Non profit

Le “bidelle” antidispersione che fanno andare a scuola lo Zen

L'esperienza pilota del quartiere simbolo di Palermo

di Redazione

Compie dieci anni l’esperienza delle “mamme tutor” al Quartiere San Filippo Neri di Palermo, meglio conosciuto come Zen. E una decina sono le donne tutt’ora attive tra scuola, strade e case del quartiere, ad imbastire relazioni, a mediare, ad ascoltare. Caterina Fùrnari è una delle fondatrici. 44 anni, due figli, casalinga, ci racconta che «tutto è cominciato quando Nicolò stava lasciando le elementari per il primo anno di medie. Si diceva che i bambini fossero vittime di atti di bullismo, anche pesanti. Così, con altre mamme ci siamo allarmate. La preside, per rassicurarci, ci ha chiesto di venire a scuola, di parlarne, insomma di viverla un po’ anche noi. E così abbiamo fatto». Caterina oggi entra ed esce dalle aule, così come si disbriga tra vicoli dello Zen. Raccoglie i segreti dei ragazzi e li affronta. I professori le chiedono di parlare a quattr’occhi con altre madri, lei suona alla porta di casa per chiedere, tranquillizzare o spiegare i provvedimenti minacciati o presi dall’istituto.
Ma come vi vedono questi ragazzi?
Ormai ci riconoscono come figure familiari. Prima gli sembrava strano avere a che fare con una signora che non è una prof né fa le pulizie. All’inizio mi chiamavano “Bidé”, troncando la parola “bidella”. «Ti sembro un accessorio per il bagno?» rispondevo. Oppure «Ma lei cosa fa qua?» insistevano ed io: «Sono qui per combattere contro di voi». Con ironia, in dialetto, usando i loro modi e il loro gergo, me li sono conquistati uno per uno. E anche i galletti hanno abbassato la cresta.
Qual è stata la situazione più difficile che si ricorda di aver dovuto affrontare?
Ricordo un ragazzino che non si presentava mai a scuola, con problemi enormi di relazione. Con un’altra mamma tutor abbiamo cercato per giorni i genitori, che non conoscevamo e a casa non rispondeva mai nessuno. La scuola aveva deciso di segnalare il caso ai servizi sociali, con il rischio così di togliere il bambino alla famiglia. Per fortuna abbiamo trovato i nonni, l’ennesima volta che abbiamo suonato il campanello. Così siamo riuscite a contattare i genitori e far rientrare la cosa.
Lo Zen è stato davvero un quartiere simbolo…
Sì, un quartiere difficilissimo, che tuttavia amo molto. I miei si sono trasferiti qui quando avevo 3 anni. Dopo lo Zen 1, è arrivato lo Zen 2, molte persone le conosco, moltissime altre no. Eppure, rispetto ad anni fa, mi sembra che le nuove generazioni di genitori siano più attente, partecipano di più. Si fanno molte iniziative, c’è molta attività sociale. Ma la dispersione scolastica è ancora alta. E sono centinaia le lettere che la scuola invia ai genitori per segnalare la scomparsa dei loro figli dalla scuola. Siamo sempre noi che gliele portiamo, da madre a madre.

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