Mondo
L’Italia è già in recessione
Confindustria lancia l’allarme. Pil -1,6% e 800mila posti in meno nel 2013
di Redazione
«L’inverno della recessione» è arrivato e in Italia sarà più marcato: nel 2012 il Pil chiuderà, infatti, con un -1,6% a cui seguirà, nel 2013, un recupero «molto parziale», dello 0,6%. Sono le previsioni del Centro Studi di Confindustria a certificare così, ad appena due anni dall’ultima crisi, il nuovo brusco stop nella crescita dell’economia italiana che risulterà la più colpita nella media dell’Eurozona. Il rallentamento, dicono gli economisti di viale dell’Astronomia, è iniziato nell’estate del 2011 e peggiorerà fino alla prossima primavera cumulando una perdita complessiva di Pil «di 2 punti percentuali» mentre a fine 2013 il prodotto nazionale si attesterà «ancora ad un livello di -5,7 punti percentuali sotto il picco pre-crisi». Per l’Italia è la quinta recessione dal 1980. A scatenare il deterioramento del quadro economico globale, già fiaccato dalla caduta nel 2008-2009, «la crisi dei debiti sovrani accompagnata e potenziata dalla frenata dei paesi emergenti, dagli effetti delle politiche di bilancio restrittive e dal peggioramento delle ragioni di scambio causato dai rincari delle materie prime». E la turbolenza dei mercati finanziari ha «riflesso il peggioramento accelerandone la diffusione nella percezione degli operatori economici la cui fiducia è scesa rapidamente, facendo ridimensionare i piani di spesa di famiglie e imprese».
La già debole crescita italiana, infatti, si e’ contratta a partire dal terzo trimestre 2011 e fino a tutta la prima metà del 2012 il Pil è previsto scendere ad un ritmo medio dello 0,5%. Ma a partire dalla seconda metà del 2012 le variazioni congiunturali del Pil potrebbero tornare positive: «ciò accadrà nell’ipotesi più probabile che sia affrontata in modo risolutivo la crisi dei debiti sovrani dell’Eurozona, con il gioco cooperativo tra stati e istituzioni, rientrino rapidamente le tensioni sui tassi di interesse a lungo termine e siano ripristinae le condizioni operative normali del credito e torni la fiducia tra le imprese».
Il 2012 è stato un anno drammatico sul fronte del lavoro: la disoccupazione potrà raggiungere il 9% a fine del prossimo anno e mantenersi su questo livello per tutto il 2013. Occupazione dunque in calo per i prossimi 2 anni: si contrarrà dello 0,6% nel 2012 e dello 0,2% nel 2013 con una perdita complessiva di 957 mila posti di lavoro pari a oltre 800 mila occupati in meno a fine 2013 rispetto all’inizio del 2008. Falcidiati i posti di lavoro dei giovani: tra la metà del 2008 e quella del 2011 per lavoratori di 15-24 anni la perdita è stata del 24,4% e del 13,3% quella per la fascia 25-34 anni. Penalizzato chi ha una minore istruzione (-10,6%), dicono gli economisti di viale dell’Astronomia.
A pesare nell’accelerazione della crescita della disoccupazione sopratutto «i fenomeni di scoraggiamento» che ridurranno marginalmente la forza lavoro.
E con la recessione e la conseguente caduta dei livelli produttivi, calcolano gli economisti di viale dell’Astronomia, sarà sempre più difficile per le aziende difendere il capitale umano. La sovraoccupazione che deriverà da uno stallo dell’attività produttiva renderà «sempre meno conveniente e razionale il comportamento di molte imprese di avvalersi degli ammortizzatori sociali pur di non disperdere il patrimonio occupazionale».
Nel 2012, invece, «è molto probabile che si attenui il reintegro delle persone in Cig e che aumentino i licenziamenti». Aumenterà dunque il rischio, continuano gli economisti di Confindustria, «che il grado di reintegro dei cassintegrati scenda sotto il 73,6% registrato nel 2010». Se così fosse, continueranno ad aumentare anche i lavoratori in mobilità che già nel giugno scorso erano aumentati del 22,6%(141 mila) rispetto a 2 anni prima.
Il Centro Studi di Confindustria segnala poi una pressione fiscale record: al 45,1% nel 2012 e al 45,5% del Pil nel 2013. Ma la pressione effettiva «supera abbondantemente il 54%». Il Csc sollecita una riforma fiscale e lotta all’evasione.
Male anche i consumi, in calo dell’1% nel 2012 e in lieve recupero dello 0,4% nel 2013: un risultato che porterà una nuova erosione del risparmio, difficilmente comprimibile ancora, visto che «la propensione alla parsimonia ha raggiunto all’inizio del 2011 il minimo storico».
Confindustria indica così lo scenario peggiore: se crollasse l’euro le quattro maggiori economie dell’Eurozona denuncerebbero un tracollo del Pil tra il 25-50% e svanirebbero tra i 6 ed i 9 mln di posti di lavoro per ciascun paese. Sarebbe un default per tutti, Germania compresa.
Ma c’è spazio per non cedere al pessimismo e «scommettere» sulla possibilità di una «ripartenza» tra sei mesi. Con una forte crescita ci potrà essere «un lieto fine» per l’Italia. «Ci sono i presupposti, ne sono state poste le prime timide basi», dice, giudicando «adeguate» le prime risposte della politica.
La necessità di manovre restrittive impongono di aprire «una breve e fitta stagione di riforme» per crescere. Rimuovendo infatti le sole carenze infrastrutturali si potrebbe avere un incremento del Pil del 12% in 10 anni.
L’Europa «è ad un bivio», avvertono gli economisti di Confindustria: o sceglie il dissolvimento dell’euro o imbocca un rientro in tempi brevi dalle insostenbili tensioni sui titoli sovrani per spingere la ripresa per metà 2012. «Non ci sono mezze misure» e sono «inconcepibili vie intermedie».
«Il disagio legato al mondo del lavoro è vicino all’insosteniblità» ammette il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera commentando i dati di Confindustria. «Se sommiamo il disagio degli inoccupati, che neppure lo cercano un lavoro, dei lavoratori in Cig e del grande mondo dei sottocupati ci rendiamo contro che una quota rilavnte della società oggi ha gravi preoccupazioni legate al lavoro». «Siamo in recessione», ha poi aggiunto il ministro, «ma dobbiamo e possiamo uscirne. L’italia ha numeri e capacità per farlo e poter parlare di crescita». Per Passera infine, «senza crescita anche gli altri punti del programma Monti diventano ineseguibili. Senza crescita anche l’equita’ e il rigore diventano obiettivi irraggiungibili e irrealizzabili».
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.