Mondo
Con 4mila pratiche all’anno l’Italia è il secondo Paese al mondo per accoglienza Un primato messo alla prova dalla crisi e dagli special needs
di Redazione

Quasi 30mila bambini da 87 diversi Paesi nel mondo. Il sistema delle adozioni internazionali, regolato dalla Commissione Adozioni e dall’Albo degli enti autorizzati (che divenne operativo il 16 novembre del 2000), tira la riga dei suoi primi dieci anni di vita. Ed è un conto in positivo, perché dopo la ratifica della Convenzione dell’Aja, nel 1998, l’Italia ha chiuso per sempre con il fai-da-te. Si è data un sistema su quattro pilastri: la Commissione, gli enti (oggi 69), i 29 Tribunali per i minorenni, i servizi sociali territoriali. Dal 2008 a oggi l’Italia si è assestata sul ritmo di 4mila nuove adozioni l’anno, diventando il secondo Paese mondiale di accoglienza dopo gli Stati Uniti (che ne fanno 18mila).
Un mondo che cambia
Ma il nostro Paese è anche la cartina di tornasole di uno scenario in cambiamento: le coppie non sono più le stesse di dieci anni fa, i bambini del mondo in cerca di una famiglia nemmeno. Il dato più eclatante viene dall’ultimo report semestrale della Cai: il numero dei decreti d’idoneità segna una flessione lenta ma costante, al ritmo di quasi un migliaio in meno l’anno (sono stati 6.237 nel 2006, sono diventati 4.377 nel 2009, nei primi sei mesi del 2010 arrivavano a 1.553). La caduta dei decreti rivela un drastico cambiamento della disponibilità degli italiani ad adottare. «Le famiglie di oggi soffrono l’impatto della crisi globale che ha investito la nostra società», commenta Valeria Rossi Dragone, presidente del Ciai. «Non è solo o semplicemente una questione di costi, ma di incertezza economica sul futuro. La scelta di avere un figlio è cementata alle prospettive di una coppia, alla sua stabilità abitativa e lavorativa. Oggi c’è un freno evidente alla progettualità». Inoltre, «le coppie di oggi sono più consapevoli riguardo alla realtà dell’adozione, alle difficoltà del percorso, ai costi, ai tempi. Si verifica una sorta di autoselezione all’inizio del percorso», aggiunge Cristina Nespoli, presidente di Enzo B. E poi, ci sono i nuovi orfani. In dieci anni la media d’età dei bambini accolti dagli italiani è salita a 5,9 anni. I minori che vanno in adozione internazionale sono in gran parte “special needs”: grandicelli, malati, gruppi di fratelli. «Bambini che portano con sé i loro vissuti, il cui inserimento coinvolge sempre più spesso l’area socio-sanitaria», aggiunge Melita Cavallo, presidente Cai dal 2001 al 2005, oggi alla guida del Tribunale dei Minori di Roma.
Una Cai troppo politica
E qui si ritorna al “sistema Italia” perché, come accade nel caso dell’affido, anche nell’adozione la coppia che accoglie rischia di sperimentare un percorso di solitudine. Soprattutto nel post adozione. «L’aiuto richiesto da una famiglia adottiva dopo il rientro a casa», riflette Antonio Fatigati, presidente dell’Associazione Genitori si Diventa, «può coinvolgere l’ambito sanitario, sociale, psicologico, pedagogico. I genitori e il bambino si misurano con diverse difficoltà, oltre a quella, naturale, della costruzione di un legame di fiducia e amore c’è l’accoglienza della comunità, c’è il capitolo dell’inserimento scolastico». Agli enti autorizzati è richiesto un compito immane. Il risultato è che non sempre e non tutti sono in grado di seguire le famiglie in questa fase. «E il bisogno viene colmato dalle associazioni familiari, che si sono sviluppate territorialmente in modo straordinario. Non è un caso che i nostri incontri per il post adozione siano sempre affollatissimi», prosegue Fatigati. Se l’iter adottivo presenta le sue lacune, anche sui famosi “quattro pilastri” la discussione è aperta. Il giudizio sul lavoro della Commissione è sostanzialmente positivo: «La sua funzionalità è aumentata a livello esponenziale, soprattutto in campo internazionale», dice la Nespoli.
Ma la sua attuale fisionomia e la difficoltà a rapportarsi con gli enti e con le associazioni familiari in modo “partecipativo”, rendono più difficile il dialogo e il confronto. A cominciare dalla presidenza, da qualche anno riservata a un politico di rango ministeriale (oggi il sottosegretario Carlo Giovanardi). Un aspetto che «non a caso, non avviene in nessun altro Paese nel mondo», sottolinea Cavallo. «La politica è entrata nella Cai in modo sbagliato e la composizione stessa della Commissione segna una netta separazione dalle famiglie», sottolinea Fatigati, ricordando il ritiro volontario, peraltro non ancora rimpiazzato, della sua associazione. I nodi del rapporto con i servizi e del ruolo del Tribunale dei minorenni nell’emissione dell’idoneità – che secondo alcuni esperti dovrebbe essere un semplice passaggio amministrativo – completano un quadro di insoddisfazione sulla funzionalità della legge. In mezzo, ci sono famiglie e minori che chiedono una maggiore attenzione.
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