Politica

L’impotenza dello Stato e gli imprendibili Billionaire

Così la Manovra affonda solo nelle tasche (e nella carne) del ceto medio

di Marco Revelli

C’è un’immagine drammaticamente simbolica che rende l’idea del momento che l’Italia sta vivendo. Lunedì 5 dicembre, mentre Monti presentava la sua manovra davanti a un parlamento semivuoto, lo spread dei titoli di Stato precipitava finalmente di 100 punti. La politica subisce le decisioni, che sono state dettate da meccanismi che la sovrastano, implorando addirittura il ricorso alla fiducia per non avere troppi imbarazzi. Ho già scritto su queste pagine cercando di spiegare perché alla manovra Monti non c’erano alternative e che sarebbe stato distruttivo mettersi di traverso, in quanto incombeva su di noi la forza micidiale dei mercati pronti a sbriciolare il Paese. Ribadisco che, a dispetto di questa obbligatorietà di percorso, lo stile di Monti mi ha molto colpito: da quanto non vedevamo un presidente del Consiglio rendersi disponibile a spiegare le scelte fatte in una conferenza stampa lunga e circostanziata? Mi hanno sinceramente colpito anche le lacrime del ministro Elsa Fornero nel momento di annunciare la decisione più dura: quella della deindicizzazione delle pensioni.

Fuori controllo
Non avevano altre strade davanti a loro, perché il diktat dei mercati non lasciava altri spazi; di qui i toni preoccupati, ultimativi ma anche il più possibile persuasivi, che hanno regolato le comunicazioni di queste giornate.
Detto questo, si può scendere di più nel cuore di questa manovra, una manovra “che non si poteva non fare”. I tempi strettissimi in cui è stata congegnata possono spiegare il fatto che sono stati intercettati e spremuti solo quei ceti sociali che sono ancora sotto il controllo dello Stato, mentre sono sfuggiti ancora una volta quegli altri ceti, minoritari per numeri ma non certo per reddito complessivo. Monti ha ammesso l’impotenza dello Stato di fronte alle ricchezze stile Billionaire: se le si mette nel mirino queste scappano, ha detto. È una ricchezza extraterritoriale, in senso fisico e anche metaforico. Una ricchezza “mobile” di fronte alla quale gli strumenti di cui lo Stato dispone sono del tutto inadeguati.
Il risultato è una manovra sbilanciata, che finisce con il colpire profondamente il ceto medio, mentre sfiora soltanto i grandi ricchi e i manager multimiliardari.
Ma la vera ingiustizia che si consuma non è questa. Il governo infatti si muove dentro un vincolo europeo, che è culturale ed economico. La cultura è quella tecnocratica che regola l’Unione europea e il vincolo economico ne dipende. È un limite enorme, drammatico e strutturale che non può essere superato con un colpo d’ala di un singolo soggetto: la catena c’è, è pesante, è molto stretta e vincolante.
Questo modello prevede che si prelevi dal sociale per coprire il rischio di voragini nel circuito finanziario e in quello delle banche. Sono voragini che causerebbero ancora più devastazioni nel sociale. Per questo il vincolo è drammaticamente stringente, e non ce ne si può sottrarre oggi, né tanto meno ce ne si può sottrarre da soli.

Dov’è caduta la mannaia
Il risultato è che, preservati i più poveri per i quali è stata mantenuta quella garanzia minima dell’indicizzazione delle pensioni al costo della vita, la mannaia è calata tutta sul ceto medio, all’interno del quale rischiano di aprirsi ferite drammatiche nel prossimo futuro. Pensiamo ai tanti che perdendo il lavoro per la crisi a 50 o 55 anni si troveranno senza alternative e senza ammortizzatori; pensiamo alle famiglie che hanno surrogato ai buchi del welfare pubblico ma che ora si troveranno con mamme e nonni che restano in età di lavoro per una stagione molto più lunga della loro vita. C’è solo da augurarsi che il ministro Fornero abbia la forza di varare il reddito minimo garantito, misura a cui ha fatto esplicito accenno nei giorni di messa a punto della Manovra.
La cultura neo liberista che ci ha portato in questa situazione e che ancora tiene le redini del sistema, è una cultura cieca che non mette in conto i costi che ogni giro di torchio causa: ad ogni giro c’è un pezzo di società che si sbriciola. C’è solo da augurarsi che il congelamento della democrazia non sia un fenomeno irreversibile. Perché se non sarà così, lo spread tra richieste del mercato e scelte socialmente insostenibili è destinato ad esiti drammatici.

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