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Enti a rischio default

Troppo elevati i costi. La denuncia del Cergas-Bocconi

di Redazione

Le adozioni internazionali sono costose. E questo è un dato, ma quanto incidono le diverse spese e il rapporto tra spese sostenute da famiglie e enti autorizzati? Sul tema ci sono ora i dati di una ricerca realizzata dal Cergas dell’Università Bocconi con il Coordinamento degli enti autorizzati (Cea), il coordinamento Oltre Adozione e alcuni altri enti tra cui l’unico pubblico, l’ente Arai della Regione Piemonte.

La parte che le famiglie adottive sostengono in Italia per i servizi resi dagli enti autorizzanti (che le assistono nel percorso pre e post adottivo) supera oggi i 4mila euro. Invece, i costi che gli enti sostengono da parte loro ammontano a circa 7.500 euro, cosa che rende difficile la loro sostenibilità economica.

In Italia, ogni anno, si contano poco più di 4 mila adozioni internazionali, seguite da 65 enti autorizzati sotto l’egida della Cai, la Commissione adozioni internazionali della presidenza del Consiglio dei ministri. «Attualmente i costi per la parte Italia richiesti alle famiglie sono quelli fissati nel 2003, salvo adeguamenti comunicati alla Cai sulla base di una scheda inviata annualmente dagli enti», spiega Attilio Gugiatti, ricercatore del Cergas e coordinatore della ricerca. «Lo studio ha evidenziato che oggi tali costi per le famiglie non sono più sufficienti per coprire le spese sostenute dagli enti per realizzare un percorso adottivo che sia in linea con gli standard qualitativi richiesti dalla Commissione».

Secondo un modello di costo definito dallo studio, infatti, le varie voci di spesa che gli enti devono sostenere sono comprese in una forbice che va da 5.850 a 8.400 euro. Tale modello è stato poi verificato sui dati di bilancio e i costi dei servizi di 5 enti autorizzati in diverse regioni italiane. Da qui il costo medio che si attesta sui 7.500 euro.

La domanda è allora sul come gli enti riescano a rientrare dei costi maggiori sostenuti rispetto a quanto viene chiesto alle famiglie? «La loro sostenibilità economica è infatti a rischio. Devono fare sempre più ricorso al volontariato, utilizzando personale meno qualificato, specializzarsi su pochi paesi, trovare finanziamenti attraverso attività di cooperazione internazionale e grazie alle donazioni», spiega Gugiatti.

Dalla ricerca emerge la necessità di rivedere il tariffario stabilito nel 2003. Oltretutto, lo stesso contesto delle adozioni è cambiato negli ultimi anni: oggi, il 15% di tutti i bambini adottati e il 40% di quelli provenienti dall’estero presentano necessità particolari, perché, ad esempio, portatori di handicap o malati di Aids, perché segnati da esperienze particolarmente difficili o perché più grandi degli altri. Elementi questi che richiedono un’alta specializzazione del personale degli enti e che si traducono in maggiori investimenti nella formazione interna.
E, dato non secondario, i costi sostenuti dalle famiglie, a maggior ragione in una fase di congiuntura economica come quella attuale, rischiano di rendere l’adozione internazionale una possibilità per pochi. «Il percorso completo, contando anche i costi esteri, può superare facilmente i 20mila euro», aggiunge Gugiatti. «La Cai e gli enti dovrebbero quindi attivarsi presso il sistema creditizio per aumentare il numero delle iniziative di concessione di linee di credito specifiche per le famiglie adottive».

Dalla ricerca emergono anche delle indicazioni come la necessità di ridurre la frammentazione e l’alto numero degli enti autorizzati: «Rispetto ad altri paesi, la situazione italiana vede un numero di organismi operanti superiore, mentre manca un organismo pubblico che operi sull’intero territorio nazionale, come è il caso dell’agenzia Afa francese». A livello europeo, infine, «appare sempre più evidente agli enti e a tutto l’universo coinvolto a vario titolo nelle adozioni internazionali la necessità di considerare le adozioni tra le politiche europee sviluppando maggiormente la collaborazione tra gli stati», conclude Attilio Gugiatti

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