Ma qual è il significato del velo per le ragazze musulmane di seconda generazione? Certo, non posso fare di tutta l’erba un fascio, né voglio dare giudizi, ma togliermi qualche sassolino, sì. O qualche macigno.
L’interesse dei media per il tema “donne e islam” si è fossilizzato sul fattore velo. Dopo circa dieci anni di dibattiti e salottate su tutte le reti nazionali e locali, ancora oggi le ragazze invitate a partecipare a talk show, o che scrivono articoli su riviste e blog sono ferme lì, ancora a dover specificare e a ribadire che il velo è una scelta. Ma qualche “velata” avrà mai il coraggio di dire «saranno affari miei se ho messo il velo o no?», o deve sempre – con modi garbati – sussurrare la totale e ormai obsoleta tecnica del libero arbitrio?
Sarà che i musulmani di seconda generazione li vedo un po’ limitati, poco combattivi, sempre più chiusi nei loro ghetti di associazioni e movimenti, molto più dei loro genitori arrivati venti o trent’anni fa, in una Italia dove la “sciura Maria” non riusciva neppure a pronunciare parole come kebab, moschea, imam. Mi pare strano che le nuove italiane, nate e cresciute in Italia, sentano in modo così forte questa “vocazione”, quando poche delle loro mamme, vent’anni fa, portavano il velo.
Mi capita di leggere articoli dove si accentua questa scelta in modo spropositato. «Fa la reporter e porta il velo» oppure «Sara fa l’ostetrica ma porta il velo». Ma da quando portare il velo è diventato una eccezionalità? Sono anni che le donne musulmane, velate o no, partecipano attivamente alla vita sociale, facendo tutti i lavori, anche i più umili.
Non è che il velo – sempre en pendant con il trucco e le scarpe, fateci caso – più che una scelta culturale sta diventando una moda, o anche solo un modo per attirare l’attenzione e far parlare di sé?
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