Siamo nella terra dove quasi una persona su due è socio di qualche cooperativa. Una sorta di record mondiale. Oltre al capoluogo ci sono altri 216 Comuni. Ebbene in ognuno di questi Comuni c’è un punto vendita della Famiglia cooperativa. Anzi i punti coprono 268 località, perché raggiungono anche le frazioni. Avere un negozio significa in qualche modo salvare un paese. .Ovviamente sono vetrine che spesso non rendono. In 71 casi forniscono una platea inferiore alle 300 persone. Magari sono paesini a un’ora di camion dal fondovalle. Se chi compera il pane fresco o il detersivo in uno dei tre negozi aperti in val di Rabbi, 60 chilometri sopra Trento, 1.500 abitanti in tutto, dovesse farsi carico anche del costo del trasporto, non ci sarebbe storia. Invece il sistema introduce una logica mutualistica, per cui i costi sono a carico di tutti. «Ma non pensiate che le Famiglie cooperative siano opere benefiche», precisa Marina Mattarei, che da 4 anni è presidente della “famiglia” da cui dipendono 12 negozi in val di Rabbi e nell’alta val di Sole. «In realtà siamo imprese a tutti gli effetti. Ci dobbiamo confrontare con un mercato sempre più spregiudicato. E per distribuire ricchezza dobbiamo produrla, anche se non lavoriamo per il profitto». «D’altra parte ci vorrebbe poco con una popolazione di oltre mezzo milione di abitanti risolvere la questione con qualche ipermercato a fondovalle», spiega Diego Schelfi, presidente e vero Totem dalla Federazione. Invece in Trentino è stata fatta la scelta di privilegiare la salvaguardia dei territori, anche i più marginali e periferici, come la val di Rabbi. È non è una strategia perdente se è vero che il settore consumo ha chiuso il 2010 difficile per tutti con una crescita del 2,3% (ma gli utili sono saliti del 6,2%).
In virtù di questa energia e di questa consapevolezza, oggi Marina Mattarei è diventata vicepresidente della Federazione per il settore consumo. È uno dei fattori di novità di una realtà che sta vivendo in questi tempi profondi cambiamenti. Il 2010 infatti per la Federazione è stato un anno traumatico, avendo dovuto affrontare il primo tracollo di una delle grandi cooperative storiche, la LaVis, una cantina fondata nel 1948.
La causa è stata individuata nelle passività incontrollate e nel disimpegno dei soci. Di qui la proposta di aggiornare il patto sociale tra Federazione e cooperative, consentendo alla prima di esercitare pienamente il ruolo di garanzia, attraverso le certificazioni di bilancio, e di tutelare i soci con l’informazione e di incidere di più nelle scelte delle imprese. Un percorso che ha avuto l’approvazione dall’assemblea a metà marzo.
Sono problemi determinati anche dalla grande crescita che la cooperazione trentina ha registrato dagli anni 90 in poi. Dalle Casse Rurali passano il 60% dei depositi e il 55% degli impieghi della Provincia. Famiglie Cooperative e la catena Sait coprono il 40% dei consumi alimentari. I consorzi frutta, come Melinda o Sant’Orsola, coprono l’intero settore.
Qualche mese fa Euricse ha realizzato uno studio per valutare l’impatto economico della cooperazione in Trentino. Eddi Fontanari, che ne è l’autore insieme a Carlo Borzaga, sintetizza così i dati: «Nel 2005 il complesso della cooperazione trentina ha generato 3.248 milioni di euro di valore della produzione e 1.687 milioni di euro di valore aggiunto. Si tratta del 13% del valore della produzione provinciale, del 13,2 % del valore aggiunto e del 15% dell’occupazione». Le persone occupate presso una cooperativa, o una sua controllata o un’impresa non cooperativa ma grazie alla domanda attivata dal processo produttivo cooperativo, sono state stimate in 34.825. Sintetizza Carlo Borzaga: «I risultati ottenuti evidenziano che le cooperative sono un attore economico a pieno titolo, dotato, rispetto alle forme concorrenti, di propri vantaggi competitivi».
È un modello che tiene anche a livello di occupazione. Una ricerca realizzata su 289 cooperative, che rappresentano il 72% della forza lavoro, conferma che il 2010 si è chiuso con 500 persone assunte in più rispetto all’anno prima.Il settore più in crescita è quello delle cooperative sociali e di lavoro, che hanno chiuso l’anno scorso con un saldo positivo di 278 posti di lavoro in più. Ma è il settore giovane della cooperazione a crescere, dall’informatica, alle scuole musicali, all’ambiente. A Rovereto è stato aperto un Hub, incubatore di imprese sociali e innovative, sul modello di quello di Milano. Ma qui è nato in forma cooperativa.
Le 20 cooperative sociali oggi hanno 1.800 occupati. Tra loro 700 con difficoltà fisiche o psichiche. L’inserimento individualizzato produce buoni risultati, con 300 casi in cui il lavoratore è passato in un’azienda ordinaria. «Dati estremamente positivi che fanno del Trentino un modello a livello europeo», sottolinea Bruno Roelants, segretario generale di Cecop, l’organismo che rappresenta in Europa le realtà di terzo settore che si occupano di inclusione sociale. Ma la crisi ha aperto nuove fasce fragili, che non vengono comprese nelle categorie di “svantaggio”: donne con figli, giovani in difficoltà, persone mature che si trovano senza lavoro. Per questo la cooperazione sociale non può stare ferma. «Dobbiamo raccogliere la sfida dei grandi numeri», dice Silvano Deavi, presidente di Con.Solida, la più importante rete di imprese sociali del Trentino. «Dobbiamo riuscire a dare risposte non più solo a una nicchia».
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