) di aver creato un batterio che possiede un genoma artificiale e che si autoreplica. Ecco alcuni passaggi del dialogo.

Domanda: La scoperta di Venter, quando è stata divulgata, ha suscitato un po’ di discussione. Su cosa sia la vita.
Piero Barcellona:Noi arriveremo a spiegare il 99% del funzionamento biologico attraverso il sapere neuroscientifico, ma non spiegheremo mai perché in questo momento, mentre le parlo, ho voglia di ridere. O il fatto che penso le cose che dico. Perché noi siamo, come diceva Maria Zambrano, la vita che si sa, che sa se stessa e che sa di non sapere. Questa è la peculiarità degli esseri umani (…).
Domanda: Il teologo Bruno Forte ha sottolineato che non si può parlare di creazione. Perché la creazione è ciò che avviene dal nulla.
Barcellona: Se all’inizio di tutto si pone il caso, scientificamente questa risposta è irrilevante. Invece non è irrilevante se se si parla dell’uomo come qualcosa di non riducibile a una catena molecolare. Se non lo è, allora c’è il problema della libertà, di avere spiegazioni in termini di bene e male di ciò che accade. D’altronde se l’individuo sceglie, prende posizione, fa una riflessione, questo atto trascende il lato puramente morfologico della combinazione che ha determinato il dna artificiale di Venter. È un altro ordine. Nonostante tutti i tentativi che hanno fatto di spiegare la coscienza con la chimica, il perché sappiamo quello che facciamo, perché ci poniamo i problemi che ci poniamo, questo per fortuna non riesce a spiegarlo nessuno.
Domanda: Ma allora è un problema di coscienza?
Barcellona: Io preferisco parlare di consapevolezza. Il sapere che uno fa dal punto di vista della pura cognitività, questo lo sanno anche gli animali. L’essere consapevoli non è la cognizione del fare, è l’interrogazione sul senso del fare, cioè la vita che apprende se stessa e si pone il problema del senso che ha. Un animale entra in rapporto con il mondo esterno attraverso un sistema che è simile a quello immunitario, cioè di decodificazione delle informazioni. Non ha la consapevolezza, cioè questa strana cosa per cui mentre parlo mi domando chi sono e mi viene il dubbio che forse non sono quello che sembro. Freud aveva scoperto che non tutto quello che facciamo è trasparente a noi stessi e non lo sarà mai. La psicanalisi può essere un grande alleato di un pensiero non riduzionista. La consapevolezza è una parzialità interrogante. Per questo l’uomo dovrebbe avere l’umiltà di riconoscere che non sa tutto. Esattamente il contrario di quello che asseriscono alcuni scienziati, mi riferisco a Edoardo Boncinelli, Piergiorgio Odifreddi ecc, che sono convinti che prima o poi comprenderemo tutto. Dovrebbero rendersi conto che siamo su un piano assolutamente diverso dalla spiegazione causale.
Domanda: Cioè c’è una soglia di mistero?
Barcellona: No, c’è una strada che non è una sequenza causale, di cause ed effetti. C’è questa realtà della psiche, che è reale. Non è immaginazione che noi abbiamo dei pensieri che non sono funzionali alla vita, che abbiamo una attività onirica che non è funzionale alla vita. Se si portano su questo piano è facile metterli in crisi. Chi pensa che la vita è solo una sequenza molecolare, che tutto tende solo alla sopravvivenza e che tale sopravvivenza può essere determinata da processi chimici, deve rispondere a questa domanda: «Ma chi stabilisce che questa scoperta è funzionale? Che forse da un punto di vista dell’evoluzione sarebbe preferibile non farla? Chi ne misura l’efficienza?». Ma il punto non è la scoperta. Tutte le scoperte del mondo non ci diranno mai quello che vogliamo sapere, che qualcuno ci dica.
Domanda: Cosa?
Barcellona: Io voglio sapere che senso ha la mia vita. Se questo mio passaggio su questo pianeta dove soffro, amo, mi diverto, ha un senso che mi trascende. Se questo mio fare è solo frutto di catene causali, se queste diano sequenze molecolari o siano sequenze di flussi cerebrali o di altro genere, ma sempre sequenze biologiche, biochimiche? Allora, a me francamente non interessa più vivere. Il problema è che se noi abbiamo curiosità è perché non siamo mai completamente ridotti all’oggetto della ricerca.

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