Non profit
Don Mimmo Battaglia, «…c’è bisogno di silenzio»
Il presidente Fict interviene con una lettera sull'«orrore mediatico» che racconta i protagonisti e i comprimari dell'omicidio di Sarah Scazzi
di Redazione
Riceviamo e pubblichiamo la lettera-riflessione di Don Mimmo Battaglia, presidente Fict (Federazione italiana comunità terapeutiche)
In questi ultimi giorni, come molte persone, mi trovo, mio malgrado, immerso nell’orrore mediatico più assoluto. Più cerco di rimuovere il senso di nausea e di angoscia che mi attanaglia e più mi trovo invischiato in una palude di voci e di immagini, in cui il sangue, l’uso bestiale del sesso, l’assoluta negazione della sacralità della vita e della morte costituiscono l’unico orizzonte possibile. E’ come una melma nella quale più ti muovi per uscirne e più rimani intrappolato e sporco. La solita vocina “fuori campo” mi ripete…. Miseria, sei sempre il solito puritano moralista !!! Quando ti deciderai ad accettare i tempi in cui vivi. Oggi tutto si consuma in diretta. E’ così comodo, ti fa risparmiare un sacco di tempo. Non puoi essere tu l’unico romantico che rifiuta di accettare il principio della globalizzazione, e con esso, quello “dell’informazione prima di tutto”.
In fondo si tratta solo di un’altra storia di disperazione familiare, sai una di quelle belle storie sbagliate che sembrano fatte apposta per esaltare le capacità giornalistiche ed investigative di tanti eroici cronisti della Tv pubblica e privata. I fiumi di parole sprecati in particolari torbidi, le immagini rubate al dolore più intimo, soprattutto quando il dolore fa fatica a manifestarsi perché sembra che non ci siano occhi o gesti sufficienti per gridarlo al mondo che ti guarda in diretta, tutto questo è solo un piccolo prezzo da pagare se vuoi sedere alla destra del dio auditel o essere il più interessante in “ prima serata”. Dai, lo sai che per essere bravi giornalisti, per garantire il diritto all’informazione (come è comoda ora la costituzione!!!!) occorre essere asettici, professionalmente distaccati fino al punto da descrivere tutti i dettagli dell’orrore quasi come se si trattasse degli opzional di una macchina nuova durante il lancio pubblicitario (la logica è più te ne regalano più diventa interessante). Non hai sentito i grandi saggi del giornalismo affermare che per essere buoni cronisti bisogna solo rispondere alla propria coscienza? Certo qualche volta la coscienza è un po’ impolverata, magari ammorbidita da qualche compromesso o da qualche eccesso ma non importa. Il principio è che la colpa non è di chi fa cronaca !. E’ sempre l’ascoltatore che deve essere in grado di discernere e di farsi interrogare, di mettersi in discussione di fronte a certe situazioni. A questo punto del ragionamento mi rendo conto che forse sono arrivato a scoprire quello che in me rende tutta la storia della piccola Sarah ancora più orribile e atroce. Ci siamo così tanto abituati al nostro ruolo di spettatori, ci siamo così tanto innamorati di quello schermo LCD ultrapiatto e tecnologico, da pensare che tutto è spettacolo degno di essere visto anche se questo significa perdere, forse per sempre la capacità umana di condividere e rispettare il dolore straziante di un’altra persona. Siamo diventati sempre più avidi di particolari morbosi, macabri, piccanti . Se poi l’adrenalina che ne deriva non è sufficiente, ecco pronto un bel pacchetto turistico fai da te nel paese dell’orrore con annesso pranzo al ristorante e foto ricordo………. magari proprio la dove è stata rubata la vita di una ragazzina e dove il suo corpo e al sua memoria sono stati annientati nel fondo di un pozzo. Non riesco a capire, a trovare un senso. Mi hanno insegnato che di fronte alle immagini dell’orrore della guerra, della fame, dell’ingiustizia o della povertà non bisogna spegnere la televisione o cambiare canale. Se non si può fare altro si può almeno condividere. Mi hanno insegnato che a volte è proprio la condivisone della disperazione rappresentata, non importa se dagli occhi di chi muore di fame o di droga o di indifferenza, l’unico modo per mantenere viva la propria coscienza. Mi hanno spiegato che non riuscire a dormire perché il pensiero che al posto del bambino ucciso tra le braccia del padre palestinese ci sarebbe potuto essere tuo figlio, è un modo per combattere la propria indifferenza, per non cedere ai silenzi della complicità, per ridare una possibilità alla mia umanità.
Ma ora è diverso. Per restituire a Sarah almeno la sua dignità di creatura e di vittima innocente c’é bisogno di silenzio. Devo lasciarmi ferire dal suo futuro negato, da tutte le sue speranze, dai suoi desideri, dalle sue aspettative, dai suoi affetti, dalla sua Umanità cancellata nel fango di un pozzo. Spengo la televisione e finalmente piango.