Cultura
Lotta di classe
Bergonzoni sale in cattedra. In quest’epoca incerta il maestro è un artista

Educare nell’incertezza. È il tema di Educa 2011, la manifestazione nazionale sull’educazione in corso a Rovereto. Viene subito in mente la precarietà, e quella cornice liquida su cui si iscrive oggi anche il gesto educativo. Ma sorprendono, gli organizzatori di Educa, quando con Franco Fraccaroli, preside della facoltà di Scienze cognitive a Trento, precisano che l’obiettivo della riflessione è «passare da educare nell’incertezza a educare all’incertezza». Trasformando un meno in un più. Un gioco linguistico? Niente affatto. Soprattutto se a giocare con le parole è Alessandro Bergonzoni, ospite di Educa con il suo spettacolo Urge.
Cos’è per lei incertezza?
Per me è subito in-certezza, andar dentro alla certezza. Che poi vuol dire raccontare, perché raccontare è una delle parti più importanti dell’educazione. Educare non significa predicare o stigmatizzare: se fai così, scatta solo qualcosa di blando. Invece se racconti parte l’ascolto, che è la prima fonte dell’educare. Educare all’ascolto, che è incertezza, perché ascoltare determinati racconti non ti mette nella certezza di essere nel giusto o nel bello o nel vero, ma ti mette invece in movimento, in una ricerca interiore e ulteriore. Non accontentarti cioè di chi ti vuole sedare per portarti a “una” verità: questo è andare dentro alla certezza.
L’incertezza allora è un valore?
La parola “valore” in questo momento ha sotto un concetto talmente frustro che mi rifiuto di usarla.
Riformulo la domanda. L’incertezza porta energia?
Questa sì è una parola chiave, ma ancora bistrattata. È l’energia che induce al movimento interno, l’energia, l’elettricità, la corrente, qualcosa che porta ad alzarsi in piedi, è un innalzamento per protestare e raggiungere altre vette e soprattutto alte vette. L’incertezza è una forma di energia, anzi di conduzione, a patto però che non diventi fine a se stessa, che non porti a dire “io dubito di tutto, costantemente”. Il dubbio è sano, è meraviglioso, ma oggi è diventato una condizione. Invece l’importante è che il dubbio sia uno stadio, un passaggio.
Le piace l’etichetta “classi-pollaio”?
Ma dico, è nato prima l’uomo o la gallina? Ci vedo una deformazione drammatica tra piume e implume, pulcini e pulci. La parola “classe” dovrebbe essere stile…
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