Non profit
Cari juventini, mi costringete ad invidiarvi
Il nuovo stadio visto da un interista doc
di Redazione
Un’idea, un concetto, un’idea, finché resta un’idea è soltanto un’astrazione… Mi torna in mente Giorgio Gaber che, nel 1973, cantava questa splendida canzone, segnando definitivamente la distanza fra l’utopia e la realtà. Che c’entra con il nuovo stadio della Juventus? Molto, moltissimo. Qui prima di tutto c’è un’idea di calcio. Ossia di un gioco. Qualcosa di piacevole per tutti, tifosi, calciatori, spettatori televisivi. Qualcosa da vedere da vicino, senza plexiglas, senza reti protettive, senza barriere di alcun genere. Non si deve andare in guerra allo stadio. La partita della squadra del cuore è una festa. Lo scopo fondamentale è incontrarsi con amici che condividono una passione. Non andare con le clave e con gli insulti, contro gli avversari, contro i tifosi che vengono da fuori. Anzi, il vero divertimento è sfottersi, impietosi e ironici, sapendo che nel calcio contano i riti, le scaramanzie, la tradizione, la numerologia. Lo stadio è un luogo magico, lo sa bene chiunque abbia varcato i cancelli di alcuni teatri storici di Eupalla: San Siro, il Santiago Bernabeu, l’Olimpico, il San Paolo. L’idea è creare un luogo nel quale la violenza e l’aggressività non trovino occasione per manifestarsi, perché tutti sono talmente vicini al gioco e ai suoi protagonisti da non avere né voglia né tempo per distrarsi esercitandosi con le arti marziali.
Ebbene, mi secca molto constatare che l’idea – giusta e ben realizzata – è venuta proprio alla Juventus. Io, da interista convinto (ma pacifico per natura e per lungo esercizio meditativo), devo ammettere che quel nuovo stadio, costruito in meno di due anni a Torino, è una vera sfida a tutti quanti. Bello, fin troppo bello. Tondo, forse troppo tondo. Accessibile, in tutti i sensi, compreso quello che mi sta particolarmente a cuore. Una cifra infatti mi inquieta, perché è fonte di malcelata invidia: oltre 200 posti destinati alle persone con disabilità, anzi per la precisione 206. Lo abbiamo scoperto noi di Vita, chiedendolo. Perché in effetti questa informazione, utile e necessaria per chi voglia programmare una presenza a Torino, non compare fra i tanti numeri diffusi dall’apparato di comunicazione della società. Calcolando che la capienza complessiva dello stadio è praticamente la metà di San Siro, non posso che ammirare quel numero così ampio, praticamente identico a quanto offrono, adesso, Inter e Milan ai propri sostenitori a rotelle.
Di più: lo stadio torinese appare disegnato ad accessibilità totale, dentro e fuori, senza scale, senza barriere, solo passerelle e percorsi complanari. Mi verrebbe da dire: che peccato, tutto questo ben di Dio, sprecato per una tifoseria capace anche nella stagione dei raduni estivi di accoltellarsi a Bardonecchia, per ragioni di supremazia fra ultras. Poi cerco di ragionare da benpensante, e mi auguro che quell’idea, così lontana dalla pratica quotidiana del calcio di casa nostra, diventi un virus capace di contagiare i tifosi, le “curve”, i tanti cretini che vanno allo stadio solo per menar le mani, incuranti perfino del gioco che si svolge sul prato verde. Solo il tempo ci darà la risposta. Intanto il mio più recondito desiderio è quello di andare a Torino, quando si affronteranno Juventus e Inter: mi piacerà tantissimo godere di questo stadio perfetto, e assistere da vicino alla vittoria dei miei amati nerazzurri. È un’idea, naturalmente. Soltanto un’idea.
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