Non profit

Le cinque regole del guru

Intervista ad Adrian Sargeant

di Redazione

Èil numero uno. A cui tutti fanno la stessa domanda: come si fa a mettere in piedi una campagna di raccolta fondi efficace? Lui si chiama Adrian Sargeant e i titoli per rispondere non gli mancano di certo. Classe 1964, inglese, professore di Fundraising presso il Centre for Philanthropy all’Università dell’Indiana, la prima cattedra al mondo nel suo genere. Sergeant è anche professore di Marketing per il non profit e il fundraising alla Bristol Business School nel Regno Unito e professore associato di Fundraising presso il Centre for Philanthropy and Nonprofit Studies alla Università Queensland di Brisbane in Australia. Insomma, un guru.
Allora professore, non perdiamo tempo: come si fa?
Troppo spesso si fanno gli stessi errori, e quindi altrettanto spesso mi tocca ripetere le medesime osservazioni. Uno: rendere facile donare online come ad esempio, fondamentale, chiedere esclusivamente i dati necessari per la donazione. Eliminare tutto il resto. Due: aggiungere la possibilità di effettuare una donazione regolarmente offrendo un servizio che permette di donare in automatico da carta di credito o conto corrente a intervalli regolari. Tre: prevedere un’opzione “segnala a un amico”. Quattro: personalizzare tutte le comunicazioni. E cinque: nel caso in cui si utilizzino piattaforme esterne, ad esempio per la transazione, occorre fare in modo che non siano anonime e allinearle al cosiddetto look & feel del proprio sito e quindi della propria associazione.
E invece la situazione oggi qual è?
C’è ancora molta strada da fare. Nel 2010 nei Paesi occidentali solo il 5% del totale delle donazioni è stato fatto online. Quello che le organizzazioni devono imparare è come veicolare traffico verso i propri siti. Negli ultimi anni è migliorato il design, ma ancora manca la capacità di attirare e mantenere utenti sul proprio sito.
Qualche tendenza?
Nel 2011 ci aspettiamo una crescita significativa legata alle grande emergenze come nel caso del terremoto in Giappone. Un altro aspetto interessante è che donare online sembra essere tendenzialmente un’attività diurna e non serale, che si svolge cioè nelle ore lavorative principalmente. Infine, il futuro: bisogna porsi il problema di definire standard e regole che difendano i donatori dalle eventuali frodi.
Quali sono le principali differenze tra Europa e Stati Uniti nell’approccio al fundraising online?
A dire la verità non credo che l’Europa abbia molto da imparare dagli Stati Uniti, almeno per quanto riguarda il digital fundraising e il direct email marketing. Anzi, credo che in questi due settori in Europa ci siano esperienze migliori. Quello su cui, invece, siamo ancora molto indietro è come strutturare delle campagne di raccolta fondi e la gestione dei grandi donatori.
Che idea si è fatta dei vari progetti rivolti al non profit lanciati da grandi aziende informatiche come Google o Facebook?
In questi casi l’obiettivo principale è quello di creare contatti. Le percentuali di conversione, invece, di un utente intercettato su “Facebook causes” o su “Jumo” sono molto basse. Io peraltro sono molto scettico sulla capacità di trasformare in fondi i contatti prodotti attraverso dei siti di aziende. Ma certamente aiutano ad aumentare il traffico.

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