Non profit
Chernobyl, 25 anni dopo Turisti del macabro e bilanci ancora incerti
Greenpeace stima in 93mila le vittime totali del disastro
di Redazione
Alla fine arrivano i turisti è in realtà un film tedesco che narra la quotidianità della vita oggi nel vecchio campo di sterminio di Auschwitz. Ma il titolo potrebbe adattarsi alla perfezione per descrivere quel che accade attorno al sarcofago di cemento che ricopre il reattore numero 4 della centrale nucleare di Chernobyl. Da qualche anno, piccole agenzie ucraine organizzano visite a pagamento, per gruppi di turisti amanti del brivido forte, agli impianti saltati in aria nella notte fra il 25 e il 26 aprile 1986. L’idea ha avuto successo e l’offerta si è ampliata, in concomitanza con l’approssimarsi del venticinquesimo anniversario del disastro. Fino a qualche mese fa era possibile cavarsela con 100 dollari, adesso per prenotare una delle prossime spedizioni bisogna sborsarne almeno 160. Solerti accompagnatori guidano i visitatori nelle vie della cittadina di Chernobyl e nel deserto urbanistico di Pripjat, la città fantasma più vicina al reattore evacuata con colpevole ritardo un giorno e mezzo dopo l’esplosione, e da allora mai più abitata. Mostrano a debita distanza il silenzio cimiteriale del reattore incriminato e consigliano strade e percorsi lungo i quali i livelli di radiazione sono sopportabili.
I numeri della tragedia sono oggetto di polemica ancora un quarto di secolo dopo. Il Chernobyl Forum delle Nazioni Unite stima le morti causate direttamente dall’esplosione in poche migliaia, 4mila quelle per esposizione alle radiazioni. Greenpeace allarga lo spettro ai decessi di cancro determinati dal diffondersi della nube tossica e giunge a una cifra di 93mila. La Chernobyl Union of Ukraine, un’organizzazione non governativa, fa schizzare la conta a 734mila vittime. In ogni caso nei 30 chilometri della zona proibita a cavallo fra Ucraina e Bielorussia, ogni tipo di vita umana sarà interdetta almeno per 100 anni ancora.
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