Non profit
Un fenomeno virtuoso, con un grande limite: spesso non arriva dove c’è più bisogno
di Redazione
Le famiglie si sono già organizzate. Forse non sanno che quel che stanno mettendo in atto è in realtà una sorta di micro welfare. Siamo noi addetti ai lavori che diamo i nomi tecnici alle cose. Le persone lo chiamano più semplicemente “aiuto verso il prossimo”. Di vicende se ne annoverano sempre di più. C’è la mamma di tre bambini, insegnante precaria, che dallo scorso anno ha chiesto aiuto alla cognata, rimasta a casa senza lavoro, per tenerle i bambini in quelle ore d’assenza: una solidarietà tra mamme. Una lavora fuori casa, l’altra dentro casa. In pratica si dividono uno stipendio in due: 900 euro, 450 euro a testa. Mezzo mutuo è pagato, per due tetti diversi. La famiglia si stringe attorno alle proprie necessità. C’è la ragazza, appena sposata, che dal Sud è venuta al Nord perché ha trovato un lavoro, a tempo determinato; piuttosto che perdere anche questa occasione ha accettato: vitto e alloggio a casa di parenti, altrimenti le spese, comprese quelle di viaggio, supererebbero abbondantemente lo stipendio. Micro, piccolo welfare. Perché è fatto di azioni minime, ma importanti, perché è fatto da persone, dai singoli, e non è strutturato. Eppure è una grande leva, soprattutto sull’armonia delle famiglie, che ritrovano, paradossalmente ? nel caso l’avessero perso – il senso della solidarietà tra le mura domestiche.
Un meccanismo virtuoso che porta però con sé un grande limite: proprio perché non strutturato, ma incentrato sulle sensibilità e sulle capacità dei singoli, esclude coloro che non hanno rete familiare o sociale che sia. Perciò questo tipo di micro welfare (ve ne sono altri) non riesce ad arrivare laddove magari ce n’è più bisogno. Com’è possibile dunque strutturare questo tipo di intervento? Lo Stato da solo non è in grado di farlo. Il terzo settore, nei suoi mille rivoli, cerca di fare sistema, offre punti di riferimento, per dare risposte a numerose situazioni, ma non è in grado di reggere questo enorme peso. Il privato, le aziende, stanno mettendo in campo esperienze virtuose: dai buoni pasto al carrello della spesa, ma sono infinitamente poche quelle che operano in questa direzione, in confronto a quelle che invece sono ricurve sui pesi gravosi dei bilanci in difficoltà.
Non mi stancherò mai di dirlo: secondo welfare, micro welfare, welfare di comunità sono tanti modi diversi ? a cui corrispondono nomi diversi – con cui stiamo cercando di dare risposta al problema del welfare che così com’è va rivisto. La verità è che non si riuscirà a dar corpo ad un vero nuovo modello se non unendo le forze, ciascuno per la propria parte: Stato, privato e privato sociale. Altrimenti ? ho già avuto modo di dirlo ? i problemi del sociale diverranno talmente grandi che sembrerà di voler arginare la cascate del Niagara a mani nude.
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