Non profit

La regione eccellente davanti al bivio

di Redazione

L’elenco potrebbe essere lungo: è la regione più “vivibile” per gli immigrati che risiedono nel nostro Paese; prima fra le regioni più attente al verde nel 2010; numero uno nell’ambito dei servizi educativi per la prima infanzia. Stiamo parlando dell’Emilia-Romagna, non del Paese del Bengodi. Da sempre studiata, copiata ed esportata col nome di “modello emiliano-romagnolo”. Un sistema fatto di piccole e medie industrie che esportano in tutto il mondo, di note case automobilistiche come Ferrari, Lamborghini e Bugatti, ma anche, e forse soprattutto, di servizi sociali fra i migliori d’Italia, in cui il non profit ha un ruolo di prim’ordine.
I numeri parlano chiaro
Nella “rossa” Emilia-Romagna ci sono 2.920 organizzazioni di volontariato iscritte al registro regionale, di cui 918 svolgono attività sanitaria e 148 socio-assistenziale. Sono invece 3.210 le associazioni di promozione sociale, e ben 15mila le cosiddette associazioni “libere”. Sul territorio emiliano-romagnolo esistono, inoltre, due grosse centrali di cooperative sociali, 800 realtà di media-grande dimensione e 1.912 unità locali, che danno lavoro a 36.281 operatori, fra cui 27.593 in cooperative di tipo A e 3.182 in realtà di tipo B. Sono invece 19 le fondazioni di origine bancaria e 9 i centri di servizio per il volontariato.
Una rete, dunque, di servizi alla persona capillare e ben radicata sul territorio. In cui almeno il 20% della popolazione ha svolto o svolge attività di volontariato e dove la tradizione cooperativa affonda le sue radice nelle prime casse mutualistiche dell’Ottocento. Dove il terzo settore ha conosciuto negli anni 90 un vero e proprio boom, tanto che oggi il modello cosiddetto emiliano-romagnolo dei servizi alla persona non può più prescindere dall’offerta non profit sul territorio.
Un modello in evoluzione
A sentirne però i protagonisti l’impressione è che non tutto fili liscio. «Esiste un modello emiliano-romagnolo, e certamente il non profit regionale ne è un elemento imprescindibile», dice Massimo Giusti, vicepresidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena e presidente della commissione per il Volontariato, Csv e servizi alla persona dell’Acri, «ma non c’è dubbio: bisogna cambiare il passo, e soprattutto innovare rispondendo ai crescenti bisogni dei cittadini. Ecco, le fondazioni sono uno strumento essenziale per farlo, ma non bisogna concepirle come semplici forzieri del sociale. Sono un importante luogo di progettazione per il futuro». Gli fa eco Edoardo Patriarca, segretario del Comitato delle Settimane sociali dei cattolici, già portavoce del Forum del terzo settore e profondo conoscitore del non profit.

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