Non profit

Barilla ha messo il Pil in pentola

Ecco il Bcfn Index, pensato da Fitoussi

di Redazione

Che il Pil (prodotto interno lordo) sia un indicatore inadatto ad esprimere il livello di benessere di un Paese è risaputo. Nato per misurare il valore dei beni e servizi prodotti in un Paese, la sua “ricchezza”, il Pil non intercetta tutta una serie di dimensioni come l’inquinamento dell’ambiente, il tasso di criminalità, la qualità delle relazioni interpersonali, che sono fattori di ricchezza.
Indicatori alternativi al Pil vengono proposti da anni. L’elenco sarebbe lungo: uno dei più celebri è lo Human development index delle Nazioni Unite, che considera il livello di istruzione o la speranza di vita. Dalla metà degli anni 70, il piccolo regno asiatico del Bhutan calcola il Fil (felicità interna lorda), che tiene conto del tempo libero e della spiritualità. C’è anche l’Isew (indice di benessere economico sostenibile), fra i cui ideatori figura il premio Nobel James Tobin (quello della Tobin Tax), che prevede anche la valorizzazione del lavoro domestico. Lo stesso Cnel ha da poco costituito un tavolo per approfondire l’argomento.
L’ultimo della serie è il Bcfn Index, presentato dall’economista Jean-Paul Fitoussi al workshop Ambrosetti di Cernobbio e sponsorizzato dal Barilla Center for Food & Nutrition (da cui l’acronimo). Attraverso l’utilizzo di 41 indicatori, l’indice considera sette dimensioni del benessere: psico-fisico, comportamentale (ad esempio il tempo medio dedicato ai pasti, la spesa per il consumo di frutta e verdura), materiale (reddito), ambientale, educativo (numero medio annuo di laureati, diffusione della banda larga), sociale (persone a rischio di povertà) e politico (indice della corruzione percepita). L’applicazione dell’indice a 10 Paesi ad economia avanzata ha dato questi risultati: Svezia prima (7,23 punti su 10), poi Danimarca, Giappone, Francia, Regno Unito, Germania, settima l’Italia (4,85), quindi Spagna, Usa (3,88) e Grecia (3,29).
Sarà questo il tanto agognato anti Pil? Difficile crederlo. Non perché non abbia basi solide ma perché si stenta ad accettare che Usa e Grecia, distanti anni luce in termini di Pil, possano trovarsi quasi appaiati in termini di benessere dei propri cittadini.
Il fatto è che la ricerca di indicatori alternativi presenta molti aspetti di debolezza: nessuno o quasi viene calcolato e quindi validato da istituzioni statistiche nazionali, non si è ancora capito o deciso, tra l’altro, se debbono sostituire in toto o semplicemente affiancare il Pil, o se è meglio puntare su indicatori semplici (come il Pil) o ponderati. E a monte di tutto, manca una definizione condivisa di che cosa si debba realmente intendere per benessere.

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