Non profit

Il tesoretto ereditato che ha fruttato più di 2 miliardi

Da dove provengono le risorse per fare filantropia

di Redazione

La gestione del patrimonio ha un compito fondamentale: mettere a disposizione le risorse per sostenere i progetti. Con strumenti sofisticati e verificabili. Tanta cautela e un monitoraggio costante e intelligente. Sei miliardi di euro amministrati evitando titoli “sconvenienti”. Anche dal punto di vista dell’etica.

Conservare con cura, donare con generosità
Da una recente esame sulla gestione emerge che negli ultimi dieci anni Fondazione Cariplo ha conservato il valore di mercato del patrimonio netto e ha fornito risorse che hanno consentito di destinare all’attività filantropica dal 2006 ad oggi il 3% del patrimonio, centrando l’obiettivo di lungo periodo. Bando ai tecnicismi. Chiunque comprende la sintesi: in questi anni, che hanno visto bruciare risorse spazzate via dai mercati, la gestione oculata della Fondazione ha consentito di mantenere gli impegni presi, anche quelli formali. La gestione del patrimonio, passata per le turbolenze che tutti conoscono, è riuscita nel difficile compito di non far mancare le risorse per l’attività filantropica. Oltre sei miliardi di euro, dati in gestione alla Fondazione a seguito del processo che porto alla sua nascita, raccogliendo la tradizione dell’allora Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde e frutto dell’operosità della comunità locale, hanno fruttato in vent’anni quei due miliardi andati a più di 24 mila progetti. «Col tempo abbiamo costruito un modello», premette Francesco Lorenzetti (nella foto), responsabile della gestione del patrimonio di Fondazione Cariplo, «mutuandolo da alcuni esempi di successo soprattutto internazionali, facendo così tesoro delle esperienze delle più grandi fondazioni, dei fondi pensione e degli investitori istituzionali in particolare nord-europei. Sono diversi i fattori fondanti che orientano la gestione del patrimonio», puntualizza Lorenzetti, «tra questi la prospettiva temporale che deve essere almeno decennale». Si capisce il perché: non ci si fa promotori dello sviluppo e del benessere di una comunità così ampia se si è distratti dalle trimestrali, se ci si fa prendere dal su e giù dei titoli, dalla frenesia quotidiana delle Borse e del mercato. «Nei bilanci si può decidere se immobilizzare o meno gli investimenti, se usare i prezzi storici delle immobilizzazioni oppure no. A seconda della scelta che si fa, nel documento contabile si ha una rappresentazione più o meno veritiera». Anche nei nostri conti domestici, del resto, possiamo registrare il valore di un bene riferendoci alla spesa che abbiamo sostenuto oppure a quello che ricaveremmo se lo rivendessimo. Va da sé che i due valori possono essere anche molto distanti…

Investimenti due volte utili
Un benchmark, cioè un parametro di riferimento, regola gli investimenti diretti ed indiretti (azionari, che rappresentano il 40%, monetari-obbligazionari, ovvero il 53% del totale) e quelli “mission connected”, ovvero quel 7% di risorse, oltre 578 milioni di euro, che vengono investiti in attività che si sposano perfettamente con quella filantropica, come ad esempio lo sviluppo attraverso la microfinanza, l’housing sociale; come dire che Fondazione Cariplo usa due leve per lo sviluppo e il bene comune: le erogazioni (a fondo perduto) e gli investimenti, che dunque sono doppiamente virtuosi, perché oltre a fruttare le risorse per la filantropia possono al tempo stesso finanziare (di solito attraverso specifici fondi) iniziative che hanno ricadute sociali positive. «Il rendimento degli investimenti, secondo il Regolamento, a prezzo di mercato non deve essere inferiore al 3% al netto delle imposte e dei costi di gestione». Quando le cose vanno bene si possono accantonare risorse, scelta quantomai profetica attuata in passato, con saggezza contadina che ben si attaglia alla metafora del fieno in cascina. «Il fondo di stabilizzazione erogazioni che serve in tempi difficili per dare continuità alle iniziative portate avanti dalla fondazione. Lo alimentiamo negli anni in cui il rendimento eccede gli obiettivi».
Parola d’ordine: diversificare
Un’altra indicazione importante è la diversificazione del portafoglio. Gli investitori nel cui portafoglio prevale un solo investimento corrono più rischi. «Per questa ragione abbiamo molto diversificato. Tra le fondazioni italiane, siamo probabilmente quella che più ha diversificato i propri investimenti. È un modo per controllare il rischio».
La volatilità di un titolo, come si diceva, non la si può annullare. Semmai la si può rendere relativa, appunto affiancando diverse tipologie d’investimenti. «D’altro canto evitiamo, quando i mercati crollano, di tentare di ridurre il rischio vendendo e quando invece guadagnano di aumentarlo acquistando. È una tendenza comune anche fra investitori istituzionali, ma a lungo andare distrugge il patrimonio».

Un monitoraggio etico
«È un aspetto molto rilevante. Polaris, che gestisce molti dei nostri investimenti, lo realizza con la collaborazione di Etica Sgr. Si tratta di una valutazione della eticità del portafoglio partecipazioni e titoli. Ogni trimestre si verifica il grado di responsabilità sociale degli investimenti della fondazione (se serve, si stila anche una black list), evitando di investire in società che violano i diritti umani, o i trattati internazionali sulle armi di distruzione di massa, o che non rispettano quelli sull’ambiente», conclude Lorenzetti.

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