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Pallone africano, tanta grinta e tanta gentilezzaIl bomber passato da Lampedusa
Intervista a Beppe Dossena
di Redazione

Ha allenato la nazionale del Ghana. E sul Mondiale dice: «L’Africa darà del filo da torcere a tutti» Beppe Dossena continua a girare il mondo. Ora è in Sudafrica, per seguire i Mondiali di calcio da telecronista. Fino all’altro ieri era in Asia, come responsabile del progetto Cina per il Parma Calcio. Dopo una carriera di calciatore tutta in Italia, coronata dallo scudetto con la Sampdoria, è incominciata la sua seconda vita da globetrotter. L’avventura parte dieci anni fa, proprio dall’Africa. Dal Ghana, per la precisione. Lì fa la prima esperienza all’estero da allenatore come commissario tecnico della nazionale. Due anni che Dossena non ha mai dimenticato.
Vita: A distanza di qualche anno, come ricorda la sua esperienza in Ghana?
Beppe Dossena: È stato eccezionale, una grandissima esperienza, sotto tutti i punti di vista. Era la mia prima esperienza nell’Africa nera. Sono andato lì al buio e ho scoperto un mondo totalmente diverso. Anche se Accra non ha nulla da invidiare ad una capitale occidentale, ho scoperto un altro stile di vita, un altro ritmo, hai più tempo per leggere, per pensare a te stesso. Il calcio è uguale da tutte le parti, ma lì sentivo di aver più libertà. Insomma, mi sono preso il mal d’Africa. Quando rientri dopo un po’ ti passa, ma la nostalgia rimane.
Vita: Questi Mondiali che significato hanno per il Paese che li ospita?
Dossena: Il Sudafrica è diverso dai Paesi che ho conosciuto. Perché ha più infrastrutture, ma anche perché lì il calcio ha un’importanza politica. Tradizionalmente è lo sport per le persone di colore, mentre i bianchi giocano a rugby. Per loro è un modo per dire «ci siamo», per far capire agli altri che non sono terzo mondo. E hanno ragione, credo che per certi versi loro siano anche meglio del nostro mondo.
Vita: Che cosa manca al calcio africano?
Dossena: Ci mettono molta passione ma purtroppo lo sport è visto solo come un diversivo. Non viene utilizzato per altri scopi. A volte gli stessi calciatori che giocano nei campionati europei quando tornano non danno il massimo, è un peccato. Anche le federazioni potrebbero fare molto di più. Ma nonostante tutte le difficoltà ci saranno squadre pericolose per le rivali più blasonate. Penso in particolare a Ghana, Camerun e Costa d’Avorio.
Vita: Che cos’hanno, invece, che manca agli italiani?
Dossena: Non hanno mai paura, si battono senza remore. La differenza la vedi in come affrontano l’uno contro uno.
Vita: Qual è l’atteggiamento con cui le società europee agiscono in Africa?
Dossena: Ci vorrebbe un approccio più attento. Non bisogna pensare di colonizzare o di espropriare. Le società che sono più attive sono olandesi o francesi, presenti qui da più tempo. Da parte degli italiani spesso c’è diffidenza. Forse anche perché da noi sono considerati extracomunitari, e quindi per i giocatori africani il tesseramento è più difficile. Un club italiano ci pensa due volte prima di lavorare con loro, a meno di non trovare un fenomeno.
Vita: C’è anche diffidenza nei confronti degli europei?
Dossena: A volte da parte loro c’è una sorta di razzismo al contrario. Ma per quel che mi riguarda mi hanno fatto sempre sentire come uno di loro.
Vita: L’esperienza ad Accra si è chiusa nel 2002. Da allora è tornato nei luoghi in cui aveva lavorato?
Dossena: Proprio prima di arrivare in Sudafrica ho fatto tappa in Ghana. Ci torno spesso, sono rimasto in contatto con molte persone. Qualche giorno fa mi ha chiamato un mio amico da New York. Con lui c’è un ragazzo ghanese, me lo passa. Aveva 10 anni quando io ero nel suo Paese, ma si ricordava ancora di quell’italiano che allenava la sua nazionale.
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