Il momento più intenso dell’incontro tra il neo arcivescovo di Milano Angelo Scola e i volontari è arrivato proprio alla conclusione. Dalle panche della chiesa della Sacra Famiglia di Cesano Boscone, dove l’incontro si è tenuto, si è alzato Jacopo e ha posto la domanda che Scola si aspettava: «Come facciamo a coinvolgere di più i giovani? Come vede, eminenza, anche qui dominano i capelli bianchi?». Scola non si è tirato indietro. Ha detto che anche per lui la questione dei giovani è un «dolore lancinante», per quanto a Madrid fosse stato sorpreso e felice di incontrare i 7mila giovani arrivati dalla diocesi. «Abbiamo solo una chance, quella di porci verso di loro con semplicità, mostrando esperienze in atto e non discorsi. Noi cattolici siamo malati di una pedagogia complicata e artificiosa. Dobbiamo andare oltre. Partire dalla realtà e lasciar perdere gli schemi».
È stata una scelta significativa quella di aver voluto segnare l’inizio della sua attività pastorale proprio incontrando tutti coloro che sono in prima linea sui tanti fronti della fragilità. Ad ascoltare Scola c’erano quasi tutti gli esponenti più illustri della solidarietà milanese, da don Mazzi a don Rigoldi, da monsignor Bazzari alle folte rappresentanze dell’Opera san Francesco e della Casa della Carità. Scola, dopo le cinque testimonianze che hanno aperto l’incontro, ha preso la parola in modo molto libero e informale, insistendo su un punto in particolare: senza l’esperienza vissuta della gratuità il Vangelo sarebbe solo dottrina fredda o predica morale. «Dieci anni fa, appena arrivato a Venezia», ha ricordato Scola, «Cacciari, allora sindaco, mi avvicinò e mi disse: “Senza l’azione di carità della Chiesa verso gli ultimi, nessuna istituzione ce la potrebbe fare”. Questo è un dato da tener presente, è un’oggettività inaffondabile. Bisognerebbe valutare la ricaduta anche economica dell’azione dei volontari. Nel mondo anglosassone lo fanno». Scola ha insistito su un altro punto: «Noi viviamo in una società plurale e voi siete l’avanguardia nel rapporto tra la comunità ecclesiale e chi ne è fuori. Ma una società plurale non è un problema, è una ricchezza: per questo voi non dovete imporre ma proporre. Dall’incontro e dal confronto nasce una sintesi condivisa e una soluzione efficace».
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