Non profit
Piccoli frutti, grandi affari la lezione della Sant’Orsola
La storia emblematica della cooperativa della Valsugana
di Redazione
Come possono le fragole salvare un’antichissma minoranza? In estrema sintesi è questa la storia di quella che oggi è una grande cooperativa da 50milioni di fatturato: la Sant’Orsola di Pergine Valsugana. I Mòcheni sono un piccolo gruppo di lingua tedesca che da secoli abitano quattro paesi della valle del fiume Fersina, sopra la Valsugana. Più o meno 20 chilometri da Trento. Negli anni 70 il loro destino era segnato: emigrazione obbligata, perdita di ogni elemento identitario.
Ma ad un gruppo di giovani coltivatori venne l’intuizione di ribaltare in ricchezza quella che sembrava un limite strutturale del territorio. E pensarono che se quei terrazzamenti di pochi metri disposti ad altezze diverse, tra i 700 e i 1.400 metri, non erano certo adatti a mele o vigneti, potevano funzionare benissimo per coltivare piccoli frutti. Michele Scrinzi (in foto), oggi direttore della Sant’Orsola, a quell’epoca era appena nato. Ma quando parla di quegli inizi, il suo sguardo si accende quasi di gratitudine. Del resto c’è davvero da restare ammirati ad ascoltare cosa, da quella decisione tutta difensiva, si è generato nell’arco di 40 anni. Perché se oggi alla Sant’Orsola fanno capo ben 1.200 aziende agricole, il percorso di crescita è stato il frutto di decisioni intelligenti, di passione e anche di coraggio. Spiega Scrinzi: «Il segreto sta nell’ottima redditività della coltivazione dei piccoli frutti. Mille metri a lamponi rendono come 10mila metri a vigneto. Non solo: le altezze diverse dei terrazzamenti avevano garantito sin dall’inizio una maturazione a tempi differenziati. Così si copriva un arco di stagione più ampio».
Occhio alla globalizzazione
Ben presto però questo non risultò più sufficiente. Le consuetudini alimentari sempre più globalizzate richiedevano fragole e lamponi tutto l’anno. La grande distribuzione si faceva portavoce di questa domanda. E se la Sant’Orsola non avesse pensato a una risposta, avrebbe perso la scommessa imprenditoriale. Bisognava spostarsi a sud. E qui la cooperativa ha incontrato l’intraprendenza intelligente di un grande trentino che a sud era finito per ragioni pastorali: era Giancarlo Bregantini, allora vescovo della diocesi di Locri. È lui a invitare i trentini ad accompagnare delle start up di aziende agricole specializzate nella produzione di piccoli frutti nella piana. Poi alla Calabria si sono aggiunte Campania, Basilicata e Sicilia. In questo modo i mesi di produzione si sono più che raddoppiati. Restava scoperto l’inverno. Così si è arrivati ad un’alleanza con alcuni produttori cileni, che coltivano varietà di proprietà della cooperativa e che vengono commercializzati con un marchio diverso “Piccoli frutti”.
La forza della Sant’Orsola è una forza anche tecnologica. La cooperativa è leader in Europa nella ricerca e sviluppo, per selezionare le miglior varietà. A Vigolo Vattaro è stato allestito un campo sperimentale di 8mila metri quadri. Nel 2009 è stata allestita anche una serra dove si può studiare il perfezionamento dei prodotti per tutto l’anno. «È qui che abbiamo messo a punto una varietà di lamponi straordinaria», spiega Scrinzi. «Si chiama Erika, ha un’alta produttività, con due cicli di raccolta».
Ci si deve ovviamente dimenticare l’orticello ordinato e romantico che punteggia i versanti delle montagne. Ormai i soci grandi e piccoli di Sant’Orsola sono ipertecnologizzati. Le coltivazioni sono tutte in tunnel, come dicono in gergo. Un computer regola tutti i processi dall’innaffiamento in su. La cooperativa fornisce ogni tipo di supporto a cominciare dalle piantine, che non vengono più coltivate in terra ma in vaschette con la torba.
L’altra sfida fondamentale è quella della programmazione. È dal centro che vengono stabiliti i tempi di produzione, in modo da tenere sempre rifornito il mercato, tenendo conto che fragole e lamponi chiedono tempi rapidissimi per la distribuzione e la vendita. Un sistema complesso che deve regolare tutti i fattori, dall’altezza dei terreni alle previsioni atmosferiche, alle tipologie di concime da usare.
Un brand pesante
Il risultato finale è un brand di eccellenza assoluta, che ha avuto la forza di dire no al private label della grande distribuzione. E che soprattutto raccoglie sotto il suo ombrello organizzativo ben 1.200 imprese agricole, 500 delle quali a gestione famigliare (ma ce ne sono 100 con oltre 60 dipendenti). Risultato di questa storia di imprenditoria di territorio: i Mòcheni sono ancora tutti nella loro valle.
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