Non profit

Su Facebook sbarcano gli uomini-talpa

Gli attivisti digitali

di Redazione

L’ultima frontiera dell’attivismo è on line. Ambientalisti digitali che creano gruppi su Facebook (cliccare per credere, alla voce ecomostri), che lanciano concorsi fotografici, si confrontano sulle proposte. Eppure non riescono a sostituire il caro vecchio scouting sul territorio che, negli ultimi decenni, ha permesso alcune vittorie contro la speculazione. Anche la battaglia più recente – quella di un gruppo di cittadini contrari a un polo della logistica da costruirsi in Sabina, zona archeologica in provincia di Rieti – è nata all’antica. Cioè nella consapevolezza di un rischio ambientale condivisa guardandosi negli occhi. «Sono persone sui 30, 35 anni», spiega Vanessa Ranieri, presidente di WWF Lazio, «ci hanno segnalato che gli scavi sono iniziati prima che la Regione ultimasse la valutazione d’impatto ambientale. Ora si stanno costituendo ufficialmente: daranno vita al presidio della Bassa Sabina». Nel frattempo si sta scrivendo un esposto alla Procura della Repubblica. Succede spesso. Le preoccupazioni si uniscono, diventano una voce sola e superano lo spontaneismo, giungendo alle famose vie legali. Per adire alle quali talvolta tocca condurre un’azione vera e propria di spionaggio. Non ha agito da 007 quell’attivista toscano che, dopo aver letto l’annuncio di vendita di appartamentini a Massa Carrara apparso sul Corriere della Sera, ha telefonato per verificare se erano effettivamente in zona Fossa Maestra? Grazie a lui venne fuori che l’impresa, che aveva una licenza per costruire un residence, stava realizzando miniappartamenti. Ne derivarono una denuncia e la demolizione. Non è stato però possibile dire la parola “fine”.
La battaglia per salvaguardare Fossa Maestra è stata appena rilanciata da un esposto presentato a marzo da Legambiente. Ha scoperto un intrigo da Prima Repubblica: la moglie di un politico locale acquista l’area vincolata sperando che suo marito, presidente della commissione Urbanistica, introduca una variante per consentire la realizzazione di attrezzature turistiche a basso impianto ambientale.
Mai dormire sugli allori: l’ecomostro è sempre dietro l’angolo. Lo sanno bene alla Palmaria. «Dopo molte mobilitazioni e una campagna sostenuta anche dall’arrivo della Goletta verde», ricorda Stefano Sarti, presidente di Legambiente Liguria, «siamo riusciti a far abbattere un ecomostro ormai quarantenne, anche perché la Regione si è dimostrata sensibile e ha inserito l’area in un progetto di riqualificazione, accelerando così la soluzione del problema». Ancora oggi però gli ambientalisti tengono d’occhio l’isola: «Abbiamo alcune perplessità, in modo particolare su alcuni lavori e il progetto di realizzare tre pontili galleggianti».
Un’attenzione speciale quella riservata alla Palmaria («è la nostra isola»), che non può dirsi una costante. Prendete, ad esempio, le cosiddette “lavatrici di Pra’”: non una costruzione abusiva, ma certo un mostro architettonico da non replicare. Materiali di scarsa qualità, enorme dispersione termica, costi di gestione altissimi, grande disagio sociale. «Eppure la protesta popolare è ben poco partecipata», lamenta Antonio Bruno, consigliere comunale di Genova, «anche se un comitato di quartiere sollecita la realizzazione di interventi integrati e a più livelli. Non si può lavorare solo sul piano ambientale, né è sufficiente l’impegno virtuale dei ragazzi talpa, quelli di Facebook». Come dargli torto? Si rischia di far parte di una élite e di avere un’efficacia solo relativa. «Le battaglie fatte da pochi avanzano lentamente», ricorda Pietro Amos, che ha combattuto fin dall’inizio il mostro di Fuenti (vedi articolo a pag. 5), «in pratica eravamo in tre. Sa quando c’è stata la prima mobilitazione di massa? Quando la spiaggia divenne inaccessibile a causa dei lavori di costruzione dell’albergo abusivo…».

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